Koinonia Dicembre 2018


Racconto di Natale leggendo H.C.Andersen

 

L’ultimo sogno della vecchia quercia

 

Una quercia da ben 365 anni teneva le sue forte radici saldamente ancorate nella terra sulla cima di un pendio collinare proprio di fronte al mare. Era molto possente ed alta, i suoi rami si allargavano a raggiera attorno al tronco poderoso, la sua verde e fitta corona si ergeva sopra gli altri alberi del bosco non per dominarli, ma quasi a volerli proteggere benevolmente. Il grande albero vegliava per tre stagioni, primavera, estate, autunno, ma in inverno riposava e dormiva: questa stagione era la sua notte! Durante le numerose estati da lei vissute le effimere, piccoli insetti dalle ali leggere e trasparenti e dal corpo esile, le danzavano attorno inebriandosi felici del proprio volo, del sole che le scaldava, della luce che le stordiva.

La vecchia e saggia quercia (in 365 anni di vita aveva acquisito tanta esperienza!) ogni volta che una di queste piccole creature si riposava sulle sue foglie fresche e tremule la compiangeva per la brevità della sua vita che durava solo lo spazio di una giornata, ma l’insetto le rispondeva di essere felice ugualmente e che i suoi attimi di gioia in fondo erano simili ai numerosi anni della quercia, dipendeva solamente da modi diversi di calcolare il tempo donato loro. E così l’effimera volava e gioiva del profumo dei fiori del bosco, poi, al tramonto, ormai sazia e stanca del volo e della gioia provata, ondeggiava, si posava esausta su uno stelo d’erba, chinava la testolina e si addormentava per non svegliarsi più: la sua breve vita si era esaurita con il compianto della quercia. Ed ogni giorno d’estate si ripetevano la danza, il dialogo tra l’insetto e l’albero, la caduta e la morte.

Intanto l’inverno si avvicinava e la vecchia quercia si apprestava al lungo sonno, già si avvertivano le voci delle prime tempeste in arrivo che le auguravano una buona notte e le assicuravano che le avrebbero cantato la ninna nanna. Le sue foglie erano cadute ed i rami, ormai spogli, si apprestavano a lasciarsi scuotere dal gelido vento del nord.

Secondo i calcoli umani la nostra quercia era al suo quarto secolo di vita ed era così alta che serviva da punto di riferimento ai naviganti. Durante l’estate le volavano d’intorno le effimere, ma sui rami più alti la colombella costruiva il proprio nido, dalla cima della chioma il cuculo lanciava il suo richiamo, mentre in autunno, quando le foglie trascoloravano assumendo tonalità calde dal giallo oro al rosso rame, facevano sosta su di lei gli uccelli migratori per riposarsi. Sopraggiunto l’inverno le cornacchie con i corvi si lamentavano della scarsità del cibo saltellando da un ramo all’altro. Insomma il vecchio albero ospitava ed accoglieva tutti.

Un anno, il Natale ormai era prossimo, la quercia immersa in un profondo sonno ed insensibile a ciò che accadeva intorno a lei fece un bellissimo sogno. Sentiva suonare le campane delle chiese sparse per la campagna circostante ed avvertiva la carezza calda e piacevole del vento estivo. Era tutto così bello e luminoso da sollecitarla a distendere le fronde rivestite di foglie verdi tra le quali giocavano i raggi del sole, mentre l’aria profumava dei fiori e delle erbe del bosco, le farfalle si ricorrevano volando e le effimere si abbandonavano alle loro consuete frenetiche danze. La quercia nel sogno rivedeva e riviveva tutto il suo passato. Ad un tratto il possente albero sentì di nuovo la vita scorrergli nelle vecchie radici e nei rami nodosi e contorti, riacquistò il vigore giovanile e provò una gioia ineffabile e il desiderio irrefrenabile di salire sempre più in alto, verso il sole.

Già si era spinto oltre le nuvole e di lassù scorgeva gli uccelli migratori volare sotto di sé, mentre attorno le stelle scintillavano come gli occhi vivaci e splendenti dei bambini e degli innamorati che per tanti anni avevano sostato felici e spensierati ai piedi del suo alto fusto godendo della benefica ombra che offriva loro. La vecchia quercia era sopraffatta dalla gioia e dallo stupore, ma poiché era buona e generosa, desiderava condividere la sua beata felicità con gli amici di tutta la vita cioè con le piante del bosco, gli alberi, i cespugli, le erbe, i fiori e questo sentimento la invase tutta facendola fremere e palpitare come se fosse stata un grande cuore. Chinando verso il basso la sua corona avvertì il profumo delle viole e del caprifoglio, le parve di udire il verso del cuculo ed infine notò un corteo verdeggiante che, insieme a lei, volava verso il cielo e non solo le piante di ogni tipo la seguivano, ma anche le altre creature che abitavano il bosco e tutte cantavano in coro come a rassicurarla: - Ci siamo, ci siamo ! –  La quercia, al colmo della gioia esclamò: - Non è possibile godere di tanta felicità ! – Ma una voce risuonò esclamando: Tutto è possibile in cielo!          

L’albero ormai distaccato completamente dal suolo che lo teneva prigioniero da ben 365 anni, capì che ogni legame terreno era stato reciso e che volava immerso nella luce verso il suo Signore e Creatore e che i suoi amici l’accompagnavano in questo straordinario viaggio. Era la notte di Natale e la tradizione ci tramanda che è una notte speciale, piena di prodigi e di avvenimenti stupefacenti. Mentre la vecchia quercia si abbandonava al suo meraviglioso sogno una terribile tempesta si abbatté sulla terra sradicando la pianta che aveva resistito per secoli alla violenza del gelido vento invernale.

La mattina seguente il sole tornò a splendere, le campane suonavano a festa annunciando la nascita del Salvatore e dai comignoli delle case s’innalzavano leggiadri sbuffi di fumo. Anche il mare non ribolliva più, ma era calmo ed all’orizzonte apparve il profilo di un bastimento scampato alla terribile tempesta. I marinai erano saliti in coperta e, felici di essere tutti in salvo, si apprestavano a festeggiare il Natale quando, guardando verso la riva, notarono con sgomento che l’alta e forte quercia, il loro punto di riferimento, non si scorgeva più, capirono che la violenza della bufera non aveva risparmiato la loro amica e ne rimpiansero la perdita. “Nulla potrà sostituirla” esclamarono rattristati poi intonarono i cantici natalizi ed innalzarono a Dio inni di ringraziamento per il dono di redenzione e saggezza offerto a tutti gli uomini e mentre cantavano si sentirono trasportati verso il cielo come la quercia durante lo splendido sogno che la notte di Natale le aveva donato. Essa aveva dato addio alla terra senza sofferenza e senza rimpianti. Dio voglia concedere a tutti i suoi figli di staccarsi dalla vita terrena con una simile visione di armonia, gioia, felicità e con la certezza di andare verso il loro Salvatore.

 

H.C. Andersen era un uomo semplice e sognatore, un puro di spirito che forse può apparire ingenuo come un fanciullo, ma la sua visione di Dio Padre che trae a sé amorevolmente le sue creature testimonia una fede convinta e profonda nella infinita bontà e generosità del Creatore. Con la sua tenera fiaba trasmette a tutti noi un messaggio salvifico non solo per gli uomini ma per l’intera creazione.

 

Sara Rivedi Pasqui

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