Koinonia Ottobre 2018


“Il flautista” di Bruno Antonello

 

Questo dipinto è stato composto dal pittore contemporaneo Bruno Antonello di Cittadella (Padova) espressamente per questa pubblicazione, il cui tema: «Che cosa accade quando si muore?» gli ha ispirato questo quadro. Desidero qui esprimergli la mia più viva gratitudine. Questo suo lavoro, come ogni opera d’arte, si presta a molteplici letture. Ne propongo una per suscitarne altre. Diverse cose mi hanno colpito a prima vista. (1) Anzitutto il fatto che il flautista, nel quale istintivamente ci identifichiamo (anche se non sappiamo suonare il flauto), non cammina su una strada (per quanto impervia possa essere) Commento alle illustrazioni e neppure su un sentiero (per quanto stretto lo si possa immaginare), ma su un filo sottile, con un doppio rischio di caduta: il flautista può cadere da un momento all’altro, o perché perde l’equilibrio, o perché il filo si spezza. (2) Ma lui non sembra accorgersi del pericolo e continua spensierato a suonare e camminare. Come mai non si accorge di un pericolo così evidente? Perché è un credente o perché è un incosciente? E se è un credente, in che cosa crede realmente? Nelle sue forze e nel suo equilibrio? O nella resistenza del filo? O nelle due mani che lo tengono teso in modo che ci si possa camminare sopra? (3) Il filo ha certamente un valore simbolico, che può essere questo: la vita umana corre su un filo che può effettivamente spezzarsi da un momento all’altro. È dunque letteralmente «appesa a un filo» anche nella normalità quotidiana del suo svolgersi. In questo senso, a ben guardare, la vita è un miracolo che si rinnova non solo di giorno in giorno, ma di istante in istante. Il filo rappresenta dunque il fatto che la vita è possibile, pur essendo sospesa sul Nulla che la circonda e minaccia da ogni lato. Non c’è rete di protezione. D’altra parte però il filo non può essere isolato dalle due mani che lo tengono teso e perciò percorribile. Non ci solo il Nulla, oltre al filo;, ci sono anche due mani delle quali il flautista si può fidare, supponendo che si accorga della loro esistenza. Ma forse è troppo preso dalla musica e dimentica tutto il resto. (4) Che cosa rappresentano le due mani? Di chi sono? Non si sa. Ma intanto ci sono, anche se non è detto che il flautista ne sia consapevole. Sono mani che si trovano all’origine e alla fine del filo della vita e indubbiamente la favoriscono: sono dunque mani amiche. È consolante o quantomeno rassicurante che esse si trovino nei due grandi spazi che compongono il quadro: uno più scuro a destra (di chi guarda), e uno più chiaro a sinistra. Anche sul versante scuro della vita c’è una mano amica. E comunque: l’itinerario del flautista va dal buio alla luce. Come si dice abbia mormorato Goethe in punto di morte: Mehr Licht! («Più luce!»). (5) L’uomo in cammino è raffigurato mentre suona il flauto. Il suo passo è un passo di danza. Che cosa vuol dire? Vuol dire che vivere è bello, dà gioia, invita alla festa. Certo, la vita è anche altro - chi non lo sa? È lavoro, fatica, lotta, conflitto, problemi, ferite, dolori... chi non l’ha dovuto imparare suo malgrado? Chi può ignorare l’infinita sofferenza del mondo? Eppure, alla fine, malgrado tutto, il flautista ha ragione: vivere è bello. (6) Dove si trova il flautista sulla linea della vita? Esattamente sul confine tra il suo lato oscuro e il suo lato chiaro, tra l’ombra e la luce, con un piede di qua e uno di là. Proprio questa è la nostra posizione in questa vita: viviamo sul confine tra essere e non essere, realtà e sogno, sostanza e apparenza, verità e finzione, fede e dubbio, speranza e rassegnazione, amore e indifferenza, e così via. Sul confine: lì sempre ci troviamo, e dobbiamo scegliere ogni giorno in che direzione andare: se avanzare verso la luce o indietreggiare verso il buio.

 

Paolo Ricca

In  Dell’aldilà e dall’aldilà, Claudiana 2018, pp. 169-70

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