Koinonia Settembre 2018


TRA LASSISMO E PURITANESIMO.

CONTRADDIZIONI DELLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA

 

Nel mondo occidentale la visione di società che si è andata affermando negli ultimi decenni è malata di un evidente strabismo: espansione illimitata dei diritti individuali e al tempo stesso drammatica compressione dei diritti collettivi.

I fautori della libertà assoluta dei singoli individui si rifanno, impropriamente, ai valori dell’Illuminismo, dimenticando che i maggiori esponenti di quella filosofia sostenevano che la libertà di ognuno si ferma quando comincia quella altrui.

Oggi i neoliberisti, mentre disconoscono l’importanza dello stato sociale, descritto come semplice assistenzialismo e per i suoi costi considerato un peso, e quindi un intralcio alla libera espressione dell’economia di mercato, al tempo stesso affermano che tutto si può comprare. Ma se questo principio vale, a loro dire, in economia, perché non dovrebbe valere anche nei rapporti interpersonali?

Tale visione del mondo provoca cambiamenti profondi nel costume. Un esempio eclatante di questo processo in atto si riscontra nel rapporto uomo-donna. I movimenti di emancipazione femminile, al di là di esagerazioni di certo femminismo estremo che vede nel maschio un nemico a priori, sono stati molto positivi per l’umanità intera: non solo per la donna che da semplice oggetto è andata via via assumendo consapevolezza di sé, ma anche per gli uomini, chiamati ad assumersi responsabilità nuove per loro, quali la cura dei figli (1).

Tuttavia se emancipazione significa da parte delle donne rincorrere la meta dell’uguaglianza con l’uomo imitandolo anche nei suoi comportamenti peggiori, non mi sembra che questa sia una grande conquista di libertà.

Di questo modo distorto di concepire l’uguaglianza potremmo portare numerosi esempi. Ci limiteremo a indicarne un paio.

Si pensi a quelle donne mature, generalmente appartenenti al mondo dei ricchi, che si accompagnano (con o senza matrimonio)  a uomini molto più giovani. Sappiamo tutti che in taluni casi  questa può essere una scelta dettata dall’amore di entrambi i partner, ma nella maggioranza dei casi non è così. Alcuni potranno obiettare: ma se gli uomini l’hanno sempre fatto, perché oggi non lo possono fare le donne? Non mi sembra che questa considerazione sia condivisibile. È vero che da che mondo è mondo l’uomo ricco e potente si è sposato con donne molto più giovani, o le ha comprate, come fossero oggetti. Ma se riteniamo che questa prassi sia riprovevole nei maschi (e tra l’altro in netto contrasto con una vera parità fra i sessi), perché oggi dovremmo considerarla “normale” per le femmine? Sarebbe questa una conquista di diritti? O non si dovrebbe invece maturare l’idea che debba essere il maschio a rinunciare a un simile “privilegio”?

Un secondo esempio, ancora più significativo del precedente, riguarda la mercificazione del corpo. Se oggi vogliamo essere veramente liberi, viene affermato da più parti con sempre maggiore insistenza, perché non possiamo mettere lo stesso corpo in vendita al fine di conseguire successo e ricchezza? E chi respinge questa “scorciatoia” non è forse un bigotto puritano (2)?

A nostro avviso queste argomentazioni sono del tutto discutibili. Siamo certi che sia una conquista, sempre e comunque, fare ciò che più ci piace nell’immediato o ciò che più ci è utile? Anche qui crediamo che un limite sia necessario, ed è quello del rispetto della persona dell’altro, della sua dignità, e anche del rispetto di noi stessi.

In una società “liquida” come la nostra, dove i valori stanno perdendo di significato e si confondono, può succedere tutto e il contrario di tutto. Veniamo ad un fatto di cronaca recente, che per giorni e giorni ha occupato le prime pagine dei più autorevoli quotidiani del mondo. Una nota attrice, a molti anni di distanza, ha denunciato un produttore cinematografico americano di ricatto e di aver abusato di lei. A catena molte altre attrici hanno riferito episodi analoghi. Di qui l’espressione “me too”, anch’io ho subito tutto questo. Il fatto ha suscitato un enorme clamore che nel giro di poco tempo ha assunto dimensioni planetarie soprattutto per la notorietà delle donne che hanno denunciato di essere state ricattate sul piano sessuale da uomini di successo in grado di aprire loro una brillante carriera. Se da un lato questo episodio è servito per stigmatizzare pubblicamente un malcostume che è sempre esistito, non possiamo tuttavia tacere il polverone che ha suscitato. Data per scontata la condanna morale di chi si fa forte del suo ruolo per ottenere favori sessuali, possiamo considerare tale comportamento alla pari di uno stupro se la donna accetta lo scambio? O piuttosto quest’ultima, anche se in condizioni di evidente debolezza, se consenziente, più che vittima non dovrebbe essere definita complice? E se il comportamento dell’uomo viene considerato alla stregua di uno stupro non si rischia, mettendo tutto in un unico calderone, di banalizzare la vera violenza sulle donne, a partire dalle sue forme più odiose come lo stupro domestico, o quello di gruppo, o quello etnico, o quello sui minori?

Crediamo che lo stalking e ogni forma di violenza debbano essere sanzionati con condanne anche più severe di quelle attualmente in vigore, ma certe contromisure che alcuni paesi stanno discutendo a seguito del caso me-too hanno il sapore del ridicolo. In Francia, ad esempio, è in discussione una proposta di legge che sanziona severamente chi fischia al passaggio di una ragazza. Non ritengo che questo comportamento sia di buon gusto, ma nulla più. E anche avances esplicite che non sfocino in un atteggiamento violento possono essere respinte sul nascere con una parola, con un semplice sguardo o, mal che vada, con un sonoro ceffone.

Ho l’impressione che focalizzare l’attenzione su episodi come me-too sia un modo come un altro per indurre l’opinione pubblica a distogliere l’attenzione da ben più seri drammi di una società sempre più ingiusta, dove il peso della disuguaglianza crescente, della disoccupazione, della precarietà sul lavoro, dell’emarginazione sociale grava in modo particolare, guarda caso, proprio sulle spalle delle donne (3). 

 

Bruno D’Avanzo  

 

 

NOTE

 

1) Si pensi, solo prendendo in considerazione il nostro paese, al salto di civiltà rappresentato dal nuovo stato di famiglia dove, in  ottemperanza ai principi sanciti dalla Costituzione, la donna ha acquisito finalmente gli stessi diritti dell’uomo sia in ambito lavorativo, sia in quello familiare. E se una cosa bisogna lamentare è il fatto che ancora oggi questi principi non vengono pienamente attuati.

2) Per sottolineare questo cambiamento di mentalità anche nel linguaggio la più antica professione del mondo deve essere nobilitata. Mai più parlare di “puttane”, ma di “escort”, con buona pace del nostro grande poeta e cantautore Fabrizio de Andrè che usa con particolare enfasi il termine “puttane” nel descrivere il rapporto mercenario con una prostituta del re dei franchi Carlo Martello di ritorno dalla guerra.

3) Il cammino verso una reale uguaglianza fra uomo e donna non può passare solo attraverso le modalità che vengono oggi proposte. Le “quote rosa”, ad esempio, comprensibili come strumento-tampone di fronte all’assoluta prevalenza maschile in politica, nei posti di comando, sono semplici palliativi. Il problema vero è quello di creare le condizioni (economiche, sociali, culturali) che permettano alle donne di conquistare quella parità di cui hanno diritto. Gli strumenti per conseguire tale scopo sono molteplici: controllare efficacemente che nelle professioni venga garantita la parità salariale e normativa, colpire più severamente ogni forma di discriminazione, incentivare processi di autostima in tutto il percorso educativo, e non solo a livello scolastico. La stessa Chiesa, ad esempio, potrebbe dare un contributo formidabile se finalmente venisse messo da parte il monopolio gerarchico maschile lasciando libero accesso anche per le donne ai ministeri ordinati, come già avviene da tempo in molte Chiese del mondo protestante.

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