Koinonia Agosto 2018


LETTERA CONFIDENZIALE AI “CUMANI”

 

Cari Cumani,

so che siete un popolo lontano e sconosciuto, ignorato,  ma so anche che siete chiamati insieme a tutti a diventare l’unico Popolo di Dio, nuova creazione di umanità, addirittura Città santa, Gerusalemme che scende dal cielo. Questo mi spinge a pensare a voi e a desiderare di raggiungervi per condividere  il dono e la gioia di questa chiamata, che fa di noi tutti una santa convocazione. E’ quella che siamo soliti denominare “Chiesa di Dio”, il luogo in cui i lontani diventano vicini grazie al mistero nascosto nei secoli e rivelato negli ultimi tempi: “Cristo in noi”!. Qualcosa che coinvolge tutti e anche voi, la vostra storia e il vostro destino, così come è per ogni uomo che viene alla luce!

Si perpetua e si rinnova quanto dice la Scrittura, Parola di Dio agli uomini: “Voi eravate lontani dal Cristo; eravate stranieri, non appartenevate al popolo di Dio; eravate esclusi dalle sue promesse e dalla sua alleanza; nel mondo eravate persone senza speranza e senza Dio. Ora invece, uniti a Cristo Gesù per mezzo della sua morte, voi, che eravate lontani, siete diventati vicini” (Ef 2,12-13). È una possibilità nuova che deve effettuarsi nel tempo, ma è quello che deve succedere. Ed  è a questo che vogliamo fare attenzione e prestarci, perché avvenga in maniera sempre più vera e più ampia.

Mi rendo conto, però, che voi non abitate terre lontane e territori inesplorati, come se foste una riserva geografica. Siete e vivete in mezzo a noi, come un “popolo  numeroso” nascosto, così come Paolo si sentì dire quando “una notte, in visione, il Signore disse a Paolo: «Non aver paura; continua a parlare e non tacere, perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male: in questa città io ho un popolo numeroso».  Così Paolo si fermò un anno e mezzo, e insegnava fra loro la parola di Dio” (At 18,9-11). Così pure quando egli riceve ancora quest’altra visione notturna: “Era un Macèdone che lo supplicava: «Vieni in Macedonia e aiutaci!»” (At 16,9). 

Sì, questo è anche il vostro tacito appello, che invita a passare dalla vostra parte e che lascia pensare a quanto lo stesso Paolo abbia dovuto lottare per consentirsi di rispondervi col suo vangelo di libertà: in nome vostro egli ha combattuto la sua battaglia per crearvi spazio dentro la chiesa nascente. E se  anche oggi una resistenza è necessaria, essa va messa in atto unicamente in considerazione di voi, naturali destinatari del vangelo verso cui mi sento anch’io debitore. Infatti, “sono in debito verso i Greci come verso i barbari, verso i sapienti come verso gli ignoranti: sono quindi pronto, per quanto sta in me, ad annunciare il Vangelo anche a voi che siete a Roma” (Rm 1,14-15).

E anche se intorno si pensa che una risposta a questo vostro appello sia già data, e sia quanto di più scontato ci possa essere,  in realtà è qui  la discriminante dentro una chiesa che tutto omologa e normalizza, mentre  tensioni e conflitti irrisolti di fatto la paralizzano. Di fatto c’è tanta paura a guardarsi dentro, preferendo lasciarsi guardare all’esterno! Sì, c’è un vostro appello che arriva da lontano, o che sembra lontano anche quando viene da vicino. Qualcosa che  dovrebbe metterla in discussione, ma che rimane  inascoltato e si disperde dentro i meandri di un sistema macchinoso precostituito. Una ragione in più per raccoglierlo - il vostro appello - nel segreto, per fare di voi  gli interlocutori privilegiati della propria vita: qualcuno disposto a farsi “greco con i greci”, cumano con i Cumani per condividerne la stessa condizione di non-popolo,  nella speranza di diventare insieme nuovo Popolo di Dio, per grazia e non per diritto:  “Un tempo voi eravate non-popolo, ora invece siete popolo di Dio; un tempo eravate esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia” (1Pt 2-10). Non è in questo senso che un cambiamento d’epoca deve avvenire? Non vuol dire anche questo che la buona novella è annunciata ai “poveri”, “persone senza speranza e senza Dio”?

 “Cumani” dunque siete tutti voi, in quanto chiamati “a rinnovarvi nello spirito della vostra mente e a rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità. Perciò, bando alla menzogna e dite ciascuno la verità al suo prossimo, perché siamo membra gli uni degli altri” (Ef 4,23-24). Di qui il  desiderio e il  tentativo di rispondere insieme a questa chiamata e al vostro appello. Sì, siete voi quel popolo numeroso che deve uscire da ogni  schiavitù faraonica - compresa quella religiosa - e trovare il coraggio di attraversare le acque verso quella liberazione che porta  alla terra promessa, sempre da conquistare a caro prezzo per quanto data: Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà” (Gal 5,13).

So per certo che non riuscirò a raggiungervi come vorrei per cogliere questa chance di libertà nel rapporto e nell’amicizia, ma sappiate che l’incontro con uno solo  di voi fa in qualche modo presenti tutti: è come gioire e far festa con gli amici per il ritrovamento della pecorella perduta, mentre le 99 sono al sicuro nell’ovile del conformismo. Perché una cosa è essere gregge e altra essere pecore di cui il Pastore riconosce la voce tanto da chiamarle per nome ad una ad una! No, voi non siete chiamati ad essere e rimanere gregge anonimo nel mondo della ufficialità, ma a formare liberamente un solo ovile sotto un unico pastore. Dove appunto prima dell’appartenenza al gregge conta la voce del Pastore che ci promuove a discepoli: “Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8,31-32).

È qui la regola pastorale d’oro e il fulcro di un cammino di fede o verso la fede che riguarda tutti, dentro e fuori i recinti predefiniti. Ecco perché anche nel gregge bisogna che qualcuno prenda coscienza e riconosca di essere prima di tutto ovile insieme a tanti, compresi quelli che per ora non ci sono, dove ci sia per tutti libertà di entrare e di uscire per la porta comune. Questo ci fa capire, cari amici Cumani,  che anche tra i “vicini” di fatto - il mondo dei praticanti - ci possa essere gente che si riscopre lontana come voi, ma capace di ricreare vicinanza anche con voi.

Quello che realmente importa è che un segnale di speranza ci sia per tutti, e che si possa continuare a fare strada insieme e diventare a nostra volta segnale per altri, indipendentemente da possibili basi logistiche: è quanto in realtà ci fa “chiesa”, niente altro che semplice segno e strumento della salvezza che viene da Dio e donata indiscriminatamente a chiunque lo invoca. A questo mira il servizio del vangelo, non a creare raggruppamenti e aggregazioni varie, magari con le etichette più affascinanti,  per arrivare a poter dire a chiunque:  “vai in pace, la tua fede ti ha salvato”. Se da una parte c’è da evitare che l’assetto giurisdizionale sostituisca la dimensione sacramentale del Popolo di Dio, dall’altra c’è da stare attenti che l’insieme dei mezzi - i sacramenti appunto - diventino essi stessi il messaggio di salvezza. In altre parole, c’è da impedire che le strutture e gli ordinamenti prevalgano sulle persone e che voi siate riconosciuti “concittadini dei santi”  a tutti gli effetti.

Questo per dirvi, miei cari Cumani, che se anche rimanete ignoti e al di fuori degli spazi rituali, siete molto presenti e importanti per me, perché siete voi l’obiettivo della mia vita.  Ed il fatto che vi sento partecipi del mio cammino mi fa relativizzare le pretese di assolutezza delle istituzioni che servo, e mi aiuta a superare  gli ostacoli che queste a volte presentano per venire a voi, finalizzando tutto a se stesse. Da voi attingo la necessaria libertà interiore  di tenervi  al primo posto delle mie preoccupazioni  rispetto a ruoli qualificanti o a proposte avvincenti.

Voi sapete che a farmi pensare e comportarmi in questo modo è lo stesso S.Domenico, il quale bruciava dal desiderio di annunciarvi il vangelo e ha dato vita ai conventi perché non fossero più roccaforti di religiosità ma crocevia e stazioni per chi è mandato in tutto il mondo a “predicare” la buona novella del Regno, e cioè la possibilità per tutti di vivere dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo nella quotidianità. Vi inviterei a meditare queste sue stesse parole: “Appena avremo organizzato ed affermato il nostro Ordine, ce ne andremo presso i Cumani, per predicare loro la fede di Cristo e conquistarli al Signore”.

Ma voglio dirvi anche che in questo momento  voi rimanete la stella polare nell’orizzonte della mia vita ormai agli sgoccioli: se la battaglia che ho combattuto è quella giusta, spero di conservare la fede sia come dono soggettivo e sia anche nella sua sostanza oggettiva, perché è questa la condizione per raggiungere “quella corona di giustizia che il Signore consegnerà in quel giorno  a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione” (2Tim 4,8). Ma mentre desidero anche per voi questa  “corona di giustizia”, può succedere che altri si ritrovino ricacciati tra i “Cumani”, o perché abbandonati a se stessi o perché costretti a rientrare nella categoria dei “praticanti” e nell’anonimato del gregge, per cui basta assicurare loro un “servizio liturgico” magari spettacolare! Viene da chiedersi se in tutto questo domina una reale “ragione pastorale” a 360° - che quindi vi coinvolge - o se sia in gioco soltanto una “ragion di sistema” per mantenere un proprio prestigio. È risuonata nella liturgia di questi giorni l’invettiva del profeta Geremia: “Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati”. O ve  ne siete preoccupati in maniera indiretta e di riflesso, come di clienti o praticanti senza volto!

Se davvero pensiamo a voi e al problema della fede nel mondo, non servono mezze misure, ma è necessaria una radicalità mentale di impostazione insieme a semplicità di comportamento e immediatezza di relazioni: adattarsi agli altri secondo la loro misura è possibile solo quando in primo luogo è rispettata la misura stessa:  se dunque dobbiamo accogliervi  con l’amore di Cristo, è all’amore per lui che devono puntare i nostri cuori, nella verità. E questo non avviene attraverso “circoncisioni” istituzionali o patti di appartenenza formali, nel rispetto di prassi convenzionali magari corrette e aggiornate, ma è fondamentale “farsi tutto a tutti”.      

Se mi chiedo come e da dove nasce questo stato di cose, devo riconoscere che all’origine c’ è il tentativo e la scelta di venire a voi in solidarietà e condivisone, desiderio che è vivo e forte anche ora, come se tutto dovesse ricominciare. E in effetti questo nuovo passaggio non fa che rafforzare il motivo di fondo di una scelta che non rientra nei quadri canonici, ma che si impone nelle cose. Non importa perciò come vanno le cose, se questo può servire in qualche modo a dirvi la mia fedeltà, al di là di ruoli e competenze vari. Si diceva del Concilio Vaticano II che aveva messo il mondo all’ordine del giorno: ebbene, all’ordine del giorno per me ci siete voi, Cumani di ogni genere. E non vi sembri esagerato se nel darvi il mio saluto di pace, io trovi conforto e coraggio nella testimonianza di Paolo, che forse è emblematica di situazioni destinate a ripetersi nel tempo quando le istanze delle periferie vengono in primo piano.

È la testimonianza che ci lascia quando scrive a Timoteo queste parole: “Cerca di venire presto da me, perché Dema mi ha abbandonato, avendo preferito le cose di questo mondo, ed è partito per Tessalònica; Crescente è andato in Galazia, Tito in Dalmazia. Solo Luca è con me. Prendi con te Marco e portalo, perché mi sarà utile per il ministero. Ho inviato Tìchico a Èfeso. Venendo, portami il mantello, che ho lasciato a Tròade in casa di Carpo, e i libri, soprattutto le pergamene. Alessandro, il fabbro, mi ha procurato molti danni: il Signore gli renderà secondo le sue opere. Anche tu guàrdati da lui, perché si è accanito contro la nostra predicazione. Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Nei loro confronti, non se ne tenga conto. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone. Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen” (2Tim 4,9-18) .

Riemerge la dimensione teologica anche di queste vicende umane! È una preziosa testimonianza di vita che lascia capire ciò per cui S.Paolo si era speso e cosa volesse portare a compimento nonostante le difficoltà, grazie alla vicinanza e alla forza del suo Signore: l’annuncio del Vangelo in modo che tutte le genti lo ascoltassero! Gli stavate a cuore voi, Gentili o Cumani, mentre soffriva che gli venisse ostacolata la predicazione proprio da chi avrebbe dovuto favorirla. Voglio promettervi che per volontà e con l’aiuto del Signore Gesù io vi resterò fedele fosse pure con la sola sofferenza di vedere la predicazione “resa vana”, quando invece è proprio quella che andrebbe ritrovata pensando prima di tutto a voi, cari Cumani. Questa in fondo è la consegna che ci ha fatto il Padre dell’Ordine dei Predicatori: quella di una predicazione del vangelo “sine glossa” e rivolta ai destinatari naturali, che siete appunto voi. Se da un certo punto di vista siete un problema, per “sortirne insieme” molto dipende anche da voi.

 

Alberto Bruno Simoni op

 

 

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