Koinonia Dicembre 2018


I 50 ANNI DI BOSE, QUALCHE RIFLESSIONE

 

Non resto indifferente ai 50 anni della comunità di Bose e della ramificazione che ne è seguita in altri luoghi: sia per rallegrarmi con Enzo Bianchi per il suo sogno realizzato, e sia anche per una riflessione personale alla luce della rinascita e diffusione del monachesimo in questi anni post-conciliari. In una intervista su “la Repubblica” del 10 novembre 2018 Enzo Bianchi ci dice che l’essenza specifica della sua scelta e della sua operazione era “una vita monastica cenobitica, ispirata al principio, enunciato da san Basilio e san Pacomio, del primato della comunità; ma vissuta in un modo attuale, senza archeologismi”.  Mentre più avanti afferma  che “l’esperienza di accoglienza forse è il dono più grande che la comunità ha incontrato sul suo cammino. Vengono per essere ascoltati in un mondo in cui nessuno ascolta, per chiedere una parola che dia loro fiducia. È il grande servizio che il monachesimo ha reso con san Benedetto, con quell’ospitalità data ai barbari e ai latini insieme nei monasteri nel VI secolo, e che noi cerchiamo di vivere ancora oggi. Una pratica di umanizzazione, non semplicemente un consumo del religioso”.

In effetti c’è da dire che questo risveglio comunitario in chiave monastica ha fatto presa tanto che ci ritroviamo oggi, con il best-seller mondiale di Rod Dreher  “L’opzione Benedetto” (San Paolo 2018) davanti alla proposta di “una strategia per i cristiani in un mondo post-cristiano”, come recita il sottotitolo del libro. che Secondo questo autore, la via di Benedetto è “quella che porta fuori dalla città imperiale in rovina, per raggiungere il luogo pacifico dove possiamo fermarci e imparare a sentire la voce del nostro Maestro. Troviamo altri come noi e costruiamo comunità, scuole per il servizio del Signore. Lo facciamo non per salvare il mondo, ma per nessun altro motivo se non che amiamo Lui e sappiamo di aver bisogno di una comunità e di uno stile di vita ordinato per servirlo in pienezza. Viviamo in modo liturgico, raccontando la nostra Storia sacra nel culto e nel canto… e tutti i racconti che trasmettono cosa vuol dire essere uomini e donne dell’Occidente”.

Cifre alla mano, certamente i fratelli e le sorelle di Bose ci possono dire che la loro esperienza non è avulsa dal mondo e che la loro irradiazione raggiunge i cristiani di tutte le chiese e il mondo laico di tutti i tipi, facendo da faro per tanta gente. Ma ciò non toglie che il modello proposto è quello comunitario in senso centripeta, così come non si può negare che la svolta comunitaria rispetto ad una chiesa societaria abbia influenzato in parte il modo di essere delle parrocchie. Ma di qui a pensare che fosse principalmente questo l’intento del Concilio, forse ci porterebbe a scontrarci con la realtà dei fatti, che da una parte ci fanno vedere che tutto è compiuto, dall’altra ci anno assistere a tentativi di rilancio del Concilio stesso o alla invocazione di un nuovo Concilio, anche per colmare quei secoli di ritardo denunciati dal card Martini.

 Quando ad esempio  nella sua Lettera al fondatore del monastero di Bose per questo  50.mo, Papa Francesco dice  “il semplice inizio è divenuto una significativa missione che ha favorito il rinnovamento della vita religiosa, interpretata come Vangelo vissuto nella grande tradizione monastica”, forse sì, c’è da registrare una ripresa dello stile e della spiritualità monastica con esperienze pilota, ma questo non sta a significare automaticamente la rinascita degli stessi monasteri tradizionali, e tanto meno della vita religiosa nel suo insieme. Ma questo non sembra fare problema, per cui abbiamo monasteri, conventi, case religiose in piena crisi ma perfettamente integrati nel sistema clericale e pastorale vigente, da cui traggono linfa per la loro sopravvivenza.

C’è comunque da dare atto ad Enzo Bianchi della sua chiaroveggenza, quando ad una domanda della intervista risponde: “Vedo una sorta di paradosso: una chiesa sempre più presente nella sua azione sociale, ma sempre meno sul terreno dell’evangelizzazione. I cattolici sono afoni in politica. Sparisce un mondo, anche se certamente non sparirà il vangelo, né spariranno le piccole comunità ispirate dal vangelo”.

Stando così le cose, forse è lecito chiedersi: non sarebbe necessaria una “predicazione del vangelo” tout-court, sine glossa e senza previe mediazioni comunitarie, salvo la nascita di comunità intorno al compito primario dell’annuncio. Non sarebbe prima di tutto questo l’obiettivo del Concilio? E non sarebbe questo il carisma di un Francesco e di un Domenico, di cui i loro frati si dovrebbero far carico in maniera più spoglia ed essenziale, senza i tanti sovrappesi della storia? Come mai, a fonte di una ripresa della vita monastica ben strutturata non abbiamo avuto un rilancio della vita evangelica ed apostolica mendicante ed itinerante?

Ma forse proprio il felice 50° di Bose potrebbe suggerire una spiegazione a questo stato di cose, se messa a confronto con la vicenda della comunità di S.Paolo a Roma e del suo abate Giovanni Franzoni, di cui ci parla Luigi Sandri qui di seguito. Una lettura parallela di queste due esperienze monastiche del dopo-concilio: mentre ha trovato spazio e successo – sia pure attraverso comprensibili ostacoli - una iniziativa nuova a carattere laicale e ad impostazione “religiosa” di vecchio stampo, la stessa sorte non l’ha avuta Giovanni Franzoni quando ha cercato di uscire e di aprire le antiche strutture della vita monastica alle istanze evangeliche e pastorali di un mondo cambiato. Di qui una domanda da lasciare in sospeso: quale fedeltà al Concilio sarebbe in realtà più urgente?

 

ABS

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