Koinonia Giugno 2018


DA MEDELLÍN A FRANCESCO

CHIESA E LIBERAZIONE

 

Negli anni ‘60 l’America Latina vive una modernizzazione diseguale, che favorisce una forte urbanizzazione e l’inasprirsi dei conflitti sociali, sulla scia della crisi dei regimi populisti e del trionfo della rivoluzione cubana, con la radicalizzazione dei movimenti popolari e studenteschi. Questa effervescenza si incontra coi fermenti innescati dal Concilio Vaticano II, grazie anche all’afflusso di missionari provenienti dalle aree teologicamente più vivaci d’Europa, favorendo la nascita di gruppi di preti progressisti, lo sviluppo di iniziative di “coscientizzazione” della base cristiana e il coinvolgimento di cattolici nelle lotte sociali, fino al caso di p. Camilo Torres, ucciso in combattimento dopo aver aderito alla guerriglia in Colombia. La loro prassi utilizza il metodo “vedere-giudicare-agire”, cioè parte dall’analisi della realtà sociale, la illumina con la Parola di Dio e ne ricava scelte di azione.

Questo dinamismo viene assunto dalla II Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano, svoltasi a Medellín, in Colombia, nel 1968, nella quale i vescovi, sotto la spinta di un gruppo di prelati innovatori, compiono tre opzioni fondamentali: per i poveri (scegliendo, cioè, di guardare la realtà dal punto di vista delle vittime dell’ingiustizia strutturale), per le Comunità ecclesiali di base (ossia un nuovo modello di Chiesa rifondata dal basso) e per la “liberazione integrale” (cioè non solo dal peccato, ma da ogni oppressione storica). Pochi mesi prima era stato il peruviano Gustavo Gutiérrez a coniare il termine “Teologia della Liberazione”, che, a partire dall’interrogativo su “Come annunciare Dio in un continente in maggioranza povero e cristiano?” e facendo ricorso alla Teoria della dipendenza (secondo cui il sottosviluppo del continente era frutto della sua collocazione nella divisione internazionale del lavoro imposta dal sistema capitalista), egli concepisce come riflessione critica sull’esperienza di fede vissuta dai cristiani nelle lotte di liberazione, che nel 1971 sistematizzerà nell’omonimo libro.

Negli anni ‘70 la Teologia della Liberazione (TdL) si consolida, misurandosi col diffondersi delle dittature militari e al contempo avviando un ripensamento dei principali temi della teologia alla luce dell’opzione per i poveri come soggetto storico. Un decennio segnato dalla persecuzione di consistenti settori della Chiesa cattolica a opera di regimi che dicono di difendere la “civiltà occidentale cristiana” si conclude nel 1979 con la III Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano, che a Puebla conferma, pur tra forti tensioni, le scelte di Medellín, con la vittoria in Nicaragua della rivoluzione sandinista, la prima d’ispirazione socialista che vede una massiccia partecipazione dei credenti, e nel 1980 con l’omicidio di mons. Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, ucciso mentre celebra l’eucaristia da un killer dell’oligarchia locale.

A questo punto la TdL si afferma ormai come la prima riflessione cristiana autenticamente “latinoamericana” dall’epoca della “scoperta-conquista” e dona alla Chiesa universale l’opzione per i poveri. Ma sempre più forte è nei suoi confronti l’ostilità degli ambienti conservatori cattolici in America Latina e nella Curia romana, che la accusano di abbandonare la dimensione trascendente della fede a vantaggio di una liberazione solo sociopolitica, dell’identificazione del Regno di Dio con l’utopia socialista, di sostituire il marxismo al Vangelo, di predicare la lotta di classe e promuovere la violenza, di costruire una “Chiesa popolare” alternativa a quella istituzionale. Anche se non si arriverà mai alla sua formale condanna (anzi, nel 1986 Giovanni Paolo II scriverà ai vescovi brasiliani che la «TdL non è solo opportuna, ma utile e necessaria »), l’Istruzione su alcuni aspetti della teologia della liberazione e l’Istruzione sulla libertà cristiana e la liberazione, pubblicate dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nel 1984 e nel 1986, suoneranno come una sconfessione, soprattutto perché accompagnate dalla sostituzione dei vescovi progressisti con prelati conservatori e dalla chiusura dei seminari che proponevano una formazione inculturata e comprometida, dal blocco alle pubblicazioni della collana “Teologia e liberazione” e dal veto al progetto “Palabra-Vida” della Confederazione caraibica e latinoamericana delle religiose e dei religiosi (Clar), dagli interventi censori nei confronti dei principali esponenti e dall’emarginazione di centinaia di sacerdoti, religiosi e laici a essa legati. E alla fine del 1989 l’esercito massacra all’Università centroamericana di San Salvador sei gesuiti legati alla Tdl, con in testa p. Ignacio Ellacuría, e due donne di servizio.

Il “terremoto dell’89”, con la crisi della possibilità stessa di ipotizzare un’alternativa al sistema capitalista, cui segue nel 1990 la sconfitta elettorale dei sandinisti in Nicaragua, e l’egemonia del neoliberismo, fa cantare ai suoi nemici il de profundis alla TdL, mentre di fronte al venir meno dell’impegno di singoli, gruppi e comunità, molti, nella stessa Chiesa latinoamericana, arrivano a ritenerla esperienza residuale, a vantaggio dei nuovi movimenti ecclesiali e di un ritorno a forme religiose più tradizionali. Così, nel 1992, a Santo Domingo, la IV Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano, pur senza rinnegarle esplicitamente, lascia sulla sfondo le grandi opzioni del magistero continentale postconciliare. E in effetti la TdL entra in una fase di ripensamento autocritico, ma anche di approfondimento che, se da una parte la fa sparire dalle prime pagine dei giornali, dall’altra la porta ad arricchire la propria riflessione di nuovi soggetti (i popoli indigeni, gli afroamericani, le donne, ecc.), di nuovi strumenti analitici (non più solo la sociologia, ma anche la psicologia, le scienze naturali, l’antropologia, ecc.) e di nuovi temi (il corpo, il pluralismo religioso, ecc.). Si assiste dunque a una sua ramificazione: la teologia india, la teologia nera, la teologia femminista, la teologia ecologica ed ecofemminista, la teologia hispanolatina, che parte dalla condizione e dalle lotte dei migranti, la teologia queer, che rivendica per le minoranze sessuali un posto nelle Chiese, la Teologia della Liberazione a partire dalla disabilità, ecc. si confermano, infatti, “atto secondo” rispetto a una fede vissuta nella prassi liberatrice, ma l’impegno di carità e sociopolitico non è più solo per i poveri e contro la povertà, ma per tutti gli oppressi, gli emarginati e i discriminati contro ogni forma di oppressione, emarginazione e discriminazione.

Col nuovo millennio inizia quindi un lento processo di rilegittimazione di questo movimento ecclesiale, coi nuovi governi progressisti del continente che rivendicano radici nella TdL, con un rinnovato sforzo di presenza pubblica prima tramite il Forum Mondiale di Teologia e Liberazione, che dal 2005 accompagna le edizioni del Forum Sociale Mondiale, poi coi due Congressi continentali di Teologia, culminati nel 2012 e nel 2015, cui ne seguirà quest’anno un terzo, con l’allentamento dell’ostracismo istituzionale alla V Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano, tenutasi ad Aparecida nel 2007, e soprattutto col pontificato di papa Francesco. Egli non solo viene da un ambiente influenzato dalla Teologia del popolo (ramo argentino della TdL, rispetto alla quale si caratterizza per l’enfasi posta sull’analisi storico-culturale più che su quella socio-strutturale), ma soprattutto mette al centro del suo pontificato i poveri come soggetto, promuovendo, tra l’altro, tre incontri mondiali dei movimenti popolari, e la salvaguardia della “Casa comune” con l’enciclica Laudato si’.

A 50 anni da Medellin si può quindi concludere che in America Latina si è sviluppata una vitale e consistente, seppur minoritaria, “Chiesa della liberazione”, che si è espressa in una riflessione teologica (TdL), in una spiritualità legata all’impegno nella storia (evidente, per esempio, nelle pastorali sociali), in un nuovo modo di essere Chiesa (Comunità ecclesiali di Base), in un approccio alle Scritture (lettura popolare della Bibbia), in un rinnovamento del rito e del canto liturgico (messe latinoamericane), in un’inedita arte sacra, in un originale rapporto tra fede e politica, in un’esperienza di martirio, nella creazione di nuovi organismi pastorali, nella promozione di nuovi movimenti popolari ecc., segnando la maturità cristiana di un continente e di una Chiesa in transizione, dopo 500 anni, da Chiesa “calco” a Chiesa autoctona.

Questo processo ha varcato i confini latinoamericani, per ispirare in altri continenti esperienze ecclesiali (piccole comunità cristiane in Asia e Africa) e teologie (contestuale in Sudafrica, della lotta nelle Filippine, dalit nel subcontinente indiano, minjung in Corea, della liberazione in Palestina, black theology negli Stati Uniti, ecc.), dando vita all’Associazione ecumenica dei teologi e delle teologhe del Terzo Mondo e diventando punto di riferimento per la fede e l’impegno sociale di milioni di cristiani in tutto il mondo. La TdL, infatti, fin dal suo inizio ha coinvolto anche protestanti. E correnti “liberatrici” sono sorte anche nell’islam, nell’ebraismo, nell’induismo, nel buddismo e nel confucianesimo. 

 

Mauro Castagnaro   

da Adista Documenti n° 19 del 26/05/2018

 

.