Koinonia Giugno 2018


Abitare le fragilità della Chiesa

 

Per cogliere il senso attuale di una riflessione, certo in itinere, sulla fragilità della Chiesa, è strategicamente sensato prendere le mosse dagli anni Sessanta del secolo scorso, tempo di verdi speranze e di cambiamenti strutturali. Segnato, nel contesto occidentale, dall’affermarsi di un nuovo clima generale destinato a trasformare nel profondo le forme del vivere associato, il sentire comune, i criteri di valutazione personali: fino a far saltare l’idea che si possa vivere, a ogni livello, e organizzare le varie istituzioni, secondo una logica di sistema. Da un lato il concilio Vaticano II che, sul fronte della comprensione delle dinamiche costitutive di Chiesa, recupera la prospettiva di una realizzazione della comunità cristiana locale dal basso; e dall’altro lato, il ‘68, che diffonde un’inedita sensibilità culturale, causano così, anche per la Chiesa, un’eclissi dell’era del sistema.

L’idea che si dia un codice comune a tutti, cui ricorrere nella discussione pubblica, un sapere solido e condiviso, valori stabili, un’unità per omogeneità, una socializzazione forte, un apparato di ruoli definito, un’economia ben regolata, una società in cui si agisca in conformità a procedure e regolamenti normati, finisce per essere sostanzialmente superata, sia pure con un processo di coscientizzazione relativamente lento. Così, la fragilità più profonda che la Chiesa oggi sperimenta, e che papa Francesco ha ben chiara nel suo orizzonte mentale di uomo venuto quasi dalla fine del mondo, risiede a tale livello e va riferita a tale passaggio epocale. -

I sistemi onnicomprensivi di cui l’umanità ha fatto esperienza per secoli, del resto, non esistono più, e ci scopriamo inermi, inadeguati ad affrontare da soli la complessità che essi ci mediavano. I cristiani, perciò, si scoprono partecipi di una società contraddistinta da una cultura di base indebolita, da una veemente frammentazione e da crisi di identità sociale, processi impetuosi di multiculturalità e una pluralità di codici compresenti. Lo sbriciolamento di una razionalità sistemica è evidente. E se di ciò facciamo esperienza a più livelli, di rado tale evoluzione è accolta come reale e tangibile, ci si limita piuttosto a negarla o a riferirne gli effetti ad alcuni soggetti sociali ben definiti. Si tratta, certo, di una condizione scomoda da cui si vorrebbe fuggire, in una stagione in cui la sicurezza e la stabilità rassicurante sono, per contrapposizione, ilt must da perseguire sempre e comunque, in tutti i contesti dell’esistenza personale e collettiva.

È innegabile il fatto che le identità (dei singoli, dei soggetti sociali, dei popoli) abbiano perduto solidità, definitezza, continuità, e che vadano faticosamente e continuamente costruite e contrattate giorno per giorno, su basi di volta in volta da trovare. I modelli e i codici comportamentali ai quali ci si poteva conformare con tranquillità, adottati come punti di riferimento per la costruzione di un’identità adulta da conseguirsi una volta per tutte, non esistono più. Caducità, friabilità, provvisorietà sono i nomi della fragilità anche dei soggetti collettivi (la coppia, la famiglia, le organizzazioni, i partiti politici, le istituzioni in genere). Interruzione, incoerenza, sorpresa sono normali condizioni della nostra vita. Non riusciamo più a sopportare nulla che duri, né sappiamo più come mettere a frutto la noia. Pertanto, le forme di appartenenza sono divenute labili: cerchiamo - ed eleggiamo democraticamente, ci mancherebbe - leader che ci sembrano forti perché saprebbero indicarci la via sicura, mentre sperimentiamo il timore di coniugare identità e fragilità. La matrice anti-istituzionale di tale processo appare ora, in questa tarda modernità, innegabile: fino a mendicare senso e realizzazione di sé al di fuori degli ambiti istituzionali (Alain Touraine definisce icasticamente questa situazione con il termine di de-istituzionalizzazione).

 

... Da parte, sua, la Chiesa cattolica si è percepita nei secoli come un’istituzione pervasiva, iper-organizzata, centralizzata, con un vertice in grado di assumere decisioni per tutti, standardizzata nelle sue procedure, uguali ovunque, e rigida; mentre ora si trova dislocata, davanti al crollo del sistema e ai crolli culturali di ciò che sembrava del tutto stabile, affidabile, inamovibile. Abitare la fragilità significa dunque, in primo luogo, raccogliere la sfida insita in questa fase di permanente transizione eletta a orizzonte vitale; capire e amare questa condizione, ivi incluse le potenzialità e le risorse inedite che porta con sé, accettando che sia finita un’epoca e che la nostra condizione sia irriconoscibile rispetto alle forme ereditate dal passato, anche recente. Senza alcuna certezza da vantare. E chissà che, alla fine, non si riveli un kairòs, un tempo di straordinarie e sorprendenti opportunità. Perché, come ha sostenuto papa Francesco in occasione di un incontro con un gruppo di volontari, «solo chi riconosce la propria fragilità, il proprio limite, può costruire relazioni fraterne e solidali, nella Chiesa e nella società»

 

Brunetto Salvarani

in Teologia per tempi incerti, Editori Laterza, 2018, pp. 166-169

 

 

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