Koinonia Novembre 2018


La voce di Frei Betto

PAOLO VI E OSCAR ROMERO 

PROCLAMATI SANTI

 

Papa Francesco ha elevato agli onori degli altari due nuovi santi: il papa Paolo VI, che ha occupato la cattedra di Pietro per 15 anni (dal 1963 al 1978), e monsignor Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, assassinato per ordine della dittatura del suo Paese il 24 marzo del 1980.

Io sono grato ad entrambi. Nel 1969, durante il pontificato di Paolo VI, un gruppo di frati domenicani brasiliani fu arrestato dal regime militare, come documenta il film “Battesimo di sangue”, diretto da Helvécio Ratton e basato su un mio libro pubblicato da Sperling & Kupfer.

Alcuni cardinali e vescovi accettarono la versione della polizia, cioè che eravamo detenuti perché accusati di “terrorismo”. Non fu così per i nostri superiori a Roma, che ci fecero visita in prigione e, certi convinti dell’ingiustizia commessa dalla dittatura, informarono il papa Paolo VI. Egli ci inviò in dono un rosario fatto con i semi delle olive dell’Orto degli Ulivi di Gerusalemme e un’affettuosa lettera (scritta di suo pugno). Inoltre, lesse le mie lettere dal carcere, pubblicate in Italia prima che in Brasile.

Contrariato dal fatto che il cardinale Angelo Rossi avesse accettato la versione di quei criminali e negato che in Brasile si praticasse la tortura, lo rimosse dal suo incarico e nominò al suo posto Paulo Evaristo Arns, il quale ci diede tutto il suo appoggio e si distinse come uno dei più importanti difensori dei diritti umani; lo dimostrano il suo comportamento nel caso di Vladimir Herzog e l’aver scritto, insieme al reverendo Jaime Wright, un importante libro - “Nunca Mais” - in cui si denunciavano i metodi abominevoli del regime militare.

Fra gli altri meriti, Paolo VI ha avuto quello di aver dato continuità al Concilio Vaticano II convocato dal suo predecessore Giovanni XXIII, e di aver incoraggiato il rinnovamento della Chiesa Cattolica pubblicando l’enciclica Populorum Progressio (1967), che è un pilastro della Teologia della liberazione, perché evidenzia la dimensione politica della fede cristiana e sottolinea il concetto di peccato sociale.

Ho conosciuto monsignor Romero nel 1979 a Puebla, in Messico, durante la Conferenza episcopale latinoamericana aperta dal papa Giovanni Paolo II. Gli diedi le mie “Lettere dal carcere”. Perseguitato dai militari al potere  nel Salvador, mi ringraziò: “È possibile che anche io debba imparare a scrivere lettere come queste” mi disse sorridendo.

Non ne ebbe il tempo. Fu assassinato durante la celebrazione eucaristica da coloro che credevano di poter ridurre al silenzio con le armi la forza della verità.

Monsignor Romero era un vescovo conservatore, legato alla classe dominante del Paese ed era prevenuto nei confronti della Teologia della liberazione. Diffidando delle lezioni sulla Bibbia tenute da un sacerdote progressista, una volta si nascose dietro una tenda della sala per accertarsi personalmente delle eresie esegetiche del conferenziere. Il risultato fu il contrario: l’arcivescovo si convinse che la lettura della Bibbia nell’ottica degli oppressi avvicina la fede all’essenza della rivelazione divina. E diventò la voce di coloro che erano stati privati di diritti, libertà e vita in Salvador .

Canonizzare un cristiano, proclamare la sua santità, non significa esaltarne la perfezione. Tutti siamo limitati e segnati dal peccato. La Chiesa considera santità il fatto che questi cristiani hanno dato testimonianza dei valori evangelici. Hanno seguito con coraggio il cammino indicato da Gesù. Hanno assunto comportamenti eroici, affrontando senza timore accuse e persecuzioni.

Non sono elevati agli onori degli altari per essere adorati, ma perché siano di esempio a tutti coloro che, come Gesù, donano la loro vita “perché tutti abbiano vita, e vita in abbondanza” (Gv 10,10).

 

Frei Betto

 

 

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