Koinonia Ottobre 2018


Osare il grande salto nel cosmo 

Il “Dio personale” di Etty Hillesum*

 

La tesi che sosterrò stamani, ovvero che la visione della vita e delle cose che questa giovane donna ebrea olandese, Etty Hillesum, sviluppò, peraltro in un brevissimo lasso di tempo, non solo abbia molto da dire al nostro tempo ma di più, contenga risposte plausibili ed efficaci alla ricerca di senso e spirituale della nostra epoca post-religiosa e secolare perché Etty era homo o meglio mulier saecularis (per usare una categoria del prof. Berzano), post religiosa. E’ in questa chiave che vorrei proporvela stamani.

Il prof. Nesti ha già detto molto su chi sia stata Etty Hillesum nella sua introduzione, permettendomi così di risparmiare tempo e non indugiare su particolari biografici. Noi partiremo da quando inizia a scrivere un diario – che è poi tutto ciò che insieme ad alcune lettere ci è rimasto di lei - ovvero nel marzo del 41 quando, a 27 anni, ha da un mese iniziato a curarsi da uno psicoterapeuta. Perché ha bisogno di una terapia psicologica? Nei mali che l’affliggono riscontriamo un’emblematicità molto interessante: sono quelli tipici dell’uomo novecentesco e a maggior ragione nostri. Forti disturbi psicosomatici, caos interiore, un’assenza di punti di riferimento, in tutto ciò un’apparente grande libertà (vive da sola ad Amsterdam, lontana dalla famiglia, non appartiene ad alcuna confessione religiosa); la contraddistingue una grande spregiudicatezza di costumi, decisamente superiore alla media anche in Olanda, ma come l’uomo di oggi sperimenta tutto il peso e il disorientamento di una libertà illusoria, anche lei vive una sorta di cattivo infinito hegeliano - incapacità di organizzare le giornate, dispersione delle forze fisiche intellettuali morali, relazioni con l’altro sesso affastellate e effimere. Paura della follia, paura giustificata dal fatto che i suoi fratelli, per altro geniali, sono affetti da forme psicotiche gravi. Insomma, un vero e proprio “male di vivere”, con un sottofondo costante di tentazioni suicidarie. Lei stessa si accorge che questa matassa aggrovigliata la costringe in un egocentrismo quasi patologico, che addirittura la rende incapace di vedere davvero i problemi politici in cui sono immerse l’Olanda e l’Europa intera.

E Dio? Dio per la Etty del febbraio/marzo del ’41 è solo il Grande Forse (secondo la splendida espressione di Thornton Wilder, Il ponte di San Louis Rey), solo il sospetto fugace di un’armonia nella natura ... qualcosa insomma di incerto e indefinito, qualcosa di assolutamente inutilizzabile ... In questo Etty è sorella dell’uomo di oggi più agnostico che ateo, più distratto che miscredente.

Lo psicoterapeuta a cui si rivolge, Julius Spier, da poco riparato ad Amsterdam dalla Germania per sfuggire alle leggi razziali, è già parecchio noto in città: è un tipo particolarissimo, pieno di fascino, dotato di un vero e proprio carisma, ha fondato una branca nuova della psicologia, la psicochirologia – ritiene di leggere la personalità del paziente nelle sue mani – e può vantare la benedizione del grande Jung; ma quel che più ci interessa qui oggi è che è cresciuto intorno a lui una sorta di circolo cultural- spirituale, di cui è il guru indiscusso.

Etty con Spier per la prima volta legge autori religiosi e spirituali:Tommaso da Kempis, Sant’Agostino e la Bibbia, perché lo psicoterapeuta vive e coltiva una religiosità autentica, profonda, che senza ignorare tuttavia ispirazioni di altro genere, Lao Tse, Buddha, il Talmud, si sviluppa nell’alveo cristiano: quindi avvia Etty ad una spiritualità aliena da qualsiasi confessionalità, in cui convive come spesso succede oggi una costellazione di minoranze, per riprendere la suggestiva immagine di Armando Matteo, al cui centro tuttavia si distingue nettamente il cristianesimo. Tra i due nasce un’amicizia intellettuale e spirituale, un amore che sarà per loro anche una sfida, entrambi si sforzeranno di purificarlo da qualsiasi impulso passionale e dunque egocentrico; complice tutto questo, Etty può iniziare un particolarissimo cammino che sarà di guarigione a tutti i livelli, di “salus” nei due significati che la parola ha in latino. Il benessere olistico di cui è in cerca l’uomo di oggi ...

Fino a quel momento Etty aveva oscillato tra la ricerca di una “formula che riscatti il disordine” (un sistema filosofico) e l’abbandono istintivo alla vita – per lei, troppo colta, troppo avvertita, impossibile. Un aut aut che non la portava da nessuna parte.

Sarà Spier a indicarle la terza via, fornendole un training che è psicologico e spirituale allo stesso tempo, la aiuta a rintracciare in sé un centro unificante più in profondità – non può essere il mero intelletto, i sistemi non salvano, non è nemmeno l’istinto; gli strumenti consigliati saranno la scrittura del diario, e qualcosa che assomiglia alla meditazione, praticando la quale anche Etty, come già il suo maestro, entra in contatto con una zona più profonda e libera di sé, che possiamo chiamare spirito, cuore. E così inizia la serie di scoperte interiori che la porteranno in pochi mesi ad una vera e propria conversione, non nel senso religioso confessionale, ma nel senso etimologico, di cambiamento di rotta, di prospettiva, di sguardo sulle cose.

Lei stessa ci descrive la svolta: prima soffriva una sorta di bulimia, voleva impadronirsi di tutto ciò che è bello, fagocitandolo, ora è capace di contemplare la bellezza; prima oscillava tra gozzoviglie sfrenate e giorni bui, afflitti da mali fisici e disperazione, ora le sue giornate prendono naturalmente un loro ordine e ogni istante è pregno di significato, tutto guadagna un suo senso.

Grazie a Spier, che poi chiamerà il “maieuta della sua anima”, Etty entra in contatto con una dimensione di sé fino ad allora inesplorata, in cui sperimenta finalmente la quiete – perché la pace non dipende da ciò che succede all’esterno, ma da quanto si vive radicati nel centro di noi; scopre che si può riposare in se stessi, essere davvero se stessi ascoltando ciò che sale da dentro, liberi da ciò che avviene all’esterno, e che tanto ci condiziona – siano eventi, parole pronunciate da altri – ma anche dalle parti di sé più passionali, quindi più passive, condizionate da istinti o sentimenti.

Allenandosi quotidianamente nella direzione di togliere ossigeno al piccolo io con tutti i suoi limitati e meschini sentimenti, più tardi sarà capace di spegnere le mille paure, i terrori suscitati dalle persecuzioni razziali.

Si tratta di una vera ascesi, ma praticata in una dimensione assolutamente quotidiana, assolutamente laica: non si tratta di un’ascesi di tipo medievale – Etty è e rimane amante appassionata del suo padrone di casa, quel pa’ Han che potrebbe essere suo padre e nel frattempo coltiva una pur particolarissima relazione con Spier, c’è nella sua storia un aborto voluto, frequenta molti amici, concerti ecc.; tuttavia pratica una sua personale ascesi – potremmo parlare di un’ascesi postmoderna – in cui cerca un’igiene interiore, dell’anima; a questo scopo, mette su in autonomia una batteria di veri e propri esercizi spirituali, si costruisce un suo particolare stile di vita (per usare un paradigma caro al prof. Berzano), funzionale a “allargare” i confini dell’anima, ad accrescere gli spazi interiori, quelli che lei chiama “spazio interiore del mondo” (rubando a Rilke questa espressione) o Regno interiore (mutuando questa volta dai vangeli). Dedicandosi con costanza a questa ascesi, si sentirà sempre più libera e quindi sempre più sana, equilibrata, imparerà a riposare in se stessa, e laggiù nel fondo di sé quella che era prima terra incolta diventerà un’ampia sala accogliente, uno spazio in cui può troverà posto perfino quel qualcosa che Etty fatica a chiamare Dio – non vuole che lo si confonda con quell’essere trascendente con la barba che è dio per molti – e che ben presto diventa la grande autorità centrale che domina e spande luce su tutto il suo essere.

La sua vita diventa “un ininterrotto ascoltar dentro me stessa, gli altri, Dio. E quando dico che ascolto dentro, in realtà è Dio che ascolta dentro di me. La parte più essenziale e profonda di me che presta ascolto alla parte più essenziale e profonda dell’altro. Dio a Dio”.

Etty ci racconta qui una scoperta: ha incontrato quello che i mistici chiamano fondo dell’anima, il luogo sorgivo dell’identità, l’intimità più profonda del soggetto, dove abita Dio, anzi dove in modo misterioso Dio e l’anima sono una cosa sola. Lei che di avventure ne aveva avute tante dirà che Dio è la «più grande e ininterrotta avventura interiore» dell’uomo e che quelle a Dio sono le uniche lettere d’amore che si dovrebbero scrivere. E lei ne scriverà tante, se dalla primavera del ’42 quasi ogni pagina del Diario è una preghiera e sono le pagine più belle insieme ad alcune lettere, la sua vita diviene una preghiera continua.

A questo punto, l’intero suo essere si è dilatato – anche lei un mahatma – il suo io meschino, piccolo, condizionato, angusto, va morendo e con esso si depotenzia ogni giudizio, viene meno ogni proiezione personale, ogni volontà di potenza sulla vita.

 7 luglio [1942], martedì. Di pomeriggio

“La maggior parte delle persone ha in testa rappresentazioni convenzionali della vita, invece ora bisogna liberarci interiormente di tutto, di ogni rappresentazione fossilizzata, di ogni slogan, di ogni legame, bisogna avere il coraggio di distaccarsi da tutto, da ogni modello e da ogni punto di riferimento convenzionale, bisogna osare il grande salto nel cosmo e allora, allora la vita diviene infinitamente ricca, traboccante di doni, anche nella sofferenza più profonda”.

Scaturisce così in lei una lode sempre più convinta all’esistenza che non è bella nonostante il male, ma è proprio bella così com’è: il dolore, la sofferenza le appaiono ora integrate perfettamente nell’armonia cosmica. Non a caso la sua lettura preferita sarà il mistico medievale Meister Eckhart e la “Gelassenheit” (abbandono fiducioso) eckhartiana entrerà nel suo lessico. Nel distacco dall’io, dalle sue proiezioni, dai sistemi consolatori che esso cerca di costruire, si incontra il cosmo: ovvero il senso di tutto.

Quest’esperienza allarga i confini dell’io e lo spinge a superarsi, ad aprirsi.

Comincia a prendere piede un grande amore universale, la caritas evangelica – in cui Etty ha molto creduto e a cui ha molto lavorato -  in assoluta controtendenza rispetto ai tempi, in cui i sentimenti più a buon mercato erano l’odio per i nazisti, il rancore: lei definisce l’odio una malattia dell’anima. Scopre il teorema fondamentale di quella che S. Weil chiamava fisica soprannaturale: se rintuzzi il piccolo io si allarga in te il grande io e, allargandosi questo, si dilata lo sguardo che diviene capace di comprendere e accettare le cose come sono e amare incondizionatamente (ovvero senza un perché, senza una causa né uno scopo).

Via via che impara a liberarsi del suo egocentrismo, ottiene uno sguardo sempre più limpido e ampio sulla realtà: capisce che i nazisti vogliono lo sterminio totale del suo popolo, pensa che sia tempo di scelte, di prendersi le proprie responsabilità, non vuole fare come i più che cercano di mettersi in salvo a tutti i costi. Lei vuole condividere la sorte del suo popolo senza sottrarsi e individua la sua piccola missione nel farsi mandare nell’inferno di Westerbork. Il suo compito, individuato dopo attenta indagine in se stessa, sarà di aiutare come potrà il suo popolo materialmente ma soprattutto spiritualmente: tenterà di fare per gli altri quello che Spier ha fatto in lei, disseppellire Dio dai cuori devastati. Lei, che mantiene un così profondo dialogo con Dio, si sente scelta per essere custode di Dio, in quei tempi tanto difficili in cui il dolore, la rabbia, l’odio cancellavano agli occhi dei più le tracce di Lui. Voleva portare agli altri la sua scoperta: non è Dio che può aiutare noi, ma siamo noi a dover aiutare Lui così aiutiamo noi stessi, e siamo salvi; perché se lui che è il cosmo, il senso di tutto, la corrente sotterranea della vita abita e regna in noi, niente e nessuno può più farci del male. Non si è nelle grinfie di nessuno se si riposa nella braccia di Dio. A Westerbork poté scrivere: “si è a casa ovunque, se si porta tutto in noi stessi”.

Voleva testimoniare – e sappiamo dai suoi scritti che ci riuscì -  che l’unica cosa da salvare, in mezzo ai tanti che cercavano di mettere in salvo le proprie ricchezze e i propri corpi, era Dio, e con lui l’anima, ovvero l’essenza più profonda dell’uomo, dove abita la “grande beatitudine” che nessuno può strapparci. Mantenere profumata l’anima, al riparo dalle tante fetide esalazioni di quel tempo orribile, significava anche salvare l’uomo; Etty si sentiva custode dell’umanità.

“So che seguirà un periodo di umanesimo. Vorrei tanto poter trasmettere ai tempi futuri tutta l’umanità che conservo in me stessa, malgrado le mie esperienze quotidiane. L’unico modo che abbiamo di preparare questi tempi nuovi è di prepararli fin d’ora in noi stessi [...]. Vorrei tanto vivere per aiutare a preparare questi tempi nuovi. Verranno di certo, non sento forse che stanno crescendo in me, ogni giorno?”

Era consapevole della “novità” della sua posizione che parlava di amore per i nemici, ma anche della lunga tradizione da cui essa veniva. Si assunse il compito di traghettare quella tradizione e consegnarla alle nuove generazioni. In nome di questa voleva dare inizio, nel suo piccolo, ad un nuovo umanesimo, che avrebbe dovuto “vincere” dopo la guerra sul desiderio di vendetta delle vittime, sulla spirale di odio.

Questo è il Dio della Hillesum: non il Dio trascendente, della storia e onnipotente – in cui peraltro oggi non si è più disposti né capaci di credere - un Dio debole, se vogliamo, da accudire, da ospitare, da mantenere vivo in noi, che coincide con la nostra vera libertà. Qualcosa che fa parte dell’io e allo stesso tempo è più grande dell’io, più forte della propria forza, più libero della propria libertà. Per questo affascinante per l’uomo di oggi.

Ulrich Beck ha preso la Hillesum come fulgido esempio del “Dio personale”, il Dio proprio di ciascuno, un Dio che oggi va per la maggiore, costruito su misura a proprio uso e consumo, magari come fondamento per una qualche illusoria fuga dalla realtà.

Ma Etty non è una New Ager in fuga dalla realtà, come abbiamo visto.

Quella della Hillesum è stata una rilettura pur particolare, personalissima, di una tradizione ben definita, e antichissima, ovvero della mistica cristiana. Per questo, nella sua spiritualità, che le ha fruttato un’etica altissima vedo in lei i germi di un cristianesimo futuro, ancora da venire, sfrondato da tutto l’apparato dogmatico, riassumibile in una brevissima formula, peraltro universale, condivisibile anche da chi cristiano non è e non voglia essere: abbandono dell’io (la cupiditas della tradizione teologica) e conseguente amore universale; che deriva dalla scoperta che “Dio”, se così vogliamo continuare a chiamarlo, la somma di tutti i valori e punti di riferimento, la vera identità e libertà di ciascuno, è evangelicamente nel luogo più intimo e profondo di noi, intimior intimo meo, per dirla con Sant’Agostino, nel fondo dell’anima con Meister Eckhart, nella grande sala interiore con la Hillesum.

In tutto questo vedo una possibile risposta alle disperate domande del folle che grida al mercato la morte di Dio, nell’aforisma 125 della Gaia Scienza di Nietzsche (che benissimo rappresenta il sentire contemporaneo): è vero che Dio è morto, che le chiese forse – almeno alle nostre latitudini - sono ormai i sepolcri di Dio, ma chissà che non sia un bene se quel Dio è stato ucciso, perché la sua morte non ha cancellato l’orizzonte, ma anzi dà la possibilità di rimetterlo al giusto posto, ovvero non fuori ma dentro di noi, laddove si è in realtà sempre trovato, come i mistici di sempre hanno detto, e da dove nessuno ha il potere di cancellarlo.

Etty ci consegna così, in tempi di spaventosa debolezza del senso e di solitudine, una grande speranza. Dà verità e plausibilità alle parole di un’altra grande del novecento, per tanti versi sorella, Simone Weil che scrive: “non potresti desiderare di essere nata in un’epoca migliore di questa, in cui si è perduto tutto”, perché se è vero che il nihilismo post-moderno segna la fine drammatica di tutte le forme storico-culturali del passato – e per molto tempo ancora ne porteremo il lutto - è vero anche che va smantellando tutte quelle sovrastrutture e incrostazioni accumulate nei millenni che hanno reso finora pressoché irriconoscibile ai più una spiritualità da sempre presente nel cristianesimo e nel profondo di tutte le tradizioni religiose. Il luminoso romanzo esistenziale di Etty Hillesum fa parte della lunga schiera dei testimoni di questa spiritualità con un merito: se i grandi maestri del passato risultano ahimè ormai indecifrabili e quindi insignificanti per molti, la sua testimonianza risulta oggi invece perfettamente leggibile e quindi per questo credibile.

 

Beatrice Iacopini

 

* Intervento alla XXV Summer School on religions,

San Gimignano 23 agosto 2018

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