Koinonia Novembre 2018


L’Isolotto vive! 

 cinquanta anni di una comunità

 

Come non esser grati al movimento di fede, di cultura e di politica offertoci dall’Isolotto?

Pur potendo fare dei distinguo e alcune osservazioni in ciascuno di questi campi –specialmente grazie al tempo passato, perché allora era tutto a forti contrasti- rimane una comunità tutt’ora viva che non sta tanto celebrando se stessa, quanto riguardando con tutti noi la strada fatta , mentre ha già in calendario altre tappe di un cammino che durerà ancora.

Cinquant’anni sono stati molti davvero nella nostra società italiana (ma non solo, lo sguardo dell’Isolotto è sempre stato “oltrefrontiera” e multiculturale); una società che in questo tempo è cambiata tante volte, ha scoperto nuovi mezzi di comunicazione, ne ha persi altri… rischiando anche di smarrire se stessa , come ci ammoniscono da anni i sociologi.

 L’incontro del 27 e 28 Ottobre, che ricordava il cinquantesimo anniversario, si è svolto nelle “storiche” baracche verdi (storiche sì, ma tutt’ora quotidianamente usate dalla comunità anche se adesso sono di mattoni rossi). Il titolo era suggestivo:“Eppure il vento soffia ancora…”.

È stato un incontro di notevole spessore, che ha permesso di ripercorrere in modo appassionato e in parte critico gli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, che videro la nascita dell’Isolotto come quartiere-modello, vicino all’idea del sindaco La Pira di una città con quartieri popolari vivibili, umani, in cui le relazioni fossero facilitate e non ostacolate, o escluse come in altre esperienze urbanistiche degli stessi anni.

Forse è proprio grazie alle possibilità di relazione offerte dall’ originale impianto urbanistico dell’Isolotto,  che è stato più facile il nascere e poi  il progredire della comunità; all’inizio attorno alla chiesa parrocchiale  e poi proprio alle baracche verdi  e all’aperto della piazza nel 1968, anno in cui la crisi con la Diocesi portò all’allontanamento delle due guide morali dei fedeli don Enzo Mazzi e don Sergio Gomiti. Essi rimasero col popolo, ma non nella chiesa parrocchiale, che fu affidata dal Vescovo Ermenegildo Florit a sacerdoti provenienti da Vicenza.

È a questa data che si riferiscono i cinquant’anni della comunità , anche se il quartiere come tale risale al 1954. 

Nel corso degli anni la comunità è stata promotrice dei collegamenti tra le Comunità di Base sia  italiane che estere, e di una quantità di iniziative, di ricerche e di studi, promovendo un cristianesimo che riscoprisse il senso più autentico dell’ essere chiesa-ecclesia, incurante dei conformismi e insofferente nei confronti dell’autorità imposta e non condivisa, dovunque essa fosse. Nello spirito delle linee tracciate dal concilio, la partecipazione dei parrocchiani –fuori dalle mura della parrocchia- fu corale; col tempo la comunità ha sperimentato e vissuto nuove forme di laicità e di spiritualità.

Per diversi anni l’Isolotto è stato un punto di osservazione focale per cristiani, sociologi, politici, teologi, italiani e stranieri (qualcuno ricorda ancora le interviste di giornalisti olandesi, francesi, inglesi, tedeschi e vietnamiti… in una Italia allora davvero “piccola”).

Il sollevamento di pensieri e coscienze - anche in senso negativo e di opposizione -  fu enorme , per molti anni.

La vicinanza di gran parte dei fedeli al PCI e ad altri partiti della sinistra caratterizzò indubbiamente i modi di comunicare e di operare della comunità. In parte questo contribuì - assieme alla Parrocchia guidata da altri sacerdoti - a creare profonde spaccature tra i cristiani del quartiere.

La successiva divisione della città in circoscrizioni , negli anni settanta, avrebbe rimarcato ancor più l’aspetto sociale e politico del fare “comunità”: il Quartiere quattro era l’Isolotto delle baracche.

Di quegli anni è un’interessantissima pubblicazione del 1969 “ L’esperienza cristiana dell’ Isolotto”, scritta dal letterato francese Jacques Servien che la comunità ha quasi riscoperto, tradotto e pubblicato proprio in occasione di questo incontro, per farla conoscere ad un pubblico più ampio.

Il suo “ritrovamento” ha un sapore particolare perché si tratta di una analisi acuta e puntuale della Chiesa fiorentina e italiana di quegli anni, effettuata proprio mentre i “fatti” avvenivano e le personalità emergevano (appunto don Mazzi, don Borghi , don Milani , don Balducci) … scritta nel ‘69 da un laico francese, studioso di letteratura italiana, presente a Firenze solo per alcuni anni ,  pubblicata poi con uno pseudonimo (quindi difficilmente rintracciabile),  e infine circolata solo in Francia, in ambito cattolico.

 Dopo una breve introduzione di Paola Ricciardi e Claudia Daurù , la storica del Cristianesimo Anna Scattigno (Università di Firenze) ha aperto l’incontro parlando appunto di Jacques Servien e dell’opera appena tradotta, introducendo agli aspetti ecclesiastici, conciliari, culturali e politici di quel periodo.

L’incontro è poi continuato con una interessante tavola rotonda coordinata da Valerio Gigante dell’agenzia di stampa  ADISTA (agenzia anch’essa cinquantenne, fondata nel 1967).

Hanno preso la parola tre studiosi : Alessandro Santagata (università Tor Vergata, Roma), Sergio Tanzarella (Università di Napoli), Pietro Giovannoni (Istituto Superiore di Scienze Teologiche, Arezzo) che da angolature diverse hanno ripercorso  gli anni della Chiesa fiorentina, di La Pira, della situazione socio-politica e religiosa , della storica contrapposizione DC-PCI e soprattutto dei fermenti del mondo cattolico in cui si inseriva  il ”fenomeno Isolotto”. 

Il pomeriggio è stato dedicato all’incontro e al confronto con molte esperienze comunitarie italiane e toscane, tra cui la nostra Koinonia.

La scomparsa di don Enzo Mazzi (in questi stessi giorni di ottobre, nel 2011) ha lasciato nel popolo dell’Isolotto un vuoto importante.

Don Sergio Gomiti, che da anni cura in modo specifico l’archivio della comunità, ha però seguito con attenzione l’incontro (dall’alto dei suoi 83 anni e di una vita spesa per gli altri insieme ad Enzo), facendo due brevi e vivaci interventi, all’apertura dei lavori ed il giorno dopo in piazza, come anni fa.

In quella piazza dove per l’occasione si è ritrovato ancora una volta il popolo dell’Isolotto, sotto una pioggia leggera.

 La piazza: un luogo aperto, largo, senza mura, sconfinato. A differenza del palazzo. 

La piazza: luogo di passaggio, precario, provvisorio, indifeso. A differenza della casa.

La piazza: luogo dell’accoglienza per tutti gli espulsi, dimora dei senza dimora, luogo dell’incontro, fugace, dell’evento senza rito, della scoperta di volti nuovi, senza maschere, crocicchio di strade che vengono da posti diversi e vanno in direzioni anche opposte. A differenza dell’etnia, della nazione, del partito, del tempio. (Enzo Mazzi)

 

Renato Scianò