Koinonia Agosto 2018


Lettera del 1980 di fr. Vincent de Couesnongle, op,

Maestro dell’Ordine dal 1974 al 1983

 

 “Chi sono i miei “Cumani”?

 

Domanda strana, ma molto domenicana. Durante gli ultimi anni della sua vita San Dominico diceva spesso: «Quando l’Ordine sarà definitivamente stabilito, me ne andrò dai Cumani». Orde barbare provenienti dall’Europa dell’Est – o Sud o Nord, non è così importante – i Cumani non erano cristiani e avevano fama di essere molto crudeli.

 

Era sufficiente. Domenico voleva predicare Gesù Cristo a loro e, se Dio avesse accettato il suo sacrificio, voleva morire da martire, dopo aver chiesto ai suoi carnefici di tagliare il suo corpo in piccoli pezzi in modo da essere più simile alla Passione del suo Signore.

San Domenico parlava tutto il tempo dei Cumani e della propria partenza per le loro terre:

         - mentre il suo Ordine stava mettendo radici e si estendeva in tutte le direzioni;

         - mentre lui stesso viaggiava in giro fondando case e incoraggiando i fratelli;

         - mentre stava organizzando il suo Ordine, preparando le costituzioni e andando spesso a Roma per chiedere il sostegno della Papa;

         - mentre, come ogni altro frate, pregava incessantemente, considerando il suo lavoro alla guida dell’Ordine non sufficiente!

 

Gli storici sono pieni di ammirazione per l’intensa attività di quegli anni, e si chiedono come potesse realizzare così molte cose allo stesso tempo. E ancora tutto questo non gli bastava. «Vado dai Cumani». E fece i preparativi per andare, lasciandosi crescere la barba come segno del suo desiderio di diventare missionario.

 

Per noi i Cumani dovrebbero essere un simbolo dello zelo apostolico che infiammò san Domenico. C’è un simile zelo apostolico nella nostra vita? Nel profondo del mio cuore ho anch’io il desiderio di diventare un missionario? Chi sono i miei “Cumani”? Per San Domenico i “Cumani” non significava vivere felicemente con i suoi fratelli, rallegrandosi tutti i giorni di vedere la straordinaria diffusione dell’Ordine, continuando a predicare, consapevole del successo che aveva con un pubblico attento e ben disposte. San Domenico non era un uomo di routine, che ripetava quello che era stato sempre fatto e sempre conosciuto. Era un uomo che è andato al di là di ciò che era comune e ben noto, che non si accontentava di situazioni tranquille o vie ben conosciute.

 

Andate e predicate il Vangelo! Andate ai Cumani! Questo non era un sogno irreale per lui. Tutta la sua vita dimostra che era fin troppo realista per rimanere incastrato in un’illusione.Andare ai Cumani non era la ricerca di una via d’uscita, un modo per sfuggire dai problemi incessanti dell’Ordine che aveva fondato, infatti sappiamo che si è diede completamente a questo compito. Non era per stanchezza, ma per umiltà – a causa della sua incapacità, diceva – che chiese di essere sollevato dal suo ufficio.Andare ai Cumani era per lui un desiderio, una forza trascinante, una passione che lo ha spinto avanti per tutto il tempo. Ha sempre voluto andare oltre, fare di più, dare se stesso sempre di più, per essere sempre più come il suo Salvatore.

 

San Domenico non è mai andato ai Cumani. Non è riuscito a realizzare la sua ambizione, ma è morto circondato dalle lacrime e l’affetto dei suoi fratelli a Bologna. Tuttavia, è stato questo desiderio che lo teneva in vita. Gli ultimi anni sarebbero potuti essere così produttivi se non fosse stato ossessionato dal suo desiderio? Non dovrebbero anche quelli che vogliono vivere una vita ricca e piena sulle orme di fratello Domenico, essere tormentati da una violenta e mai realizzata ambizione, che spinge in avanti e profonde forza? Non ci può essere vera vita se non ci si sforza di realizzare qualcosa.

 

Chi sono i miei “Cumani”?

I “Cumani” – quell’ambizione Dominicana che scaturisce inevitabilmente da un apostolato lungimirante e creativo – possono avere mille forme. E’ molto più di un luogo particolare, o della missione, più di ogni particolare persona, di colore o della periferia, ricco o poveri o cristiani o non credente. È soprattutto uno stato d’animo, un’energia, una forza che ci giuda in ciò che è più profondo in noi, che ci lascia sempre insoddisfatti di ciò che siamo e che facciamo. Si tratta di un’ambizione, che a causa della sua vitalità e della sofferenza che provoca in noi, è in grado di cambiare la nostra comunità, il mondo e soprattutto noi stessi.

Corriamo sempre il rischio di limitare il nostro orizzonte materiale e il nostro campo d’azione, ed è soprattutto con il cuore che noi passiamo attraverso queste barriere. «Anche noi, anche io, andremo ai Cumani, con i nostri occhi su Cristo». In altre parole, vogliamo sempre fare di più, fare ciò che è più duro, più difficile, più pericoloso, quello che è, umanamente parlando, l’impresa

più disperata, più inimmaginabile per ciascuno di noi.

 

E’ possibile amare senza pagare un prezzo? Oggi questo prezzo da pagare, questa stanchezza significa molto di più di dimenticare se stessi o dare se stessi agli altri. Deve includere una ricerca continua per scoprire cosa si dovrebbe fare, cercare le necessarie modifiche ai nostri metodi e al nostro apostolato, nel modo in cui esprimiamo la nostra relazione con Dio e con gli altri, siano essi vicini a noi o lontani.

 

«Andare ai Cumani» per noi significa guardare il mondo così com’è, per scoprire che cos’è nel processo del divenire e ciò che sarà domani. E’ l’essere presente oggi nel fiorire del mondo in evoluzione. “Dove sono oggi le persone che domani saranno la forza trainante e dinamica del nuovo mondo? L’Ordine è presente per loro? Che cosa dovrebbe fare per loro? Che cosa sta facendo oggi per loro?”

«Andare ai Cumani» non significa essere soddisfatti di “salvare i salvati“, ma raggiungere anche, anzi soprattutto, coloro che non sono “salvati“, ma che faranno o disfaceranno il mondo di domani. Soprattutto non significa criticare ciò che sta accadendo nel nostro tempo, e poi svolgere nel miglior modo possibile la via stretta della vita che abbiamo stabilito per noi stessi, una volta per tutte. Questo vuol dire prima di tutto che bisogna proseguire il lavoro di San Domenico, in altri parole permettergli di essere ,,, ancora presente nel mondo come se vivesse ancora..

 

Ma come possiamo essere all’altezza di questo ideale se nel nostro cuore i “Cumani” non sono vivi, se sono morti dentro di noi prima ancora di cominciare a vivere? Conosco fratelli e sorelle, che per tutta la vita hanno fatto del loro meglio per essere inviati nellemissioni, come si diceva in quei giorni. Per loro i Cumani avevano una forma molto precisa. Ma alcuni di questi religiosi non riuscirono mai ad andare in missione Tuttavia, la loro voglia di andare li teneva in vita. Permise loro di continuare, per come potevano, il lavoro che era stato dato loro. Lo hanno fatto per un senso di lealtà certamente, ma forse nel segreto del loro cuore, speravano di convincere i loro superiori e anche Dio stesso affinché permettessero di realizzare la loro ambizione. Se questa ambizione non li avesse esortati a volte a rifugiarsi nel Signore, nella preghiera e nel silenzio, avrebbero mai imparato a farlo? Infatti soffrirono molto nella realizzazione di un apostolato monotono, in una comunità insensibile, di fronte alla malattia, e soprattutto a fronte di una squallida e infelice esistenza.

 

“Andrò ai Cumani”.

Se quel grido del fratello Domenico fosse ancora vivo in noi, se ci tormentasse tutto il tempo, le nostre comunità e la nostra vita con Dio per gli altri non potrebbero essere totalmente diversi da quello che sono?

 

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