Koinonia Giugno 2018


DOPO IL ‘68

TESTIMONIANZA CRISTIANA E DIRITTI UMANI IN AMERICA LATINA

 

Nel corso dei secoli in America Latina la contestazione nei confronti della Chiesa istituzionale che aveva scelto come propri paladini i sovrani “cattolicissimi” di Spagna e Portogallo fu sempre molto presente, dovendosi scontrare con una realtà di ingiustizia e oppressione ancora più violenta di quella che caratterizzò l’Europa. Nel continente americano infatti era tornata la schiavitù (i neri portati a forza dall’Africa) e la servitù della gleba (alla quale erano sottoposti i popoli nativi). Così a una Chiesa di vertice che benediva l’ordine costituito fatto di tanti oppressi e di pochi oppressori si contrapposero movimenti di matrice cristiana, spesso influenzati dalle culture ancestrali di origine india o africana.

Gli esempi di questa contestazione, religiosa e politico-sociale ad un tempo, sono innumerevoli. Limitandoci all’epoca moderna, fra ‘700 e ‘800 possiamo ricordare le vicende di Tupac Amaru II (1), di Hidalgo e Morelos (2), dei “beatos” brasiliani (3). Fra ‘800 e ‘900, accanto a questi movimenti di popolo, tutti repressi dall’ordine costituito, troviamo un’èlite di intellettuali e militanti che si richiamano a valori del Vangelo senza tuttavia appartenere ad alcuna chiesa. Si pensi, solo per fare un esempio, a Josè Martì (4) e a Augusto Cèsar Sandino (5).

Negli anni ‘60 del XX secolo, contestualmente all’evento conciliare, in settori sempre più ampi di cristiani si fa strada la consapevolezza che la Parola di Gesù non può essere che un Vangelo di liberazione. Il Cristo crocifisso, dominante per secoli in tutte le manifestazioni di religiosità popolare, non può più essere l’immagine finale di una storia di sofferenza e di morte che potrà essere riscattata solo in un’altra vita. I poveri dell’America Latina, a partire dalle etnie oppresse,  dagli emarginati, dai contadini senza terra, dagli operai sfruttati cominciano a vedere nel Vangelo un messaggio di liberazione concreta, già operante in questa vita: liberazione dall’oppressione delle èlites, liberazione dalle multinazionali straniere, liberazione da ogni forma di razzismo e di discriminazione.

Chiesa dei poveri, Chiesa popolo di Dio: questo messaggio del Concilio Vaticano II irrompe con forza nella conferenza episcopale di Medellìn (Colombia, 1969). È un messaggio che nel contesto di un continente così drammaticamente diviso tra ricchi e poveri assume connotati che potremmo definire rivoluzionari.

Teologi di notevole spessore, vescovi, religiosi e religiose, operatori pastorali, intere comunità, a partire da una lettura incarnata dell’Antico e del Nuovo Testamento, intraprendono un cammino di liberazione.

Nonostante la scelta non violenta che caratterizza il loro metodo di lotta, la repressione non si fa attendere. Mentre le guerriglie armate stanno arretrando in tutto il continente l’amministrazione americana, alleata delle classi dominanti, individua nella Teologia della Liberazione e nelle Comunità Ecclesiali di Base un pericolo mortale da combattere con ogni mezzo. In quasi tutti i paesi dell’America Latina negli anni ‘70 e ‘80 del ‘900 si instaurano dittature militari e la repressione si intensifica. Religiosi e operatori pastorali, missionari, teologi e anche alcuni vescovi vengono presi di mira. Molti sono imprigionati, torturati, uccisi. Le vittime sono innumerevoli.

Ma l’opzione militare non è la sola. In quegli stessi anni prende piede un progetto ben più sofisticato. Per combattere una possibile egemonia culturale delle comunità ecclesiale di base e dei Teologi della Liberazione i settori più conservatori degli USA, legati alla destra “evangelical” si rendono conto che è necessaria una strategia capace di vincere anche sul piano delle idee, della visione religiosa e culturale del mondo. Entrano quindi in campo le sette evangeliche (da non confondersi con le chiese protestanti) che invadono tutta l’America Latina, sostenute da capitali nordamericani. La penetrazione delle sette è capillare e la loro presenza nei partiti politici e nei governi dell’America Latina è riscontrabile ovunque. Possiamo affermare senza paura di smentita che le difficoltà in cui versano da allora i settori più avanzati della chiesa cattolica latinoamericana sono dovute in parte considerevole alla funzione regressiva delle sette (6).

Non possiamo poi trascurare gli interventi censori del Vaticano nei confronti dei teologi e dei vescovi progressisti. La Teologia della Liberazione, diventata per alcuni anni pensiero egemone nei seminari e nelle università cattoliche, viene colpita in ogni modo. Molti dei suoi più autorevoli rappresentanti (Gustavo Gutierrez, Leonardo Boff…), condannati dalla Congregazione per la Dottrina della Fede guidata dal cardinale Ratzinger, vengono costretti al silenzio, allontanati dall’insegnamento e in alcuni casi sospesi a divinis. In quanto ai vescovi la prassi comune è quella di spostarli di diocesi per far loro perdere i contatti col popolo e, una volta superata l’età limite dei 75 anni, sostituirli con vescovi conservatori, fedeli interpreti dell’ortodossia ecclesiastica piuttosto che paladini dei valori di giustizia; e tale scelta viene giustificata in nome della lotta al comunismo. In merito a questa ossessione anticomunista è rimasta famosa un’osservazione di Helder Camara, vescovo di Recife (Brasile): “Quando aiuto un povero mi  chiamano santo, ma se mi interrogo sulle cause della sua povertà dicono che sono comunista”.

Tra gli anni ‘80 e gli anni ‘90 assistiamo al progressivo esaurimento delle dittature. La sconfitta generalizzata dei movimenti guerriglieri da un lato e il crollo del comunismo sovietico dall’altro fanno sì che l’amministrazione USA, le multinazionali, le oligarchie dei singoli paesi non sentano più la necessità di ricorrere ai regimi oppressivi e sanguinari che per un ventennio avevano garantito i loro interessi. Poco a poco in tutta l’America Latina si affermano governi almeno in apparenza democratici.

Tuttavia, se i diritti civili vengono in qualche modo garantiti, ben altra cosa è l’attuazione dei diritti umani. Durante le dittature si era imposta l’economia neoliberista che fece la sua prima comparsa nel Cile di Pinochet e che poi andò affermandosi ovunque, ben al di là dell’America Latina. Il libero mercato diventa così la nuova religione dell’economia, il profitto l’unico dio. Di qui lo smantellamento di quel poco di stato sociale che, soprattutto in alcuni paesi, aveva preso piede negli anni che precedettero le dittature. Democrazia politica, dunque, ma non minori differenze sociali rispetto al passato.

Questo sistema economico non è cambiato, in buona sostanza, nemmeno nel primo decennio del XXI secolo, quando forze progressiste giungono al potere in numerosi paesi dell’America Latina. Migliorano per alcuni anni le condizioni dei poveri che conquistano nuovi diritti (istruzione, sanità, servizi pubblici più decenti), ma tutto ciò solo grazie a politiche  assistenziali. E nell’ultimo decennio con la sconfitta dei partiti riformatori negli stati più importanti (Brasile, Argentina, Cile)  siamo tornati alla situazione precedente, col trionfo di regimi autoritari e illiberali.

In quanto alla Chiesa cattolica la salita (del tutto inaspettata) di Bergoglio al soglio pontificio sembra dare maggiori speranze alle comunità cristiane e agli stessi teologi della liberazione.

Se per tanti anni i movimenti popolari, molti dei quali di ispirazione cristiana, si sono sentiti “orfani” della Chiesa, oggi vivono un tempo di speranza. Papa Francesco non fa mistero del suo appoggio a quelle realtà di base che si battono per la giustizia, per l’uguaglianza, per la difesa dell’ambiente, per la fine di ogni discriminazione. E il prossimo sinodo sull’Amazzonia testimonia questa ferma volontà di Francesco.

È tuttavia, il suo, un remare contro corrente. Troppo forti sono i poteri che si oppongono a questo progetto di promozione umana. Dunque l’impegno di tanti cristiani che vorrebbero dare concretezza, almeno in parte,  alla Parola del Vangelo è un progetto illusorio, pura utopia? Per come stanno andando le cose, oggi, le speranze di cambiamento sono veramente esigue, per non dire vane, a essere realisti; ma i miracoli (che non sono certo quelli delle Madonne che piangono) talvolta succedono; e la presenza di Francesco, salito al soglio pontificio in modo del tutto inaspettato, sta a testimoniarlo. Tuttavia i miracoli sono anche frutto delle nostre mani. Avremmo, oggi, un papa come l’attuale se un movimento ampio nella chiesa di base non si fosse battuto, caparbiamente, per testimoniare sul serio un Vangelo di liberazione?

 

Bruno D’Avanzo

 

NOTE

(1) Nobile inca che nella seconda metà del XVIII secolo suscitò una rivolta generale contro i dominatori spagnoli. Al momento del suo arresto gli fu trovato addosso uno scritto con parole di denuncia contro l’oppressione coloniale che riprendevano quasi alla lettera un passo del profeta Isaia (“le grida del popolo che salgono fino al al cielo”).

(2) Due preti che nel Messico del primo ‘800 guidarono la guerra di liberazione contro gli spagnoli. I loro seguaci erano in gran parte popoli di origine india e avevano come proprio vessillo l’immagine della Virgen de Guadalupe, la Madonna meticcia, attuale patrona dell’America Latina.

(3) Uomini del popolo, dal passato spesso discutibile, che dopo la conversione crearono comunità cristiane nelle quali si praticava l’uguaglianza dei beni.

(4) Padre della patria della Cuba moderna. Morì in battaglia combattendo contro gli spagnoli.

(5) Leader di una rivolta popolare in Nicaragua negli anni ‘20-30 del ‘900 contro l’oligarchia terriera.

(6) Il loro messaggio è semplice: il Regno di Dio non è di questa terra; chi si batte per un mondo di giustizia non fa la volontà del Padre. Quindi ben venga la repressione a spazzare via i “falsi cristiani” (comunità ecclesiali di base e Teologi della liberazione).

 

 

 

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