Koinonia Ottobre 2018


PAOLO VI, IL CONCILIO, IL DISSENSO

 

Come ha reagito il cattolicesimo che ci si ostina a chiamare, impropriamente, «ufficiale» di fronte al fenomeno del dissenso cattolico? Colui che fino a nuovo ordine dev’essere considerato il portavoce e l’interprete più autorevole non solo del cattolicesimo «ufficiale» ma del cattolicesimo tout court, e cioè il pontefice romano, si è pronunciato a varie riprese sull’argomento, per lo più alludendovi indirettamente, talvolta chiamando direttamente in causa e menzionando esplicitamente i gruppi cattolici dissidenti. Due discorsi, in particolare, devono essere ricordati, quelli dell’11 e del 18 settembre 1968. Conviene riportarne in extenso le parti centrali.

Nell’allocuzione dell’11 settembre, riferendosi alla «spontaneità di pensiero e di azione, che ha invaso molti figli della Chiesa» (cioè, appunto, ai cosiddetti gruppi spontanei), dopo aver dichiarato di voler «vedere con rispetto e con simpatia questa fioritura di energie spirituali», Paolo VI così proseguiva:

“Ma questa vegetazione spirituale cresce di solito fuori dai solchi normali del campo apostolico. È d’istinto un fenomeno con tendenza “anti-istituzionale”. Si appella oggi alla libertà religiosa, all’autonomia della coscienza, alla maturità del cristiano moderno. Si vale d’un genio critico, spesso indocile e superficiale, che rasenta talora il libero esame; tollera a malincuore il magistero ecclesiastico e ne contesta talvolta l’estensione e l’autorità;... difetta spesso d’integrità dottrinale e di vissuta carità familiare e sociale; si forma un senso della Chiesa suo proprio, affrancato dagli impegni consueti della comunità compaginata dalla norma canonica; e si propone invece impegni singolari, buoni e austeri forse, ma staccati dal contesto ecclesiale, e perciò facili a decidere. Sono ruscelli che non fanno fiume. Sono spesso forze magnifiche, che, senza volerlo, poco costruiscono e talora disturbano, e che, dopo momenti di grande fervore, di solito si affievoliscono e si disperdono. La Chiesa ammette il pluralismo delle forme di spiritualità e di apostolato, e spesso incoraggia il sorgere di libere associazioni, ma non cessa di raccomandare che l’apostolato sia ordinato e organizzato, e che sia evitata la dispersione delle forze...”.

Nel discorso del 18 settembre la valutazione del pontefice si fa meno serena e il giudizio diventa severo, persino pesante:

“Alcuni pensano che il Concilio sia già superato; e, non ritenendo di esso che la spinta riformatrice senza riguardo a ciò che quelle solenni assise della Chiesa hanno stabilito, vorrebbero andare oltre, prospettando non già riforme ma rivolgimenti, che credono potere da sé autorizzare, e che giudicano tanto più geniali quanto meno fedeli e coerenti con la tradizione... Uno spirito di critica corrosiva è diventato di moda in alcuni settori della vita cattolica... Che cosa diremo poi di certi recenti episodi dì occupazione di Chiese cattedrali, di approvazione di films inammissibili, di proteste collettive e concertate contro la Nostra recente Enciclica, di propaganda della violenza politica per scopi sociali, di conformismo e manifestazioni anarchiche di contestazione globale, di atti di intercomunicazione contrari alla giusta linea ecumenica... L’Amore alla Chiesa! Vogliamo ancora supporre ch’esso non sia spento in persone che si qualificano cattoliche e che si appellano a Cristo... Noi tanto più lo desideriamo questo amore ecclesiale quanto maggiore è il nostro rammarico d’osservare come molti di questi cattolici inquieti sono partiti da un’alta vocazione all’apostolato, cioè al servizio e alla dilatazione della Chiesa, e come per quell’acido spirito di critica negativa abituale, del quale dicevamo, si sono impoveriti e talora svuotati di amore apostolico, fino a diventare, in certi casi, molesti e nocivi alla Chiesa di Dio. Vengono alle labbra le parole di Gesù: “Inimici hominis domestici eius”, i nemici dell’uomo saranno i suoi di casa!”.

Il giudizio complessivamente negativo formulato da Paolo VI sul dissenso cattolico poteva considerarsi scontato, come pure erano prevedibili le critiche specifiche mosse dal pontefice ai cattolici dissidenti: irrequietezza spirituale, indocilità o aperta insubordinazione nei confronti della gerarchia, frazionismo, rottura con la tradizione, carenza di integrità dottrinale, spirito di critica corrosiva, tendenza all’anarchismo, al rivoluzionarismo e ad attività politiche sovversive, mancanza di amore per la Chiesa. Ma fra le osservazioni critiche fatte dal pontefice una in particolare merita di essere rilevata: quella relativa ai rapporti tra cattolicesimo del dissenso e cattolicesimo conciliare. Secondo Paolo VI, il dissenso sta di fatto superando le posizioni cattoliche raggiunte e fissate dal Concilio Vaticano II («vorrebbero andare oltre...»). È esatta una simile valutazione? Pensiamo di sì. Nella prima parte di questo studio abbiamo indicato tutta una serie di temi e motivi tipici del dissenso che costituiscono o implicano un oggettivo superamento delle posizioni conciliari. Eccone una rapida sintesi.

Il dissenso sta oggettivamente superando il discorso conciliare sul piano ecclesiologico in diverse direzioni. Mentre il Concilio ha riaffermato, sia pure nel contesto del «popolo di Dio», la fondamentale struttura gerarchica della Chiesa, il dissenso insiste fortemente sulla sua dimensione assembleare e comunitaria, per cui: 1) la teologia della Chiesa locale non è più centrata sulla persona del vescovo ma sulla assemblea dei fedeli; 2) la comunione ecclesiale non è più gerarchica ma fraterna; 3) la collegialità non è più oligarchica ma comunitaria; 4) il popolo cristiano non è solo valorizzato ma emancipato; 5) l’autorità dei «pastori» è riconosciuta nella misura in cui emana dalla volontà del «popolo di Dio» e la esprime, ma non lo è quando si sovrappone autoritariamente ad essa e la sostituisce ed esautora; 6) il governo della Chiesa dev’essere co-gestito da tutto il popolo di Dio, che non dev’essere solo consultato ma ascoltato: agli organi che, durante il Concilio e dopo, sono stati istituiti a diversi livelli come organi consultivi occorre attribuire poteri deliberanti; 7) la forte tendenza anti-gerarchica e anti-autoritaria sfocia nella negazione, aperta o latente, della funzione mediatrice della gerarchia, mentre la tendenza anti-sacrale porta alla negazione della funzione mediatrice della Chiesa.

Per quanto concerne i rapporti tra Chiesa e mondo, mentre il Concilio ha elaborato una ecclesiologia che tutto sommato resta di tipo «costantiniano», in quanto tende, ancora e sempre, alla consecratio mundi, per cui «la Chiesa si presenta di fronte al mondo come ‘amica e alleata’ (Paolo VI), rinuncia alla contestazione profetica, procede alla consacrazione religiosa della società costituita»; il dissenso si muove in direzione opposta in quanto concepisce la Chiesa come «momento critico permanente» nell’ambito della società in cui vive, per cui: 1) la Chiesa non può fungere da «cappellano del sistema» ma deve svolgere un ruolo di denuncia profetica delle ingiustizie sociali (particolarmente gravi nel mondo capitalistico), rinunciando preliminarmente a qualsiasi connivenza col potere costituito, quindi al suo proprio potere temporale, ai suoi legami col «regno del danaro», a tutta l’attività diplomatica e, in primis, alla politica concordataria; 2) la Chiesa deve diventare povera, cioè identificarsi con i poveri, gli oppressi, gli sfruttati, stare dalla loro parte, far propria la loro causa, combattere la loro battaglia. «Contro la “chiesa di classe”, per una Chiesa umile, povera, libera e profetica »: questa è l’alternativa che il dissenso propone all’ecclesiologia ancora costantiniana del Concilio Vaticano II. Alla Chiesa neo-costantiniana del Concilio e soprattutto di Paolo VI, il dissenso contrappone una Chiesa di tipo pre-costantiniano.

Si può quindi legittimamente concludere che, sul piano ecclesiologico, tra dissenso e Concilio si è venuto istituendo un singolare rapporto dialettico, per cui mentre il primo si richiama insistentemente al secondo e si propone soltanto di esplicitarlo, in realtà lo supera, integrando le scelte conciliari con temi e motivi che erano loro estranei oppure deducendone posizioni che esse non implicavano. Non che vi sia sempre aperta e palese contraddizione tra le posizioni del Concilio e quelle del dissenso; ma non vi è neppure, tra loro, perfetta omogeneità e piena coerenza. Il dissenso reinterpreta il Concilio a partire dalla propria esperienza e dalle proprie esigenze. La sua esegesi dei documenti conciliari è una libera rielaborazione, in base alle proprie istanze innovatrici, del pensiero dei «padri», più che una sua fedele riproduzione. Se è vero che un fenomeno come il dissenso non può essere spiegato senza ricorrere al Concilio, è altrettanto vero che il Concilio non basta a spiegare il dissenso. Anche quando si rifà esplicitamente al discorso conciliare, il dissenso ne prolunga sempre le linee in direzioni che, in sede di Concilio, o non sono emerse oppure non sono state raccolte dalla maggioranza dell’assemblea. Effettivamente, come sostiene Paolo VI, il dissenso «va oltre» il Concilio e percorre una via che non è quella maestra tracciata dal Vaticano II. Tra Concilio e dissenso c’è qualcosa di diverso che un rapporto di filiazione diretta: c’è simultaneamente continuità e superamento, esplicitazione e rottura. Se il trapasso dal cattolicesimo post-tridentino e controriformistico al cattolicesimo conciliare poteva essere descritto come un «superamento senza rottura», il trapasso dal cattolicesimo conciliare al cattolicesimo del dissenso può essere descritto come un «superamento con rottura» - non programmata, è vero, ma realizzata di fatto. Tanto più che mentre il Concilio doveva, sì, compiere - come disse Giovanni XXIII - «un balzo innanzi» rispetto al cattolicesimo tradizionale, ma partendo «dalla rinnovata, serena e tranquilla adesione a tutto l’insegnamento della Chiesa nella  sua interezza e precisione, quale ancora splende negli atti conciliari da Trento al Vaticano I... », il dissenso non manifesta alcuna preoccupazione di continuità storica e teologica con la tradizione cattolica in quanto tale, tende anzi a «saltarla» ricollegandosi, semmai, con la tradizione cristiana dei primi secoli.

 

 Paolo Ricca

Il cattolicesimo del dissenso. Una valutazione protestante, Claudiana 1969, pp. 31-35

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