Koinonia Marzo 2019


IO SONO LA PORTA

 

Ricercando nella Bibbia l’origine del valore simbolico della Porta, vediamo come il profeta Isaia, mettendo a confronto la città dei malvagi, punita da Dio con la distruzione e la dispersione dei suoi abitanti, e la città dei giusti, solida e inattaccabile, dice che, nella prima “la porta è stata abbattuta a pezzi”, mentre nella seconda “mura e bastioni Egli ha posto a salvezza. Aprite le porte: entri una nazione giusta.”

È evidente il valore simbolico della porta come tramite di accoglienza, ma anche di esclusione: essa non è costruita per accogliere o escludere chiunque, ma per distinguere chi va accolto da chi va escluso, per essere aperta o chiusa secondo un criterio di giustizia. Nella città devastata della fine del mondo, “è chiuso l’ingresso di ogni casa”, la porta stessa delle mura, invece, “è stata abbattuta, fatta a pezzi” due opposte disfunzioni che denotano entrambe la perdita di ogni criterio di distinzione tra bene e male: “avverrà lo stesso al popolo come al sacerdote, allo schiavo come al suo padrone…”. Se i malvagi hanno distrutto la porta, è perché non ne apprezzano il valore, se quella dei giusti resta integra è perché questi sanno farne un uso saggio.

Anche il salmo 118 associa le porte della città a un’idea di giustizia basata sulla distinzione:

“Apritemi le porte della giustizia:

vi entrerò per ringraziare il Signore.

È questa la porta del Signore:

per essa entrano i giusti”.

Nelle mura dell’antica Gerusalemme erano aperte otto porte, tante quante erano le strade d’accesso alla città. Il traffico di entrata e di uscita (a piedi o a dorso di un animale) era la vita stessa della città, lo scambio, il commercio, l’attività culturale e religiosa. Ancora oggi, intorno a quelle porte si addossano botteghe, si concentrano traffici, si affollano mercanti.

Dalle porte principali passava chi era atteso e accettato, chi non aveva niente da nascondere e niente da temere, i malintenzionati, invece, si servivano di accessi alternativi. Chi entrava in città con spirito di giustizia, attraversava la porta principale e, dentro di sé, aveva aperto il cuore ai suoi abitanti, si era fatto “porta” lui stesso. Chi invece vi entrava di soppiatto, non condivideva i principî di giustizia della città, ma, anzi, li insidiava.

 

Nel quarto Vangelo, san Giovanni paragona la porta aperta sulle mura a quella dell’ovile attraverso la quale passano le pecore:

“In verità, in verità vi dico: - scrive - chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante.  Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore.  Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori.  E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei...  Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono che cosa significava, ciò che diceva loro.

Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore.  Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati.  Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo.  Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.  Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore»”.

 

In questo brano giovanneo il tema principale sembra essere il rapporto di fiducia che si è instaurato tra pastore e ciascuna delle sue pecore (… chiama le sue pecore una per una...). Sembra proprio che il “discepolo che Gesù amava”  faccia riferimento alla propria esperienza di totale confidenza che lo univa al Cristo testimoniata dalla prontezza con la quale aveva risposto alla chiamata  e dalla predilezione che Gesù aveva sempre dimostrato nei suoi confronti . Cristo si era guadagnato la fiducia degli apostoli vivendo insieme con loro, dimostrando con i fatti il suo affetto.

 

Quando Filippo, non nascondendo il residuo di diffidenza che ancora lo trattiene, chiede al Cristo:

“Mostraci il Padre e ci basta” ,

Gesù, evidentemente dispiaciuto, gli risponde:

“Da tanto tempo sono con voi

e tu non mi hai conosciuto, Filippo?

Chi ha visto me ha visto il Padre.”.

Per Giovanni, invece, non sarebbe stato neppure pensabile potersi avvicinare a Dio passando attraverso una “porta” diversa dalla persona Gesù:“Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”, queste le inequivocabili parole che l’evangelista attribuisce al Cristo e che Egli fa proprie.

 

Il richiamo al versetto evangelico “Io sono la porta” è implicito nei riti della Porta Santa che si celebrano in occasione di ogni Anno Santo. La Porta che si apre sulla facciata della Basilica vaticana segna l’ingresso non soltanto in un luogo sacro (la Basilica) ma anche in un tempo sacro (l’Anno Santo).

Il complesso cerimoniale ebbe inizio nel XV secolo e si è mantenuto più o meno inalterato fino al 1975. Movendo dalla Cappella Sistina, dove aveva ingiunto ai cardinali di andare ad aprire le Porte Sante delle Basiliche romane, il Pontefice, si dirigeva verso quella di San Pietro dove, servendosi di un martelletto, iniziava la demolizione della copertura muraria esterna della Porta. Poi, dopo essersi inginocchiato sulla soglia, entrava per primo in Chiesa e si dirigeva verso l’altare per la celebrazione dei Vespri.

Al momento della chiusura, alla fine dell’Anno Santo, dopo essere uscito per ultimo dalla Basilica e avere benedetto calce e mattoni, il Pontefice spalmava sulla soglia la calce servendosi di una cazzuola e vi appoggiava tre mattoni e alcune monete d’oro e d’argento. A partire dal Giubileo del 2000, demolizione e ricostruzione della copertura muraria sono state soppresse.

L’aspetto materico del rito dà la portata della ricchezza del simbolo. Esso infatti evidenzia l’eliminazione di un’occlusione tesa a consentire un’entrata straordinaria che viene accordata ai fedeli solo periodicamente.

Il rito tuttavia non è aperto a tutti, ma solo ai battezzati e quindi determina insieme un’accoglienza e un respingimento. Esso consente l’accesso alla Basilica e, metaforicamente, alla comunione dei fedeli solo a coloro che, confessati e comunicati, dopo aver pregato secondo le intenzioni del papa, si rechino in pellegrinaggio a Roma. Solo a costoro, vengono rimessi tutti i peccati.

Non si può non constatare, inoltre, che è cambiato lo spirito del messaggio: è venuto meno quel rapporto di reciproca fiducia che legava, nel Vangelo di Giovanni, le pecore al Pastore, gli apostoli a Gesù. I fedeli che riempiono piazza San Pietro non si sentono “chiamati uno per uno”, né possono “riconoscere la voce” del Signore.

La Porta Santa apre alla Basilica Vaticana che è metafora architettonica della Chiesa istituzionale, gerarchia ecclesiastica più che comunità di fedeli. Coloro ai quali viene concessa l’indulgenza plenaria devono sottoporsi a condizioni imposte dall’alto, la stessa indulgenza viene vissuta più come compenso che come dono. La soglia separa chi accetta da chi non accetta quelle condizioni.

Ben diverso il messaggio giovanneo: in esso la fede è presentata come rapporto interpersonale fatto di stima, affetto, gratitudine. Un rapporto che è possibile trovare nel mondo comune e che, di fatto, costituisce il tessuto della convivenza. Come si potrebbe vivere se si diffidasse di tutti, se si esigessero  prove a garanzia per ogni proposta, invito, consiglio?

 

Anna Marina Storoni Piazza

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