Koinonia Novembre 2018


PERSONAGGI E VICENDE a cura di Sara Rivedi Pasqui

 

L’usignolo dei Linke

 

Helga Schneider è nata in Polonia nel 1937, ha vissuto in Germania ed in Austria, dal 1963 si è stabilita in Italia e ne ha preso la cittadinanza, attualmente vive e lavora a Bologna, coerente con la sua scelta ha adottato la nostra lingua per la sua attività letteraria.

La sua vita è stata segnata dall’abbandono da parte della madre che nel 1941 lasciò la famiglia composta dal marito Stefan, dalla figlia Helga di quattro anni e dal figlioletto Peter di appena due anni per diventare ausiliaria delle SS, in seguito guardiana al campo femminile di Ravensbruk e poi presso quello di Auschwitz-Birkenau.

La scrittrice si afferma nel mondo letterario nel 1995 con Il rogo di Berlino che diviene subito un caso editoriale. E’ il suo primo romanzo dai richiami autobiografici, infatti vi ripercorre le vicende della sua infanzia trascorsa a Berlino nel periodo più tragico e sinistro del nazismo cioè quello precedente la caduta del III Reich, narra i mesi vissuti nella cantina del palazzo dove abitava, la distruzione della città sottoposta a continui e violenti bombardamenti e anche la visita al bunker di Hitler insieme alla zia, collaboratrice di Goebbels. Nel 2001 esce Lasciami andare, madre, il secondo libro autobiografico scritto dopo l’incontro con la madre avvenuto nel 1998. La scrittrice tenta per la seconda volta un approccio con colei che l’aveva abbandonata in tenera età scegliendo di essere parte attiva del disegno criminale nazista di morte e sterminio. L’incontro risulterà sconvolgente e traumatizzante perché la donna ormai vecchia e quasi svanita, “furba, sleale, ipocrita ... “, rivela la completa assenza di pentimento e difende con fierezza le scelte fatte.

Del 1998 è il libro Il piccolo Adolf non aveva ciglia in cui l’autrice narra una storia vera che porta alla luce ancora una tragedia frutto della ferocia e dell’efferatezza nazista: il programma di eutanasia ordinato da Hitler nel 1939 per eliminare vecchi, disabili, malati, sempre al fine di ottenere la pura razza ariana e così morirono nelle camere a gas circa 70.000 cittadini tedeschi. Nel febbraio 2004 esce L’usignolo dei Linke, il terzo libro a tema autobiografico in cui di nuovo la scrittrice riporta alla luce una tragedia dell’ultimo inverno di guerra completamente ignorata dalla Storia e cioè la fuga di migliaia di tedeschi dalla Prussia orientale [1].

Helga Schneider si rivela una bravissima scrittrice perché fa rivivere al lettore la sua esperienza di fanciulla durante la II guerra mondiale curando nei minimi particolari fatti, episodi, stati d’animo, ma anche molto coraggiosa come persona perché non si nega, non si nasconde, non elude il passato, accetta con onestà il ruolo di testimone senza cedimenti, infingimenti, giustificazioni. Vorrei ancora segnalare il libro uscito nel 2002 dal titolo Stelle di cannella un racconto per ragazzi edito nel 1993 da Salani. La bibliografia di Helga Schneider comprende ancora La bambola decapitata pubblicato nel 1993 e Porta di Brandemburgo. Storie berlinesi del 1997, ma come ho già accennato all’inizio è con Il rogo di Berlino che ottiene il successo e guadagna l’attenzione del mondo letterario. Alla fiera del libro per ragazzi del 2004 è stato presentato L’albero di Goethe un romanzo per adolescenti che ha come tema la violenza sui minori nei lager nazisti. L’ultimo libro pubblicato risale al 2017, Un amore adolescente, una storia delicata come l’adolescenza, che racconta la paura e la voglia di crescere.

L’usignolo dei Linke (Adelphi 2004) non è un romanzo, ma un libro della memoria il cui filo si dipana dal gomitolo dei ricordi e degli avvenimenti che la scrittrice tiene tra le sue mani, o meglio ancora nel suo cuore. Insieme a lei partecipiamo a vicende tragiche, accadimenti taciuti ed obliati dalla grande Storia, ma vissuti e sofferti da gente comune, inerme, indifesa cioè vecchi, donne, e bambini (gli uomini validi erano tutti al fronte) durante la II Guerra Mondiale.

Helga Schneider all’inizio, narra come nel giugno del 1945 le autorità polacche costrinsero gli abitanti di cittadinanza tedesca ad andarsene abbandonando case, terre  e tutto ciò che possedevano per far ritorno in Germania, poi riporta alla luce un altro episodio doloroso e cioè la fuga nell’inverno del 1945 delle popolazioni tedesche dalla Germania Orientale dove l’Armata Rossa avanza distruggendo tutto ciò che incontra sul suo cammino, seminando morte terrore,  lacrime e sangue. Questi due episodi avvenuti nello stesso anno denunciano con la loro tragicità le conseguenze negative della spietata ambizione di Hitler e dei suoi seguaci. Va subito chiarito, per non cadere in errore, che la scrittrice non vuol riabilitare nessuno, né sparigliare le carte capovolgendo i fatti, si limita a raccontare ciò che è accaduto, ma ogni sua pagina è una denuncia della brutalità, del cinismo, della spregiudicatezza nefasta del regime nazista. Non fa del revisionismo, porta alla luce avvenimenti tragici e dolorosi che rivelano quanto è facile per l’uomo trasformarsi in una belva assetata di sangue, lasciarsi vincere dall’odio e compiere atti turpi e bestiali. Testimoni della sofferenza, ma anche della brutalità e della violenza sono gli adolescenti ed in particolare un ragazzo, Kurt Linke.

La vicenda si svolge nell’estate del 1949 in Austria, presso la località di Attersee. Helga, appena undicenne, da qualche mese ha raggiunto, con il fratellino Peter e la matrigna Ursula, la casa dei nonni paterni, Ernst e Maria, che hanno finalmente un posto dove vivere tranquillamente dopo la cacciata dalla Polonia del 1945 ed un periodo trascorso in Baviera. I due fratellini si sono ricongiunti al padre, figura assai opaca e scialba, e godono della presenza rassicurante e dolce dei due anziani contadini. La casa che li ha accolti appare alla ragazzina un luogo beato e protetto con l’orto, il giardino, la gabbia dei conigli, il lago con il pontile in legno ed un cane, un bastardino di nome Puzzi. La bambina porta nell’anima la ferita dell’abbandono materno, la matrigna le è ostile, il padre indifferente e apatico, ma quella casa le piace, la ama a prima vista perché “vi si respira la pace” e rappresenta “un mondo nuovo, vero, pulito”. Purtroppo la casa non era sempre stata un caldo rifugio, in un passato assai recente ai nazisti era servita come punto di raccolta per i prigionieri da mandare nei lager. Helga apprenderà la notizia da Gerda, una giovane che durante l’inverno si ferma, in compagnia dei nonni, per rivedere il luogo in cui, con la madre incinta, aveva sostato nel 1942 prima di raggiungere Auschwitz dove la donna muore in tragiche circostanze.
Ancora una giovane vita travolta e lacerata dalla ferocia nazista! Ed ancora dei nonni comprensivi, protettivi e teneri. Il libro dà largo spazio al loro ruolo, si può affermare che essi si assumono il compito di guida e sostegno che i genitori non hanno voluto (caso di Helga) o non hanno potuto (caso di Gerda e di Kurt) assolvere personalmente.

All’inizio dell’estate del 1949 giunge alla casa sul lago di Attersee Kurt Linke, un adolescente scontroso, strano, chiuso in se stesso: è figlio di una pronipote di Ernst che secondo i terapeuti a causa delle drammatiche esperienze vissute, è sprofondato in un “lutto patologico”. La ragazzina lo troverà subito antipatico, ma i nonni la pregano di essere paziente e gentile con lui. L’approccio con il ragazzo non sarà affatto facile, spesso l’aggressività, la scontrosità e l’atteggiamento volutamente sprezzante dietro cui cela la sua sofferenza infastidiscono e mettono a dura prova la pazienza di Helga, ma dopo diversi scontri verbali Kurt intuisce di avere trovato in lei un’amica e finalmente le parole raggelate ritroveranno voce ed il dolore soffocato da troppo tempo eromperà impetuoso e così potrà rivelare alla ragazzina un po’ brusca, ma leale, i ricordi terribili e dolorosi che lo  angosciano.

Kurt ha nove anni quando inizia l’esodo dei tedeschi orientali; egli vive con il nonno Linke e la madre Ludwika, in una fattoria della Prussia orientale, ma nel Gennaio del 1945 l’Armata Rossa riesce a travolgere le linee tedesche e dalla Vistola avanza verso occidente. Gli abitanti di quelle terre, terrorizzati, cercano scampo nella fuga con la speranza di raggiungere il mar Baltico e da li, a bordo di una nave, la Germania occidentale. La famiglia Linke abbandona la casa e la terra e, su di un carro trainato dal buon cavallo Teodor, si unisce alla carovana dei fuggiaschi i quali temono di cadere prede e vittime dei soldati sovietici, di essere fucilati dai tedeschi perché Hitler aveva ordinato di respingerli indietro, di essere bombardati dagli aerei angloamericani.

Il ragazzo soffre il primo lacerante distacco quando è costretto a lasciare la casa, caldo rifugio, le bestie, il cane insomma le sue radici ed i suoi affetti, poi verranno le altre sofferenze: il freddo micidiale, la fame, la dissenteria, la febbre ed i numerosi morti abbandonati lungo i margini della strada. Il nonno Linke, guida e sostegno morale per il piccolo Kurt perché la madre è inebetita dal terrore e dal dolore, muore durante l’estenuante viaggio, è dunque il ragazzo ad assumersi il compito di capofamiglia, cerca di scuotere la donna dal torpore in cui è caduta, provvede a nutrire il fratellino di pochi mesi e con la forza della disperazione riuscirà a raggiungere la nave e ad issarsi a bordo incitando Ludwika e stringendosi al petto il piccolo. Quando crederà di essere riuscito nel suo intento, cioè avere posto in salvo quel che resta della famiglia, un marinaio gli farà notare che stringe a sé un cadavere: da quel momento il dolore sommerge il ragazzo che si chiude nel silenzio divenendo scontroso e scostante.

La vicinanza di Helga e la sua determinazione ad aiutarlo a parlare, a confidarsi scioglieranno il nodo che imprigiona lo spirito di Kurt il quale, finalmente liberato, si aprirà al calore dell’amicizia. Dalla lontana estate del 1949 i due amici si rivedranno, per puro caso, nel febbraio del 2003 ad Amburgo e riallacceranno la vecchia solidale amicizia.

Perché questo titolo? Il nonno Linke era convinto che un usignolo, ogni anno a primavera, tornasse a rallegrare la casa con il suo canto melodioso. In realtà era il buon saggio vecchio a volerei credere, dopo tanti anni Kurt confessa ad Helga di essere certo che di nuovo un usignolo torni a cantare nel suo giardino. L’uccellino rappresenta il sogno e la speranza che convivono nel cuore di ogni uomo, ma vuole essere anche il simbolo di continuità con il passato.

 

Sara Rivedi Pasqui

 

1] Riguardo all’odissea dei tedeschi in fuga dalla Prussia orientale segnalo un libro che fa luce su questa tragedia: Guido Knopp, Tedeschi in fuga, TEA, 2006

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