Koinonia Settembre 2018


Tratto da: Adista Documenti n° 26 del 14/07/2018

 

Sfide e orizzonti di Medellín,

pensando alla Chiesa di oggi (I)

 

Rivisitando Medellín 50 anni dopo, si comprende bene come la II Conferenza generale dei vescovi dell’America Latina e dei Caraibi, realizzata nel 1968, sia molto più che un semplice documento. Soprattutto in relazione alla Conferenza di Aparecida (2007) e al pontificato riformatore di Francesco, ci si rende conto come Medellín sia il punto di partenza di un cammino che continua a svolgersi nelle nostre comunità ecclesiali. (...). Per Medellín non si trattava semplicemente di applicare il Concilio nelle nostre terre, bensì di recepirlo in maniera contestualizzata, cercando di porre «la Chiesa nell’attuale trasformazione dell’America Latina alla luce del Concilio».

(...). In altre parole, nella fedeltà alle intuizioni basilari e alle direttrici fondamentali del Concilio, vi fu con Medellín un’”incarnazione”, oggi diremmo un’”inculturazione” del Vaticano II, trasformandolo, più che in un punto di arrivo, in un punto di partenza, come voleva Paolo VI. Con Medellín, la Chiesa in America Latina smise di essere una “Chiesa riflesso” del millenario eurocentrismo per dare avvio a un processo di tessitura di un volto proprio e di un parola propria.

Guardando indietro, dopo aver percorso ormai una lunga strada, si vedrà che c’è molto da riscattare di ciò che è andato perduto nell’involuzione ecclesiale degli ultimi vent’anni e che vi sono anche molti nuovi passi da compiere, dal momento che, mentre la Chiesa in certa misura si fermava, la storia proseguiva il suo corso. Poiché non ci troviamo più nel contesto degli anni ‘60, i nuovi tempi richiedono una “seconda ricezione” tanto del Vaticano II quanto di Medellín. Per fedeltà al loro spirito, è necessario collocarli di fronte alle sfide della tarda modernità. (...).

 

I - SFIDE E ORIZZONTI PER LA CONFIGURAZIONE DELLA CHIESA

Una Chiesa con un nuovo volto e una nuova presenza nel mondo era la sfida e l’orizzonte di Medellín, per una “ricezione creativa” del Vaticano II nel subcontinente, segnato dall’esclusione delle maggioranze. Per questo, nell’assemblea della II Conferenza generale dei vescovi, riecheggiò il grido dei poveri, che smascherava il cinismo dei benestanti. Nell’ottica degli esclusi, Medellín si propose di contribuire ad affrontare quattro sfide principali, che ancora mantengono tutta la loro rilevanza: 1) la fede cristiana dinanzi al grave fenomeno della povertà, che minaccia la vita di gran parte della popolazione; 2) sviluppare un’azione evangelizzatrice che si rivolga ai settori popolari e anche alle strutture di potere; 3) promuovere una liberazione integrale, che coniughi simultaneamente trasformazione personale e cambiamento delle strutture; 4) creare un nuovo modello di Chiesa, autenticamente povera, missionaria e pasquale, slegata da ogni potere temporale.

Come risposte pastorali concrete a queste sfide, sulla base del Vaticano II, Medellín proponeva, tra l’altro: un’opzione per i poveri contro la povertà, come forma di testimonianza del Vangelo di Gesù Cristo; l’esperienza della fede cristiana nelle comunità ecclesiali di base, legate alla lettura popolare della Bibbia e inserite nel luogo sociale dei poveri; un’evangelizzazione tale da promuovere la vita in tutte le dimensioni della persona; una riflessione teologico-pastorale ancorata alla prassi di liberazione; la presenza profetica dei cristiani all’interno della società, senza paura di andare fino in fondo nella difesa degli esclusi, ecc. Sono risposte ancora oggi attuali e, in gran misura, ancora irrealizzate.

Da una lettura trasversale di Medellín emergono due elementi fondamentali relativamente alla configurazione della Chiesa, frutto della “ricezione creativa” del Vaticano II: una Chiesa sacramento del Regno, nella prospettiva del dialogo e del servizio nei confronti delle altre Chiese, delle altre religioni e della società autonoma e pluralista; e una Chiesa povera e dei poveri, perché sia la Chiesa di tutti, in un subcontinente segnato dalla povertà e dall’esclusione. Si tratta di riferimenti che non sono stati creati dai vescovi, ma che si richiamano al cuore stesso del Vangelo di Gesù Cristo.

 

Agenor Brighenti

(1.continua)

.