Koinonia Agosto 2018


IL TEMPO DELLE RELIGIOSITÀ INSTABILI

 

Quanto la fede religiosa (e quella cristiana in particolare) ha ancora cittadinanza nel pensiero e nel vissuto delle nuove generazioni? I giovani d’oggi sono interessati alle questioni del senso ultimo dell’esistenza, ad una prospettiva che trascenda gli orizzonti umani, oppure sono assorbiti da prospettive immanenti di realizzazione? Inoltre, l’eventuale domanda di senso è aperta o chiusa ai messaggi offerti dalle religioni istituite, oppure il “fai da te” religioso è ormai la costante del rapporto dei giovani col sacro? In particolare, il sentire attuale dei giovani è in sintonia o meno col messaggio cristiano e con le proposte loro offerte dalle chiese e dalle comunità religiose locali? E ancora, che ne è della trasmissione della fede? Ecco alcuni interrogativi che alimentano oggi il dibattito ecclesiale in vista del prossimo Sinodo dei Vescovi sui “giovani, la fede e il discernimento pastorale”.

 

La difficile sintonia con la coscienza moderna

Su questi temi, il confronto è assai acceso nella chiesa, in particolare tra coloro che delineano scenari apocalittici e quanti invece offrono analisi più possibiliste. I primi reputano che la maggioranza dei giovani d’oggi sia votata all’incredulità, non abbia più antenne per Dio; e ciò in parte per il ‘vuoto di valori’ che sembra caratterizzarli, in parte come specchio di una società che cerca la felicità ‘altrove’ rispetto alla religione.

Queste opinioni sono assai diffuse negli ambienti ecclesiali, che ogni giorno devono fare i conti con una presenza sempre più rarefatta dei giovani nelle parrocchie e negli oratori, con l’analfabetismo religioso delle nuove generazioni, con una cultura che enfatizza il relativo e depotenzia la verità. Per contro, questo allarmismo non è condiviso da altre realtà ecclesiali, pur consapevoli che il trend di secolarizzazione non si attenua in molte nazioni. Tuttavia, non tutto sembra perduto nell’epoca del pluralismo, dove le appartenenze religiose di un tempo non sono più date per scontate, e dove si registra una grande varietà di proposte spirituali.

Una parte del disinteresse e dell’apatia dei giovani in tema di fede è imputabile alla difficoltà delle istituzioni religiose nel sintonizzarsi con la coscienza moderna; e ciò in un periodo che pur pone alle persone nuove e laceranti domande di senso, per le molte incertezze che gravano sulla vita individuale e collettiva. Del resto, in un mondo giovanile assai differenziato al proprio interno, non mancano i segni di vitalità religiosa e spirituale, riscontrabili sia nelle grandi chiese che al di fuori di esse.

Il riferimento classico nel primo caso è alle Giornate Mondiali della Gioventù; mentre nel secondo si guarda ai giovani che in varie parti del mondo sono attratti dai movimenti pentecostali, o aderiscono ai nuovi culti e movimenti religiosi, o si ancorano a vie di salvezza che si rifanno a culture religiose o filosofiche di matrice orientale.

 

“Non credenti”, in forte crescita

A fronte di queste visioni contrastanti, che cosa emerge – circa il rapporto giovani-fede, giovani-chiesa – dai più recenti studi che si sono occupati di questi temi? Le ultime indagini sui giovani (come quella che ha dato vita al volume “Piccoli atei crescono. Davvero una generazione senza Dio?”, il Mulino) segnalano certamente che lo scenario religioso è in profonda trasformazione rispetto al passato, caratterizzato da un misto di chiari e scuri che occorre saper decifrare per evitare indebite generalizzazioni.

Il dato di maggior rilievo è la forte crescita dei “non credenti” nel mondo giovanile, un fenomeno che si manifesta in forme diverse, componendosi di atei convinti, di indifferenti alla fede religiosa, ma anche di soggetti che - pur mantenendo un legame col cattolicesimo – di fatto non credono in una realtà trascendente.

Si tratta di un orientamento ancora minoritario nel Paese, espresso da giovani che non hanno alcuna remora a dichiararsi nelle loro relazioni pubbliche e private ‘senza Dio’ o ‘senza religione’, distaccandosi dunque dal sentire religioso prevalente. La maggior parte di essi ha alle spalle un passato religioso, provenendo da famiglie di estrazione cattolica e avendo frequentato nell’infanzia e nell’adolescenza gli ambienti ecclesiali sia per attività formative sia per motivi di socialità; per cui la loro attuale distanza da una prospettiva religiosa sembra dovuta più alla rottura di un rapporto che a “ragioni di nascita”, più all’uscita da un percorso di formazione religiosa che alla sua assenza.

A fianco dei ‘non credenti’, un’ampia quota di giovani continua a mantenere – pur in forme diverse – un rapporto con la fede e la religione della tradizione. I credenti più convinti e attivi sono ormai una piccola ma qualificata minoranza, che esprime una fede vitale e impegnata nelle comunità locali, a seguito di esperienze positive vissute in famiglia e negli ambienti religiosi. Ma nell’insieme dei giovani ‘credenti’ prevalgono – come già succede per la popolazione adulta – quanti esprimono una fede in Dio più tenue o incerta, com’è tipico di coloro che mantengono un’identità cristiana più per motivi culturali o etnici che spirituali, ritrovando a questo livello un riferimento che offre sicurezza in una società sempre più precaria.

 

Tutte legittime le scelte compiute con consapevolezza

Quanto sin qui rilevato ci porta a dire che le nuove generazioni – rispetto al passato – hanno molte più possibilità di interagire con coetanei che la pensano diversamente sulla questione religiosa. La diffusa compresenza di credenti, non credenti e ‘diversamente credenti’, più che generare tensioni sembra favorire – a certe condizioni – situazioni di reciproco riconoscimento.  Ciò vale in particolare quando si è di fronte da un lato ad un ateismo dal volto più umano, non arrogante; e dall’altro ad una credenza religiosa più dialogante che fanatica.

A fianco di giovani atei assai ostili e tranchant nei confronti delle chiese e della religione, si contano molti coetanei che pur definendosi ‘senza Dio’ e ‘senza religione’ ritengono sia plausibile avere una fede religiosa anche nella società contemporanea, pur se la cosa non li riguarda. Negano quindi l’assunto che sia anacronistico credere in Dio nell’epoca attuale. Pur sufficientemente convinti delle proprie scelte, sono consapevoli che altri possono operare delle opzioni diverse sulle questioni fondamentali della vita.

 

Credere si può, a precise condizioni

Per contro, tra i giovani credenti (anche convinti e attivi) non mancano quelli che riconoscono quanto sia difficile professare una fede religiosa nella società liquida e plurale. Insomma, gli steccati tra il credere e il non credere sembrano incrinarsi in una generazione abituata a soppesare i pro e i contro di ogni opzione e a ritenere legittime le scelte che ogni individuo compie in modo consapevole, anche se diverse dalle proprie.

La fede ritenuta plausibile (anche da vari non credenti) è dunque quella più frutto di scelta che di destino, capace di fornire risposte vitali all’esistenza. Quindi non una fede imposta dalla famiglia o da ambienti religiosi asettici, che l’individuo si ritrova come bagaglio della vita senza averne maturato adeguata consapevolezza. Molti giovani ammettono che anche nella modernità avanzata è sensato credere in Dio e avere una fede religiosa, ma… “a precise condizioni” (di libera scelta, di coerenza, di coscienza). Va da sé che questo credito alla fede religiosa può essere più ideale che fattuale, più frutto di un ragionamento astratto che di un effettivo impegno di vita.

 

Si salva la Chiesa di base

Vi è poi il difficile rapporto dei giovani con la chiesa e le istituzioni religiose in generale, che in vari casi condiziona anche il percorso religioso delle persone. Molti giovani hanno difficoltà a riconoscersi in una realtà che percepiscono lontana dai loro orizzonti, più fonte di divieti e di precetti che di parole di vita. Tuttavia, quella che rifiutano è la chiesa istituzione, chiusa nelle proprie verità, più preoccupata di mantenere una posizione di vantaggio nella società che di dialogare con la coscienza moderna.

Per contro, rivalutano la chiesa di base, i preti di strada e quelli che si spendono sul territorio, le figure religiose non conformiste. In particolare, quella chiesa locale che si occupa  dei giovani, tiene aperti gli oratori, è prossima alle vicende degli ultimi, agisce nei luoghi di frontiera, nei quartieri degradati o dormitorio. Ecco la chiesa che molti giovani (anche non credenti e in difficoltà con la fede) intendono ‘salvare’, in forte contrasto con quella ufficiale o centrale, che sentono distante dalla gente comune e altrimenti affaccendata.

 

Spiritualità: una grande varietà di posizioni

Infine, quanto i giovani d’oggi sono interessati ai valori dello spirito, ad una ricerca spirituale che può esprimersi in forme e itinerari diversi, sia dentro che fuori le grandi tradizioni religiose? La domanda di una spiritualità alternativa (soprattutto di matrice orientale) coinvolge una minoranza impegnata di giovani, la cui consistenza è comunque inferiore a quanto perlopiù descritto e enfatizzato dai mass media.

Al di là di questi gruppi più selezionati, si delinea, a livello giovanile, una grande varietà di posizioni anche in questo campo. Una parte dei giovani (in particolare ‘non credenti’) non sembrano attribuire rilevanza a questa dimensione dell’esistenza, rimanendo ancorati alla concretezza della vita, risultando diffidenti verso una visione ‘incantata’ della realtà. Altri, invece, sembrano coltivare i valori dello spirito secondo un orizzonte immanente, capace di offrire armonia alla vita, di riconciliarli con la natura, esprimendo alcune forme di ‘sacralità’ della vita stessa. Un terzo profilo tende a coltivare (almeno idealmente) i valori dello spirito in campo aperto, ritenendo che la ricerca spirituale è senza confini e ha nel singolo soggetto il suo protagonista. In questi casi si presta attenzione a fonti ed esperienze diverse, anche agli stimoli offerti della chiesa e dalla religione prevalente nel proprio contesto di vita.

 

Uno scenario in grande movimento

In sintesi, lo scenario religioso attuale - con particolare riferimento alla situazione delle giovani generazioni – appare in grande movimento. Alcune chiusure e difficoltà sono evidenti e riguardano il rapporto con le istituzioni religiose, con modelli di religiosità ritenuti distanti dalla sensibilità emergente, con una concezione della fede percepita come troppo esclusiva e poco attenta al lato soggettivo dell’esperienza umana.

Tuttavia, la distanza di molti giovani dalle proposte delle religioni storiche non si accompagna tout court alla perdita da parte di essi di qualsiasi domanda di senso. Si tratta di una domanda non facile da intercettare e non priva di ambivalenze, in quanto informata da alcuni tratti culturali oggi diffusi, quali l’individualismo del credere, la messa in discussione dell’eredità religiosa, la propensione a far da sé e a ritenere valide solo le proposte religiose e spirituali che siano in sintonia con la propria soggettività.

Questo scenario problematico non è privo di sfide e di chances anche per il cristianesimo. A condizione che non si valutino solo negativamente le dinamiche odierne, ritenendo che l’oggi della fede sia ben poca cosa rispetto ad un passato perlopiù descritto come l’età dell’oro della religiosità; in ciò dimenticando che parte della religiosità del passato era intrisa anche di conformismo sociale o di mancanza di alternative. A patto ancora di riconoscere che l’epoca attuale (comunque la si valuti) si caratterizza per una esperienza morale, religiosa e spirituale assai diversa da quella del passato. Perché, come ha rilevato C. Taylor, un conto è aver fede in una società in cui era praticamente impossibile non credere in Dio; altro conto è essere credenti e praticanti in un’epoca in cui la fede – anche per il credente più incrollabile – rappresenta solo un’opzione tra le tante.

 

Franco Garelli

(da “Missione Oggi”, n. 4 – luglio-agosto 2018)

 

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