Koinonia Aprile 2019


Teologia nel tempo

visione panoramica di Armido Rizzi

 

Diversi sono stati i compiti affidati alla teologia lungo i secoli di storia cristiana. L’età dei Padri ha sviluppato soprattutto una teologia come sapienza, cioè come intelligenza della vita spirituale e guida per la sua maturazione. Nella Scolastica, frutto del lavoro teologico è il sapere razionale nell’ambito delle verità di fede; è l’incontro tra il mondo della rivelazione e le esigenze di interrogazione e di sistemazione che caratterizzano la ragione umana. L’istanza sapienzale e quella razionale restano acquisite anche per la teologia odierna. Ma una nuova esigenza le accompagna e le sottende: le teologia deve svolgere una riflessione critica sulla prassi; deve sottoporre la vita della società e della chiesa al giudizio della parola di Dio, perché restino continuamente tese verso una migliore promozione dell’uomo. Questo nuovo compito ne fa una teologia liberatrice.

Sul significato del termine “liberazione” Gutiérrez svolge un breve excursus, dove appare che essa può valere su tre livelli di progressiva profondità: liberazione politica delle classi e delle nazioni oppresse, che in America Latina si oppone alla dipendenza economica dal capitalismo nordamericano e dalla conseguente sua politica imperialista; liberazione del soggetto, che si svolge attraverso tutta la storia e diventa particolarmente intensa negli ultimi secoli (Kant, Hegel, Marx); liberazione dal peccato, come condizione della restaurazione di una perfetta amicizia con Dio e tra gli uomini.

Questa pluralità di livelli suscita il problema centrale di una teologia della liberazione: che rapporto intercorre tra la salvezza (livello terzo) e il processo storico di liberazione dell’uomo (livelli primo e secondo)? A ben vedere, il problema non è nuovo: si tratta dell’edizione più recente del tema classico dei rapporti tra fede e realtà terrestri, tra grazia e attività dell’uomo, tra regno di Dio e costruzione del mondo.

Le diverse risposte date lungo i secoli a questo problema possono agevolmente ordinarsi secondo alcuni modelli in successione logica e sostanzialmente anche cronologica. Il modello cristianità domina a lungo nella chiesa. Le realtà terrestri non hanno autonomia, non possiedono uno spessore proprio; possono solo valere come strumenti per il progetto del Regno, che si identifica con la chiesa stessa. Compito del cristiano è di attuare una politica che permetta alla chiesa di svolgere la sua missione di evangelizzazione e, in ordine a questa, di preservare i suoi diritti e privilegi. Grande figura simbolico-dottrinale di questa concezione è Agostino.

Con il modello di nuova cristianità (ispirazione tomista, nella rilettura di Maritain) si rivendica per le realtà terrestri l’autonomia, e si ridimensionano, di conseguenza, le esigenze temporali della chiesa. Essa rimane però il punto di riferimento essenziale e insostituibile della storia di salvezza.

Un passo più deciso in questa direzione porta alla posizione che ha caratterizzato gli anni del dopoguerra fino al Vaticano II: la distinzione dei piani; chiesa e mondo rappresentano due sfere indipendenti di compiti e di competenze: all’una spetta l’evangelizzazione, all’altro l’edificazione di una società giusta. Il cristiano, in quanto membro della società, partecipa al compito mondano; in quanto membro della chiesa (sacerdoti e movimenti di apostolato), collabora all’impegno di evangelizzazione. Questa netta distinzione tra chiesa e mondo non ostacola l’unità del piano di Dio, ma la rende anzi possibile come unità non uniforme, bensì internamente strutturata.

E tuttavia l’acuita coscienza critica del post-Concilio faceva saltare questa mappa teologica ben calibrata. Molti elementi contribuivano a metterla in crisi; in particolare, la riflessione sulla vocazione unica alla salvezza portava ad attribuire valore salvifico a tutto l’agire umano, dentro e fuori la chiesa, e rendeva teologicamente irrilevante la distinzione tra azione spirituale e azione temporale. L’impegno nella storia e per la storia non può dunque venir considerato come marginale all’orizzonte salvifico, alla maniera di un prolegomeno o di un’appendice; è invece entro questo stesso impegno che spunta e s’incanala l’evento di salvezza. Questo è lo sfondo su cui si staglia la teologia della liberazione.

 

Armido Rizzi

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