Koinonia Aprile 2019


IL VANGELO DELLA GIOIA

PER UNA MORALE AUTENTICAMENTE CRISTIANA

 

A mio parere la kermesse dei cattolici tradizionalisti che si è tenuta a Verona negli ultimi giorni di marzo (1), proprio per le tesi sostenute spesso in contrasto con lo spirito del Concilio dovrebbe spingere la Chiesa nel suo complesso a ripensare non pochi precetti morali a lungo dati per scontati e immutabili che mi sembra abbiano poco a che fare con la Parola  di Gesù.

Non c’è dubbio che la Chiesa voluta dall’attuale papa si stia ponendo in modo radicalmente nuovo riguardo al tema del peccato (2). Quello di Francesco è un atteggiamento di misericordia, ben diverso dal giudizio severo di chi minaccia castighi. Il nostro papa si colloca così nel camino tracciato da Gesù e mirabilmente descritto da San Paolo quando afferma: “Non sono il padrone delle vostre coscienze, ma il servo della vostra fede”.

La compassione, ci ricorda Francesco, è la parola-chiave del Vangelo di Cristo: mettersi nei panni di chi ti sta di fronte, entrare in sintonia con lui e, naturalmente, fare gli altri ciò che vorresti fosse fatto a te.

È sulla base di questi valori che va vissuto il cristianesimo. Tutta una serie di precetti che la Chiesa ha costruito nel corso dei secoli, in molti casi, più che ispirarsi direttamente alla Parola del Vangelo, sono frutto di condizionamenti sociali che sono variati nel tempo e hanno subito l’influsso delle circostanze in cui sono nati. Ne è un esempio eclatante  la sessuofobia che ha segnato la storia della Chiesa.

Il celibato obbligatorio ne è un esempio evidente, e non ha alcun riscontro nei vangeli. E così pure il sacerdozio solo maschile, frutto di una visione ancestrale  punitiva nei confronti della donna (per molti secoli considerata un essere inferiore): una concezione antifemminista della società che il messaggio di Gesù condanna esplicitamente.

E che dire del matrimonio? La tradizione consolidata della religione cattolica intende quel sacramento caratterizzato da una serie di obblighi contratti fra i due sposi, salvo poi considerare nei fatti gli obblighi della donna più vincolanti di quelli dell’uomo.

Ma la visione del Vangelo non è questa. La fedeltà, ad esempio,dovrebbe essere una scelta fondata sull’amore e sul reciproco rispetto; pertanto è un grande valore in sé. Ma se, per circostanze non volute e non cercate, il vincolo viene meno, il divorzio può essere la soluzione migliore, anche per i figli: meglio genitori separati che genitori che si detestano o, peggio ancora, si odiano.

Un altro aspetto di questa morale coercitiva concerne la realizzazione della sessualità con l’unico scopo della procreazione. A lungo, infatti, il matrimonio fu definito il  rimedio della concupiscenza. Fuori di questo, la castità. Ma è forse questo il messaggio del Vangelo? La castità può essere una scelta, ad esempio per dedicare completamente la propria vita a Dio e al prossimo. In questo senso è un valore, ma non come atto di pura ascesi personale, come se questa fosse la via privilegiata per avvicinarsi a Dio.

Nello spirito del Vangelo, che è Vangelo di gioia e di vita, un atto sessuale tra persone che si amano e che si danno l’uno all’altra per libera scelta è cosa buona, né può essere represso da imposizioni moralistiche. Un sentimento amoroso sincero nato fra due giovani, ad esempio, non implica forse il più delle volte, in modo naturale, anche l’appagamento sessuale?

E infine l’aborto. Può il legislatore non tener conto degli effetti pratici che comporta una condanna penale di tale atto in ogni circostanza venga compiuto? Scegliere di interrompere volontariamente una gravidanza non è mai una passeggiata, per cui le donne arrivano a questa decisione drammatica  solo in presenza di circostanze particolarmente difficili. Una volta giunte alla dolorosa decisione di voler abortire, la grande maggioranza delle donne, prima dell’entrata in vigore dell’attuale legge  sull’aborto, ricorrevano a interventi clandestini mettendo a rischio la propria stessa vita. Meglio allora un’interruzione della gravidanza legale e assistita (3).

Anche qui papa Francesco, che pure ha espresso un fermo rifiuto dell’aborto, ha scandalizzato tanti  cattolici tradizionalisti, assumendo nei confronti delle donne che hanno abortito lo stesso atteggiamento di Gesù nei confronti  dell’adultera che i farisei volevano lapidare: non una condanna senza appello, ma la compassione.

Sappiamo bene che gran parte dei fedeli, anche praticanti, si discosta nella vita quotidiana dai precetti che la Chiesa ha impartito per secoli, talvolta con la tacita condiscendenza di alcuni pastori. Ma non si tratta ormai di seguire il motto “vivi e lascia vivere”. Si tratta invece di affermare alla luce del sole  la necessità di un cambiamento profondo del modo di vivere la fede.

E questo compito non deve essere delegato solo a papa Francesco e a pochi teologi e vescovi illuminati, ma tutti noi, in quanto credenti in Cristo, ce ne dobbiamo fare carico.

 

Bruno D’Avanzo

 

NOTE

(1) Non credo che il convegno di Verona abbia avuto un’influenza determinante sulle coscienze dei credenti. Casomai è servito ai settori politici di destra (e di estrema destra) a presentarsi come paladini della morale tradizionale, garante della “vera fede”, per accreditarsi di fronte a eventuali elettori.

(2) Quando si parla di peccato le prime cose che vengono i mente sono le colpe inerenti ai “temi sensibili” quali l’aborto, il divorzio, il controllo delle nascite, i rapporti sessuali prematrimoniali. Ma quale tema più sensibile di tutti se non quello dell’ingiustizia globale rappresentata dalla vergognosa differenza fra  ricchi e poveri?

(3) Sia ben chiaro: disincentivare l’interruzione volontaria della gravidanza, tranne casi particolarmente gravi quali lo stupro o malformazioni del feto, dovrebbe essere un imperativo etico di ogni nazione civile, ma non è certo con leggi antiabortiste che si può conseguire questo scopo, bensì creando strutture adeguate a supporto delle donne e al tempo stesso incentivando nei maschi, a partire dai banchi di scuola (ma anche le parrocchie e l’associazionismo potrebbero svolgere un ruolo attivo in tal senso), la cultura della corresponsabilità, di modo che, oltre al lavoro domestico, anche l’impegno relativo all’educazione dei figli sia equamente suddiviso.

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