Koinonia Settembre 2018


PERSONAGGI E VICENDE a cura di Sara Rivedi Pasqui

 

La maestrina di Langa: Maria Tarditi*

 

Maria Tarditi è nata nel 1928 a Monesiglio in provincia di Cuneo, ha insegnato tutta la vita nelle scuole elementari di montagna e quando è andata in pensione, a 70 anni, ha cominciato a scrivere per “riempire le giornate” come lei si giustifica con pudore ed una punta di ritrosia. Scrive alla vecchia maniera cioè con carta e penna, senza l’ausilio di macchine o computer. E’ arrivata al suo tredicesimo libro, ma oggi, ultra ottantenne, ha deciso di deporre la penna perché l’età avanzata esige tutte le forze che le restano per continuare ancora un po’ a vivere.

Ha visto la luce in un piccolo podere, S.Martino, di proprietà della sua famiglia che purtroppo non produceva il necessario per il sostentamento e così il padre, cuoco di mestiere, andava a lavorare in Riviera e la sua presenza era assai rara, alla madre e agli altri membri della famiglia spetterà il compito di allevarla insieme alla sorella. Maria ricorda ancora  con tenero affetto lo zio, affetto da paralisi, a cui ha dedicato il suo primo libro L’ultimo della fila ed il nonno, un uomo gioviale malgrado su di lui gravasse il peso della famiglia. Da giovane aveva iniziato gli studi in seminario in seguito interrotti per motivi di ristrettezze economiche e perciò educava le nipoti con ammonizioni e consigli in lingua latina. La vita dei Tarditi era difficile, il denaro scarseggiava, i raccolti erano magri a causa dell’asperità del terreno e così Maria, all’età di 11 anni, viene mandata nella filanda di Monesiglio a lavorare, ma anche a respirare miasmi e vapori, a spellarsi e incuocersi le mani nell’acqua bollente per poter sbattere al meglio i bozzoli dei bachi da seta, tuttavia la piccola s’impegna e dopo un anno viene promossa filera. Malgrado il lavoro faticoso, allora non esisteva alcuna tutela per i minori, Maria vorrebbe continuare gli studi per diplomarsi maestra, ma purtroppo il lavoro e lo studio non conciliano, la sera è stanca e piena di sonno, continuare privatamente non è possibile e così, alla fine, la famiglia la manda a Pegli, in Liguria, presso alcuni zii che la ospiteranno permettendole di frequentare l’Istituto Magistrale e ottenere il diploma con la media quasi del nove. All’inizio verrà assegnata in varie località,ma infine, nei primi anni cinquanta, otterrà un posto a Pievetta, una frazione di Priola in  alta val Tanaro, e qui vi resterà fino al pensionamento e cioè per ben 38 anni.

Insegnerà in una pluriclasse ed oggi confessa che la località era talmente isolata da non permettere agli insegnanti di tenersi aggiornati ed informati sull’attuazione delle varie riforme, si affidavano al loro senso di responsabilità impegnandosi a svolgere il loro compito con competenza e soprattutto lealtà ed onestà verso i propri allievi e le loro famiglie. I bambini appartenevano ad una sfera sociale assai modesta, ma non praticavano la dispersione scolastica, anzi le loro famiglie credevano nel valore educativo ed emancipatorio della scuola il cui ruolo non consisteva solamente nell’insegnare a leggere, a scrivere e far di conto, ma a formare il carattere dei figli.

La scrittrice rievoca con orgoglio e commozione la maturità dei suoi piccoli allievi: i maschi tenevano pulita la stufa dell’aula e preparavano la legna da ardere quando era inverno, le bambine erano già tutte esperte di lavori domestici e di cucina.

Il percorso di scrittrice di Maria Tarditi è ben definito, ormai vedova ed in pensione si ritrova sola perché i figli si sono sistemati altrove. Dunque, forse per combattere la solitudine e l’inerzia, comincia ad elaborare i ricordi e le esperienze vissute, li trasforma in pensieri che affida alla scrittura. Partecipa ad un concorso della rivista cattolica Famiglia Cristiana senza alcun successo, tuttavia con costanza continua a scrivere, racconta la sua adolescenza in forma di diario e proprio da questi ricordi che affiorano e prendono forma nella sua mente, nascono tanti romanzi, ben 13, che all’inizio sono pubblicati da un’associazione di Cuneo ed in seguito dalla casa editrice L’Araba Fenice e così acquisisce notorietà non solo nel basso Piemonte, ma anche in Liguria e in Lombardia. Un tempo i critici letterari l’avrebbero ritenuta una scrittrice “regionalista”, ma oggi questo appellativo fortunatamente sembra abbandonato. Nel 2012 la Baldini Castoldi Dalai pubblica il romanzo La venturina già uscito nel 2006 per i tipi de L’Araba Fenice. Maria Tarditi non è una scrittrice improvvisata, inesperta, anzi ha un’ottima preparazione letteraria scaturita dalla lettura di testi italiani e stranieri, soprattutto russi, dal suo forte desiderio di apprendere e da una profonda conoscenza della vita e dei sentimenti umani.

Da Pievetta, il paesino dove ha trascorso buona parte della sua esistenza, ha potuto assistere al mutare dei tempi e del vivere, allo spopolarsi della campagna, all’inurbamento, al sopraggiungere del boom economico, ma anche al decadere di certi valori essenziali per una vita più calda di affetti seppur meno confortevole. Dai suoi romanzi si evince tutto questo, ma non rimpiange il mondo di una volta, si ricorda bene quando l’estrema povertà poteva trasformare l’essere umano in bestia feroce. Si esprime in una lingua ricca di echi dialettali con uno stile narrativo che rimanda ai racconti delle nonne davanti al focolare nelle sere d’inverno. Racconta di amori delusi, sciagure, magie (le famose masche), ricorrenze religiose improntate ad una fede ingenua e al tempo stesso cariche di superstizione, pranzi festivi che compensavano la parsimonia quotidiana . La scrittrice si sofferma con partecipazione ed empatia a narrare la dura vita delle donne per le quali non c’erano pause né vacanze, lavoravano sempre, anche durante le veglie invernali e mettevano al mondo numerosi figli che faticavano a sfamare. Nessuna tutela le proteggeva dal logorio quotidiano, dalle rinunce e spesso anche dalle violenze maschili. Molti ricordi della Tarditi sono personali e così sovente i suoi romanzi assumono una connotazione autobiografica, ha vissuto e sperimentato la fatica avendo cominciato molto presto a lavorare ed afferma che quel mondo, ormai finito, non è da rimpiangere, ma sente la necessità di parlarne perché resta il suo mondo. Sostiene che il famoso libro di Susanna Agnelli Vestivamo alla marinara l’ha sollecitata a narrare la sua vita e quella dei suoi coetanei perché in quella porzione d’Italia dove lei è nata e cresciuta i ragazzi non vestivano così, anzi spesso erano coperti di vecchi abitati rattoppati, dunque un atto di rivalsa, una punta di orgoglio ferito.

La venturina è la storia di una trovatella, di una figlia di N.N. come era scritto a quel tempo sui documenti, una creatura senza famiglia abbandonata all’orfanotrofio. Gemma, questo è il nome della bambina, viene adottata da una famiglia spietata e crudele che la sfrutta e la maltratta (a quel tempo era consuetudine fra i contadini adottare un orfano per fruire dell’assegno di adozione ed avere a disposizione un servitorello). Un giorno la piccola fugge terrorizzata perché ha perduto una pecora, sarà Pietrino,  un uomo buono e generoso, a raccoglierla, riscattarla ed inserirla nella propria famiglia. La bambina è un animaletto spaurito, sporco e malnutrito, ma rivela una intelligenza vivace, tanta voglia di apprendere e il forte desiderio di studiare per maestra. Accolta con amore alla Torretta la Venturina scopre il calore di una famiglia, il piacere di essere pulita e ben vestita, la soddisfazione di sfamarsi a volontà. Ricompenserà i suoi benefattori con l’ubbidienza, lo studio ed un grande impegno, riuscirà in modo eccellente a scuola e Pietrino, in accordo con la moglie, decide di farla studiare. La venturina è un libro di formazione, la scrittrice segue e descrive il percorso evolutivo della fanciulla, ma anche gli avvenimenti storici di quel periodo: lo scoppio della II Guerra Mondiale, la caduta del fascismo, l’invasione nazista, la Resistenza, la Liberazione.

Il libro finisce tragicamente. Gemma “conquista” il suo diploma che per lei rappresenta l’acquisizione di dignità,il prezzo del suo riscatto sociale, l’inserimento completo nella famiglia che l’ha accolta, ma purtroppo non sarà così; per l’ottusità dell’epoca ed i pregiudizi lenti a scomparire resta ugualmente una “venturina” e la consapevolezza della sua condizione di emarginata dalla società farà chiudere la vicenda con il suicidio.

 

Sara Rivedi Pasqui

*Maria Tarditi, La venturina, Baldini&Castoldi, 2012, pp.34, €14.90

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