Koinonia Settembre 2018


Dal punto di vista de “Il gallo”

 

PENSIERI SUL NOSTRO FUTURO

 

Viandanti? Tra la provvisorietà del nostro stesso essere e il cammino come dimensione esistenziale, I viandanti è un’associazione di laici cristiani consapevoli, impegnati a studiare e vivere lo spirito del concilio Vaticano secondo ripreso e incoraggiato negli ultimi anni dal pontificato di Bergoglio. Ma è anche una rete di riviste e gruppi – attualmente una trentina – attivi nello stesso spirito usualmente definito conciliare, con storie, forme e iniziative autonome e diverse.

Il fine è la pratica del metodo sinodale nella ricerca comune per provare a decifrare, prendere posizioni, interrogarsi, comunicare, in un ambito di rinnovamento ecclesiale e di una spiritualità ispirata a Cristo nel nostro tempo. Il gallo ha aderito da anni a questa rete ricevendo e offrendo contributi nelle prospettive indicate in cui si riconosce, ma anche perché la rete dei Viandanti rispetta le diverse storie e considera l’irriducibile diversità delle varie realtà un valore da conservare e valorizzare. Ogni gruppo ha una sua identità e specificità che trae linfa e creatività dal territorio nel quale opera, che difficilmente può essere omologato in aggregazioni unitarie sovra ordinate.

Se l’adesione a questi principi resta imprescindibile, non ignoriamo l’ambiguità dell’espressione che potrebbe coprire, giustificare o addirittura favorire l’isolamento e la resa da parte di gruppi troppo autoreferenziali, nella ricerca di posizioni comuni su questioni essenziali che, anche a prezzo di qualche compromesso, forse meglio dire mediazioni, troverebbero maggior ascolto. I viandanti sono stati citati più volte sulle nostre pagine per iniziative a cui abbiamo aderito o per scritti apparsi su diverse delle testate aderenti.

 

Esperienze superate?

 

L’attività della rete si articola in diversi incontri, locali e nazionali, in convegni biennali su temi rilevanti di cui anche abbiamo riferito sui nostri quaderni mensili e in diverse comunicazioni in rete. L’ultimo incontro del Gruppo di Riflessione e Proposta (Bologna, 12 maggio), una delle articolazioni della rete, spazio per informazioni, scambi fra realtà diverse, ipotesi e, appunto, proposte mi ha suggerito alcune considerazioni personali  su cui intendo ora ragionare, senza l’impegno di una relazione esauriente e oggettiva. Fra i molti temi toccati, ne colgo due: il futuro di questi gruppi e l’individuazione di alcuni punti che dovrebbero caratterizzarli.

Ne parliamo spesso anche negli incontri genovesi e se ne riascolta l’eco in occasione di confronti più ampi: questi gruppi, che potrebbero anche costituire l’articolazione di una struttura ecclesiale complementare o eventualmente alternativa a quella parrocchiale postridentina, invecchiano nei loro membri storici e difficilmente vedono presenze giovanili, intese come 40/50enni, fino a sciogliersi, in diversi casi di cui abbiamo notizia, per esaurimento delle forze. Una doppia preoccupazione ansiogena che pone interrogativi su possibili errori commessi e cerca rimedi.  

Ma vale la pena di impegnare energie in queste direzioni? Occorre rimuovere fisiologiche pigrizie, magari aggravate proprio dall’età, e non rinunciare alla ricerca di contatti, di proposte, di rinnovamenti di cui siamo capaci, ma anche prendere atto non solo delle leggi biologiche, ma anche della natura di questi gruppi, spesso animatori di importanti attività  e capaci di contributi significativi al cattolicesimo postconciliare e all’ecumenismo, pensati e organizzati con criteri e linguaggi espressione di una cultura comunque diversa da quella del tempo presente e forse difficilmente aggiornabile.

Prendere atto di quanto si è fatto, farsi consapevoli dell’evoluzione delle forme di comunicazione, dei metodi di analisi e delle capacità propositive dovrebbe ridurre l’ansia da prestazione, come si potrebbe definire, senza spegnere la passione a continuare con la responsabilità della fedeltà per trovare forme e voce che siano significative espressioni degli studi e delle esperienze di questi decenni, insieme alla preparazione del cammino per chi lo vorrà proseguire  favorendo quell’equilibrio che consente di continuare. Nella storia di ciascuno aggiornamenti delle posizioni e degli studi, ricerca di contatti e di confronti  sono da perseguire, insieme  all’accettare senza drammi dell’esaurimento di una stagione.

Questa accettazione potrebbe rasserenare i prossimi anni di lavoro: i giovani sapranno inventarsi degli strumenti loro per interpretare ed esprimere la religiosità nel tempo futuro e operare nelle coerenze che sapranno trovare. A noi però restano delle ineludibili responsabilità, la prima delle quali è indubbiamente continuare ad alimentare all’interno della chiesa l’area critica fino a quando sia possibile e senza escludere apporti nuovi, qualora se ne presentassero.

Occorre non  perdere di vista il dovere comunque di operare con iniziative e linguaggi comprensibili e accattivanti, ma anche tenere avere ben presente la raccomandazione di Emmanuel Mounier (1905-1950) per i tempi di cambiamenti: «il cadavere del vecchio non soffochi il nuovo che nasce». Comporta  l’abbandono di posizioni  pregiudizialmente  polemiche o di rifiuto, presunzioni di verità in nome di tradizioni  nobili e antiche: senza tuttavia significare rinunciare al senso critico nei confronti di qualunque posizione, né all’espressione di valutazioni e pareri.

 

Riferimenti comuni condivisibili?

 

Al di là di quello che potrà essere il futuro dei nostri gruppi, la rete, strumento per dare vitalità e credibilità alle esperienze maturate e a quelle in gestazione all’interno di quella che chiamiamo area critica del cristianesimo conciliare, sull’opportunità  non diciamo di uno statuto, ma di individuare alcuni punti condivisi. Senza considerare le difficoltà attuative dalle delibere formali per l’accettazione alla verifica delle coerenze, l’ipotesi pone un problema più ampio: è possibile descrivere stili comuni di un impegno cristiano nella società oltre alle dichiarazioni di fede e partecipazione al culto, di fatto irrilevanti nel quotidiano?

Se volessimo pensare a una partecipazione alla chiesa non come dottrina e precetti teoricamente accettati e di fatto per la gran parte ignorati e elusi o praticati molto formalmente, ma attraverso una conversione, scelta liberamente, questa adesione dovrebbe comportare una fede comune e stili di comportamento condivisi? Occorrerebbe un credo ridotto all’essenziale e impegni di vita o sarebbe sufficiente una dichiarazione di disponibilità alla sequela del Cristo? E come si concilierebbe con la libertà delle scelte quotidiane forse diverse  anche  tra membri dello stesso gruppo?

Lascio queste domande, insieme a molte altre, a diversi ambiti di riflessione, che dovremo pur affrontare per ragionare di nuove forme di ecclesialità, per limitarmi ora ai punti, molto più circoscritti,  emersi nell’incontro dei Viandanti nell’ipotesi peraltro ancora lontana dal poter essere presentata anche alla rete come nodi condivisibili da chi si riconosce in questa area. Mi pare siano occasione per prese di coscienza, per valutarne la praticabilità anche sul piano strettamente personale riconoscendo tuttavia la necessità di un’opzione e di una assunzione di responsabilità ben maggiore di quella richiesta dalla recita del credo apostolico a cui non ci sottraiamo in ogni messa festiva.   

Dall’incontro sono emersi come posizioni identificative di chi partecipa a gruppi con la fisionomia di cui si diceva questi nodi, indicazioni di tendenza, declinabili diversamente nei diversi contesti, ma abbastanza puntuali da indurre a prendere posizione.

 

Impegno a che l’annuncio tenga conto dell’orizzonte di senso dell’interlocutore.

 

Si tratta di un impegno per chi si ripromette di comunicare come specifica vocazione, ma tutti dovrebbero sentire la necessità della comunicazione delle proprie convinzioni profonde in particolare in ambito religioso. Il messaggio può essere discusso o rifiutato, ma è principale cura dell’emittente almeno farlo intendere: spesso la comunicazione non passa appunto perché il soggetto - predicatori professionisti compresi -  pretendono, magari inconsapevolmente o perché non sanno fare diversamente, la comprensione all’interno delle proprie categorie espressive. Occorre invece organizzare qualunque comunicazione verso l’esterno cercando di conoscere l’orizzonte di senso, la cultura, il linguaggio dell’interlocutore.

Dilatando l’orizzonte, in ambito specificamente religioso, mi pare che il discorso possa riguardare  la stessa liturgia in cui linguaggio, formale e simbolico, può essere esteticamente godibile, evocatore di sicurezze e di ricordi infantili, ma resta estraneo alla cultura presente perfino degli iniziati.

Disponibilità a una riforma permanente della chiesa, in particolare nella radicale revisione della  normativa sulla sessualità; della posizione del clero e del celibato; della ministerialità della donna

Ciascuno dei problemi posti richiede studio e riflessione storica e teologica, argomenti ricorrenti in queste pagine e sui quali certamente torneremo. Qui però la domanda che ci poniamo è se siamo sensibili e disponibili a una chiesa in evoluzione, in trasformazione, anche sostenendo una rilevante discontinuità con la tradizione dottrinale su questioni considerate centrali, da qualcuno addirittura non negoziabili.

Chi accetta di sostenere queste posizioni riconosce, anche senza rinnegare il passato, che la fedeltà all’evangelo oggi può comportare organizzazioni e strutture inedite con una serie di conseguenze alle quali ci si dovrà adeguare con tutti i ripensamenti necessari in scenari interni ed esterni non del tutto immaginabili. Insomma una fede dinamica da vivere nella consapevolezza della provvisorietà storica e nell’impegno alla fedeltà. 

 

Obiezione al neoliberalismo.

 

Dicevamo di condizioni interne alla chiesa: con questo punto prendiamo posizione rispetto al contesto politico economico. Non si tratta di indicare il voto, perché vorremmo sempre augurarci l’autonomia delle scelte di ciascuno, ma riconoscere insieme l’estraneità ai fondamentali principi dell’evangelo di regole economiche e sociali che di fatto producono ineguaglianze e ingiustizie, o, per dirla con le parole di Francesco, scarti e morte. L’elettorato qualificato cattolico non solo in Italia aderisce a partiti che accettano e sostengono il sistema neoliberista, da molti considerato positivo, utile, magari male necessario e comunque insostituibile.

L’adesione e questa obiezione, nel senso di rifiuto, intende qualificare una differenza, una visione alternativa, una prospettiva di speranza. Si tratta di una consapevolezza rivoluzionaria nel profondo che impegna individui e gruppi a non arrendersi: non si può escludere il rischio delle divisioni, ma la tensione alla comunione non può comportare neutralità di fronte alle scelte politiche. Naturalmente non si vuol giocare allo sfascio, ma per un verso impegnarsi a non godere di privilegi offerti dal presente stato sociale, per un altro studiare, educare, verificare quali vie percorrere per cambiamenti radicali convinti che una maggiore equità può anche ridurre qualche benessere di cui magari oggi godiamo. Dobbiamo pensare che l’obiettivo da perseguire non è migliorare lo stato di chi può permetterselo, ma la garanzia dei diritti per tutti. 

 

Riaffermare la dimensione spirituale e sacramentale della religiosità.

 

Ultimo, soltanto nell’elencazione, il richiamo all’impegno più espressamente religioso, ma che resta l’anima di tutto il resto e fa la chiesa comunità non limitata all’impegno sociale e organizzativo. Ricordo la famosa prima lettera pastorale dell’arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini sulla Dimensione contemplativa della vita (1980): il credente non pretende assimilazione o battesimi da chiunque condivida il suo impegno nei termini che abbiamo considerato sopra: ma per sé ha necessità anche della dimensione contemplativa, del riconoscere che non tutto è visibile, che esiste uno spazio dell’interiorità da coltivare perché tutto il resto trovi la collocazione equilibrata nella vita.

Una dimensione che potremmo definire religiosa, anche se non esclusivamente cristiana: il credente cristiano si riconosce in una ecclesialità sacramentale, una comunità che ritiene di cogliere una trascendenza espressa in tanti modi, animata da un comune sentire e sostenuta dalla  sacramentalità  non esauribile nella ritualità, ma ne fa il luogo della presenza del mistero. In particolare l’eucarestia: il trovarsi insieme a pregare, leggere, studiare, sostenersi, fare memoria di quel Cristo modello incoraggiante per qualunque scelta.

Mi è parso bello immaginare che i Viandanti possano aspirare a riconoscersi in questi nodi che richiedono mille puntualizzazioni e non diventeranno uno statuto da giurare. Ma mi pare interessante anche l’interpellazione individuale su questi argomenti perfezionabili anche nella dicitura e a cui se ne dovranno aggiungere molti altri. Il cuore però mi sembra irrinunciabile: Dio non è un tappabuchi, né la fede un guanciale su cui fare sonni tranquilli: occorrono coraggio e determinazione ad accettare una discontinuità con la tradizione cristiana e in particolare cattolica nella fedeltà al Cristo; ma anche con la comunità civile nella quale operare donne e uomini come tutti senza rivendicazioni e disposti a dare più di quello che si chiede per tutti.

Non è affar semplice, ma forse neppure lo si vuole.

 

Ugo Basso

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