Koinonia Aprile 2019
LA TEOLOGIA ALTERNATIVA DI ARMIDO RIZZI
“Il primo compito della teologia deve essere di ritrovare la struttura di pensiero che inabita le Scritture e le definisce. La de-ellenizzazione è la pars destruens di questo compito, il ritrovamento del messaggio biblico ne è la pars costruens.”
Questa frase, in esergo all’inizio del primo capitolo dell’ultima fatica del teologo Carmine Di Sante, illustra in estrema sintesi il contenuto del suo testo e della teologia di Armido Rizzi. Di Rizzi l’autore è stato ed è amico e di lui ha raccolto il 90% degli scritti che si propone di far conoscere per un debito di gratitudine che sente di aver contratto nei suoi confronti. “Le sue pagine, dice Di Sante, gli hanno fatto scoprire in un modo nuovo la bellezza e la profondità del testo biblico, rivelativa della bellezza e profondità dell’esistenza di ogni essere umano”. Questo merito, al di là della condivisione o meno della sua teologia, gli va senz’altro riconosciuto.
Presentando il suo lavoro, Di Sante spiega cosa si deve intendere per ‘teologia alternativa’: non un ‘discorso su Dio’ (l’uomo non può osare tanto), ma un ascolto ‘ricettivo e intelligente’ di Dio che ‘si racconta’, evitando così di fargli dire quello che noi vorremmo dicesse. Anche se non è stato il solo a sostenere questo concetto di teologia, Di Sante afferma che nessuno l’ha fatto con la sua radicalità, decostruendo l’impianto della teologia dogmatica (tomistica e agostiniana), quale è stata insegnata in tutte le facoltà teologiche dal Concilio di Trento in poi.
Mentre il papa teologo Joseph Ratzinger sosteneva che era impossibile de-ellenizzare le Scritture cristiane senza mutilarle, Rizzi afferma la necessità di questa operazione per cogliere l’autentico messaggio biblico. “Rinunciare al logos della filosofia greca non vuol dire consegnare l’esperienza religiosa all’irrazionale, al soggettivismo o all’emozionale” ma riconoscere che la Scrittura custodisce un logos ‘altro’ che ‘oggettivandosi nei racconti o ‘miti’religiosi, esige di essere interpretato ed esplicitato.”
Mentre il logos greco si identifica attraverso la secolarizzazione del mito, cioè della religione che “nella natura e nel suo statuto di necessità riconosce il principio di unità e di identità del reale, compreso l’uomo”, nella Scrittura, secondo Rizzi, “abita un’altra visione il cui principio portante non è l’identità, ma l’alterità, non il divino, ma Dio, non la necessità, ma la libertà, non la natura-cosmo, ma l’alleanza- patto, non l’eros che unisce i simili, ma un altro amore che unisce i differenti.”
De-ellenizzare il Dio biblico e la teologia cristiana che sono strettamente legati, vuol dire dunque ritrovare la struttura di pensiero delle Scritture attraverso una doppia metodologia: la de-mitizzazione (mito non è favola, ma un testo che esprime una verità di fondo avvolta in rivestimento metaforico) e il ricorso a diversi registri interpretativi, soprattutto quelli dell’esegeta e del teologo. Ma, che cosa è stata l’ellenizzazione?
L’ellenizzazione fu una ‘globalizzazione ante litteram’ che si verificò a un duplice livello: linguistico e storico-culturale, “dove la lingua non è solo mezzo di comunicazione, ma anche invenzione o creazione di nuove idee”. Una di queste per Rizzi, è l’emergere dell’individuo nella sua solitudine dovuta alla crisi della polis.....”.e venendo mancare questa, si scopre il privato come luogo di senso e questo in due ambiti distinti, l’ambito attivo dell’iniziativa mercantile e quello interiore, nella forma più elitaria delle filosofie, e in quella più diffusa delle religioni”. Se ho riportato questa lunga citazione è perché mi sembra evidente e interessante l’analogia con la situazione della globalizzazione contemporanea: una lingua comune, una cultura occidentale che cancella le culture locali, crisi non della polis, ma della nazione, iniziativa mercantile diventata lo strapotere dell’economia finanziaria, ignoranza del valore e del potere anche odierno dei miti, per l’affidamento totale alla razionalità del tecnicismo, ambigua riscoperta delle religioni. Ne consegue la necessità anche oggi di una de-ellenizzazione da declinare come de-occidentalizzazione, intesa nelle sue forme più deleterie di neo-capitalismo finanziario e cultura tecnicistica e consumistica che rischia di annientare ogni altra forma di cultura e di vita.
Tornando al testo di Carmine Di Sante, l’ellenizzazione che - secondo Rizzi- è necessario decostruire riguarda in particolare la contaminazione tra il piano filosofico e il piano religioso: quella struttura di pensiero della ‘categoria dell’essere’, entro la quale veniva iscritto e interpretato il testo biblico. “L’essere non è, né può essere più la via per andare a Dio”, soprattutto perché “la categoria dell’essere contraddice o rimuove i due tratti costitutivi della narrazione biblica: la libertà divina da una parte e la libertà dell’uomo dall’altra.” Secondo Carmine Di Sante, la proposta teologica di Rizzi è la risposta alla ‘morte di Dio’, del Dio della civiltà di origine aristotelica e platonico-cristiana, denunciata già un secolo fa da Nietzsche.
Il mito fondante di Israele da recuperare nella teologia di Armido Rizzi è quello ‘raccontato’ nel Pentateuco, dalla liberazione dall’Egitto all’alleanza del Sinai, all’entrata nella Terra promessa. Rizzi insiste sull’’aspetto veritativo’ del mito: “Il mito è storia vera, non nel senso di storia esatta...ma in quello ben più profondo di espressione del senso della realtà globale...storia vera perché dice la verità dell’uomo nel suo rapporto col tutto... Il mito istituisce l’ordine del Senso...il buon annuncio che il mondo – il mondo naturale e sociale – non è un caos, ma una terra dove vivere è ‘cosa buona’, dove la fatica di vivere non ne cancella la gioia e le ferite dell’esistenza non ne corrodono la fondamentale fiducia”. Vengono in mente le meravigliose pagine di Raimon Panikkar nel testo “Mito, simbolo, culto”, parte dell’Opera Omnia, in corso di pubblicazione per Jaca Book.
Alla centralità dell’Antico Testamento va ricondotta anche la cristologia di Armido Rizzi, alla luce della profonda continuità-unità dei due testamenti: “Gesù reintegra l’alleanza fra Dio e l’uomo così come è stata disegnata da Israele e la reintegra con il dono del ‘perdono’ e la ‘cancellazione del peccato’....Se in ogni religione c’è un nucleo evangelico (il buon annuncio del Senso), nei vangeli c’è la ripresa di quell’annuncio, l’assunzione dell’inedito che le Scritture ebraiche vi hanno portato e l’offerta di un secondo inedito”. Il vero scandalo dei vangeli, più che nella kenosi particolarmente scandalosa per le altre religioni, per Rizzi sta” nell’atto di libertà con cui Gesù capovolge il suo destino...atto di libertà come obbedienza al Padre e amore ai fratelli...Gesù è il Sì definitivo dell’ uomo a Dio che dentro la storia ambigua e violenta, la fa ‘risorgere’ e la rigenera”.
In un lungo capitolo dal titolo “Gesù Messia, il ricreatore del soggetto” Carmine Di Sante approfondisce la cristologia di Armido Rizzi sottolineandone alcuni punti fondamentali:
il carattere ‘stravagante’, folle, del kerygma centrale, l’affermazione cioè che Gesù, conformemente alle Scritture ebraiche ha salvato il mondo dal peccato con la sua morte e resurrezione;
la dimostrazione che, per chi si lascia provocare attraverso la fede da questa follia, esiste la possibilità di accedere a “una superiore sapienza”;
l’individuazione in tutte le scritture del Nuovo Testamento, di un comune messaggio che le accomuna al di là delle loro diversità, cioè la storia della “libera oblazione volontaria” di Gesù (Gesù si consegna);
la nuova modalità di conoscenza necessaria per penetrare nella storia di Gesù che coincide con il dono pasquale del suo Spirito
Alla luce di questi temi Rizzi dibatte le diverse cristologie confrontandosi soprattutto con Bultman, e insistendo sul primato del kerygma rispetto al dogma in quanto “il dogma con la sua strutture metafisica, mette in ombra esattamente quella storicità del kerygma al cui servizio è nato: il dogma è il ripensamento del kerygma dentro una determinata cultura, quella ellenica appunto, di qui l’esigenza della de-ellenizzazione”.
Di Sante conclude i capitoli cristologici con l’affermazione rizziana che Cristo è la verità esistenziale dell’uomo, intendendo con questo termine “ciò per cui l’uomo è autenticamente uomo, non solo in quanto si distingue dalle altre creature, ma in quanto realizza compiutamente la propria umanità”, diventando capace di ri-accedere alla propria libertà (al di là di tutti i determinismi), nella nuova possibilità di “un amore che non sia espressione e sviluppo del nativo egocentrismo, ma vera adesione all’alterità di Dio e dell’altro uomo”. Attraverso Gesù, Dio ha ricostituito il mondo nell’alleanza.... e con il suo perdono “ricrea il soggetto umano perché questo ricrei il mondo”.
Non posso dilungarmi ulteriormente sui restanti capitoli del libro di Carmine di Sante che non sono pochi, non meno interessanti di quelli di cui ho cercato di parlare. Concludo consigliandone la lettura ai tanti teologi dilettanti, quale io sono i quali, pur non avendone i mezzi culturali e professionali, non possono fare a meno di porsi certe domande e di ricercarne le possibili risposte.
Donatella Coppi