Koinonia Luglio 2018


IL CONVENTO SIETE VOI...

 

Questa volta torno a parlare di “convento” non solo  quale  figura paradigmatica di vita evangelica, come è capitato di fare tante volte, ma semplicemente perché lo storico convento S.Domenico di Pistoia è arrivato al capolinea ed è stato canonicamente soppresso. E se prima la sollecitazione era a ritrovare un senso vivo e attivo di questa forma storica di chiesa - per non essere portatori passivi di un simulacro sacro - ora  è inevitabile verificare ciò che è vivo e ciò che è morto di questa eredità, che ci portiamo addosso spesso più come zavorra e copertura che come simbolo di novità evangelica.

 

E allora la domanda: la fine giuridica di questo convento, oltre a rappresentare la morte naturale di un certo modello di convento, è anche l’occasione propizia per una riscoperta e rinascita di quello che dovrebbe essere laboratorio di vita e di servizio evangelico: “casa di predicazione”? È chiaro che se si trattasse solo di una trasmigrazione logistica da un convento all’altro come collocazione giuridica, il gioco non varrebbe la candela, perché non ci sarebbe da fare altro che aspettare prossime inevitabili chiusure. Il fatto ad esempio - per quanto mi riguarda - che sia stato deciso il trasferimento al convento di S.Domenico di Fiesole, è certamente  una disposizione ineccepibile, ma non so quanto possa inquadrarsi  in una volontà di ripensamento radicale fino a rimettersi in discussione!

 

Sta di fatto che proprio una situazione così tangibile rende finalmente realistico e inevitabile anche il relativo discorso che l’accompagna, e in qualche modo recupera il senso di tutta la nostra esperienza di questi anni. Ed allora sia lecito dire che quanto la tiene in vita anche ora è la stessa anima che l’ha generata, tanto è vero che le motivazioni addotte a suo tempo per intraprendere un cammino “extra-conventuale” sarebbero del tutto valide per rilanciare oggi l’iniziativa. Eccole:  “1 - La necessità di ricercare ed attuare un modo più autentico di assolvere oggi una responsabilità di ministero della Parola di Dio; 2 - Il desiderio di portare un contributo di esperienza e di riflessione alla riscoperta pratica di una più adeguata collocazione sacerdotale e domenicana all’interno della Chiesa e tra gli uomini”.  Come si vede, siamo sempre sulla stessa lunghezza d’onda di oltre 40 anni fa, ed è davvero strano che una convergenza e una solidarietà sincera non ci siano mai state  da parte di persone  istituzionalmente a questo deputate, mentre sarebbe tutto da spiegare l’ostracismo ricorrente, per fare un minimo di verità e di giustizia.

 

Tutta l’ostilità ininterrotta verso questo tentativo nasceva dal principio che non era possibile  operare “fuori convento”, inteso prevalentemente come struttura giuridica e muraria, nel presupposto che le attività “pastorali” di rito esigevano personale e anche perché - si sosteneva - quanto ci sembrava necessario fare era possibile farlo anche stando in  convento. In effetti, siamo riusciti a farlo anche stando correttamente in convento, ma come qualcosa di estraneo e di non compatibile con una realtà di convento funzionale a progetti o convenzionali o particolari, indolori e rappresentativi, tali che non mettessero in discussione il problema di fondo. E questo anche quando si intenderebbe mettere mano al problema generale della chiesa in universale: magari volendo una chiesa evangelica in un convento a matrice ed impostazione gerarchica!

 

Iniziative e proposte di ripensamento - per quanto sollecitate dagli eventi e dai pronunciamenti dall’alto - non hanno avuto ascolto, e hanno portato ad una condizione di emarginazione obiettiva o ad un vita parallela, fatta di osservanza e partecipazione convinta, ma anche di autonomia operativa. Mentre insomma restano in vigore categorie e modelli formali indiscussi, si cerca di riempirli pragmaticamente con contenuti  di vario  genere, da dove  una immagine di convento ricettacolo di iniziative la più contrastanti, accreditate come pluralità di scelte, salvo discriminarne qualcuna come “personale”. Poi ci si chiede come mai non sia possibile trovare un filo conduttore che le possa legare e coordinare, mentre tutto avanza in nome e in forza della pura e semplice legittimità. Sembra ci sia la convinzione che tutto possa risolversi in punta di legge e grazie ad un principio di autorità!

 

Dovendo e volendo guardare avanti verso nuovi scenari, è stato inevitabile uno sguardo indietro, ma all’unico scopo di ritrovare la giusta spinta propulsiva, che aiuti a interpretare e superare questo nuovo passaggio critico, perché non sia di morte ma di vita: per capire cosa muore e cosa nasce. In effetti le immagini che si presentano per tradurre questo momento sono: crisalide, calco, impalcatura, tutte realtà provvisorie, destinate a lasciare spazio a ciò per cui sono fatte. Fuor di metafora, si direbbe che il passaggio è da un regime di legge ancora vigente ad uno stato di responsabilità e di libertà interiore, in cui le cose siano per se stesse quello che devono essere e non più riflesso e impronta di volontà anonime o stati di necessità. E di questo nessuno può dolersi!

 

Facendo ricorso a Paolo, la condizione è quella che descrive in Galati 3,23-25:  “Prima che venisse la fede, noi eravamo custoditi e rinchiusi sotto la Legge, in attesa della fede che doveva essere rivelata. Così la Legge è stata per noi un pedagogo, fino a Cristo, perché fossimo giustificati per la fede. Sopraggiunta la fede, non siamo più sotto un pedagogo”. Se guardiamo in realtà alla vicenda pluridecennale di Koinonia, questa si è svolta nell’ombra di un sistema dominante, pronta a ridimensionarsi e a vivere in regime di tolleranza e senza diritto di cittadinanza; semplicemente a non esistere! Per  ironia della sorte, è la prima volta  che si ritrova ad essere in piedi da sé, certamente grazie alla disponibilità ad offrire i necessari spazi logistici, ma alla fine col necessario orgoglio di chi esce dall’ombra della sistematica neutralizzazione istituzionale. E se fino ad ora ha provocato inutilmente il necessario confronto, ora è solo pronta ad accettarlo!

 

D’altra parte è quanto è scritto nella Regola fatta propria dai Frati Predicatori, quando si legge di non sentirsi “come schiavi sotto la legge ma come uomini liberi costituiti nella grazia”: ecco, proprio questo passaggio regolato secondo la legge può essere vissuto con la libertà di muoversi nella dimensione della grazia, là dove la verità si fa luce! Questo non vuol dire appiattire spiritualisticamente le questioni sul tavolo, ma vuol dire far valere la necessaria distinzione di piani e di prospettive per un confronto reale e non asimmetrico in termini di legge, ma  in forza di spirito e verità. 

 

Se il convento  viene soppresso come espressione giuridica e chiuso materialmente, rimane vivo come “convento interiore”, così come direbbe Santa Caterina che parla di “cella interiore” e così come fin dalle origini veniva inteso dai primi frati, cioè senza mura: “Il mondo è per essi una cella e l’oceano un chiostro”. Tutto sta a vedere se prima una semina c’è stata, perché sappiamo che se  “è seminato corpo animale, risorge corpo spirituale. Se c’è un corpo animale, vi è anche un corpo spirituale” (1Cor 15,44). E se il seme muore, allora può portare frutto. A questo proposito si possono ricordare alcune parole di S.Domenico, secondo cui “il grano ammucchiato marcisce” mentre è fatto per essere seminato o per diventare farina. Niente naturalmente è indolore, ma l’importante è che il travaglio e i gemiti portino a nuova vita.

 

È solo facendo verità in se stessi e con se stessi che si può trovare la libertà del rispetto e osservanza anche della legge, che diversamente diverrebbe accomodamento, compromesso, ambiguità a tutto danno di quella fraternità insita nel nome stesso di convento in cui vivono appunto “frati”. Tutto sta a vedere se questo confronto lo si vuole e lo si accetta, uscendo dalla pura logica legittimista e giustificazionista della sola copertura legale. Anche queste considerazioni sono fatte nell’intento di trovare i termini e di creare le condizione mentali per un confronto, se non altro per una giusta collocazione di se stessi.

 

Ma la questione non è  cantare vittoria da una parte o dall’altra  in termini personali o assurde prese di posizione: la questione è di portare alla luce e ad un rapporto dialettico scelte  ed orientamenti diversi nello stesso ambito istituzionale, senza che una ufficialità formale monopolizzi il tutto o sponsorizzi una parte. Quindi si arriva a dire che sono in gioco sensibilità, mentalità, metodologie “pastorali” diverse e non si vede la ragione per cui alcune debbano godere di corsie preferenziali e riservate mentre altre devono accreditarsi non si sa nemmeno come. Ed allora che confronto sia senza più handicap ma in libertà e alla pari. Sì, perché in gioco non ci siamo noi o le nostre strutture, ma c’è la vita e la salvezza del mondo da servire mediante il vangelo: “salus animarum suprema lex”.

 

Ed è appunto in questo servizio che le differenze possono emergere e devono essere ricomposte: è qui il punto su cui va fatta chiarezza, sulla tipologia di chiesa sottesa ad ogni comportamento culturale, pastorale e conventuale. Con questa precisa avvertenza, più volte ma inutilmente segnalata: che le differenze devono essere riconosciute nella loro distinzione reale, fino a dire che la chiesa è sì “una” ma al tempo stesso e costitutivamente duale (ad intra e ad extra, visibile e invisibile ecc .), e se l’altra faccia della medaglia non viene messa in rilievo tutto si riduce sempre alla solita immagine, magari giocando alla contestazione, al dissenso, all’alternativa, ma in realtà girando sempre intorno al solito sistema.

 

Non è il momento e non è lo spazio giusto per addentrarsi in simili meandri: diciamo che è quello che abbiamo sempre cercato di fare guardando ad una chiesa “diversa” sostanzialmente e  “secundum quid” uguale, appunto secondo il principio di analogia che ci fa uscire dall’equivocità e dall’univocità. Per dare qualche segnalazione, basterebbe dire che ad una chiesa secondo la legge si affianca una chiesa secondo grazia e verità; ad una chiesa dei Giudei una Chiesa dei Gentili; ad una chiesa-sistema una chiesa-carisma  ecc… E decidere da che parte si sta.

 

Tornando al tema “convento” sono dell’idea che storicamente ha rappresentato per vocazione la faccia evangelica di una chiesa apparato o di potere. Ma purtroppo si deve ammettere che anche i conventi sono diventati minuscoli satelliti  del sistema chiesa introiettando e mutuando la stessa logica, per cui l’unico criterio per decisioni relative alla loro esistenza o meno rimane il puro esercizio di potere, per quanto formalmente motivato. 

 

Niente da eccepire sulla validità giuridica della soppressione del Convento S.Domenico di Pistoia, ma è chiaro che non tutto può finire così,  perché ci sono spazi di azione evangelica e pastorale che non rientrano nelle maglie  istituzionali  e nella prassi corrente, che non basta abbellire e perfezionare per farla passare come novità, se la logica di fondo è sempre la stessa: quella dirigista  e finalizzata, invece che quella della partecipazione critica. Una che guarda ai progetti, l’altra che parte dai soggetti.

 

È diventato quasi uno slogan pubblicitario dire “La chiesa siete voi!”. Cari amici, dopo che per anni e anni  ho cercato di rendervi parte viva di un “convento” in diaspora, ora finalmente posso dirvi: “Il mio convento siete voi”! Dovunque voi siate!

 

P.Alberto Bruno Simoni op

 

 

 

 

.