Koinonia Marzo 2019


Da “Una chiesa per i Gentili” (1977)

Un Concilio da assimilare

 

In pratica, si può dire che è in atto ed è da portare a maturazione una certa assimilazione ed interiorizzazione del Concilio Vaticano II. Il Concilio, appunto, ha rappresentato certamente una specie di “rivoluzione copernicana” della Chiesa. Ma, come sempre per ogni rivoluzione, ci vuole più del previsto per arrivare ad una interpretazione e traduzione pratica davvero innovativa. Nei confronti del Concilio noi abbiamo evitato di assumerlo come un prontuario aggiornato di norme liturgico-giuridiche da applicare o come legittimazione di scelte risolutive nell’impegno socio-politico. Esso, in realtà, non propone ma richiede un lento e progressivo ricambio di anima, non solo un capovolgimento di posizioni o una sostituzione di idee. E un ricambio di anima, si sa, non avviene se non nella concretezza e nella materialità di un corpo, e quindi nella mentalità e nella coscienza della gente. Del resto, se la rivoluzione del Concilio ha significato qualcosa, è prima di tutto la preminenza ed il primato delle persone in quanto Popolo di Dio. Se si pretendesse, per una ragione o per l’altra, per motivi canonici o per ideali motivi storici, passar sopra alla gente, si tradirebbe in modo equivoco questa rivoluzione.

Il Concilio, dunque, non è né una rivoluzione compiuta né una rivoluzione fallita, ma una concreta proposta rivoluzionaria che aspetta i suoi interpreti ed i suoi realizzatori, probabilmente i suoi profeti ed i suoi santi. Più modestamente, da noi si richiede d’esserne recettivi e di assimilarlo con coraggio, per trasformarlo in vita, nel rispetto di ciò che il Concilio è stato prima di tutto: un evento vitale per la Chiesa.

Col Concilio, in effetti, la chiesa ha intrapreso e promosso una propria rinascita: una rinascita dall’alto, sia nel senso che è da ritenere opera dello Spirito che parla alle chiese, ma anche nel senso che è venuta dal vertice. Così è successo che il Concilio ha espresso sì un progetto ecclesiale diverso come nuova acquisizione dottrinale, ma non ancora come scelta operativa realmente diversa o “conciliare”: ha ideato un modo nuovo di essere della chiesa nel mondo, ma non per questo ha realizzato questa presenza nuova. Ad una gestione spesso poco convinta e timorosa del Concilio da parte della Gerarchia in senso troppo amministrativo, ha fatto riscontro una utilizzazione forzatamente contestativa dal basso, a scapito di una effettiva coscientizzazione della base anonima, tradita dagli uni e dagli altri. In effetti una base per così dire “rappresentativa” si è costituita più in ordine e ragione al vertice che in ascolto e come voce degli ultimi nella chiesa.

Guardando un po’ indietro, si può dire che non sono mancate interpretazioni e traduzioni pratiche del progetto iniziale, che di fatto hanno portato un’”altra chiesa”. Questa “altra chiesa”, però, è stata spesso il risultato di “fughe” e di abbandoni, ma anche di rifiuti da parte di una certa chiesa del passato, che si presentava e faceva valere come struttura di potere. Una chiesa-potere, del resto, che non ha smentito se stessa ed ha fatto di tutto per mettere a tacere voci, cui il Concilio stesso aveva dato vita. Probabilmente si è creduto con eccessiva ingenuità che per mettere in atto il progetto conciliare bastasse operare qualche ritocco all’impianto tradizionale della Chiesa, piuttosto che ristrutturare l’impianto stesso.

 

ABS

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