Koinonia Giugno 2018


Da Ugo Francesco Basso

 

Caro p. Alberto,

         intanto un saluto vivace e riconoscente. Leggendo su Koinonia di aprile considerazioni sul Sessantotto – certo non è finito come si poteva sperare e purtroppo ha aperto la strada al berlusconismo – e il ricordo dell’Isolotto, ho pensato che potrebbe farti piacere leggere la difesa dei parrocchiani pronunciata da mio zio Lelio Basso, avvocato penalista e senatore, che in questa versione costituisce un paragrafo di un  libro che qualche anno fa la Cittadella mi ha chiesto su di lui. A me sembra curioso e interessante.

         Buon lavoro e grazie sempre, Ugo

 

LA CHIESA SECONDO IL CONCILIO VATICANO SECONDO

 

Nel 1968 la parrocchia fiorentina dell’Isolotto, guidata dal parroco don Enzo Mazzi si apre a innovazioni conciliari non condivise dall’arcivescovo cardinale Ermenegildo Florit che sospende il parroco dal suo incarico. Una parte di parrocchiani non accetta il successore, monsignor Alba, e gli impedisce di celebrare la messa: ne segue una denuncia per interruzione di atti di culto. Lelio

Basso accetta di far parte del collegio di difesa al processo che assolverà gli imputati: l’arringa, di cui seguono ampi stralci, è una lezione di teologia conciliare.

 

Anche se io appartengo ad un’altra corrente di pensiero, ho sempre avuto un profondo rispetto per l’autentica fede religiosa e ho sempre cercato di studiarla meglio che ho potuto […] perché ho sempre considerato che non ci si può interessare dei problemi umani, con lo spirito con cui cerco di interessarmene anche nell’ambito della mia attività politica, se non si tiene in considerazione la dimensione religiosa dell’uomo. E questo spiega perché qui io mi occuperò soltanto dell’aspetto religioso, dell’aspetto ecclesiologico di questo processo, pur sapendo naturalmente assai bene che esso sfugge alla vostra competenza di indagine di giudici dello Stato italiano. Ed è proprio per concludere all’impossibilità dì pronunciare una condanna, che presupporrebbe la vostra competenza a giudicare che cosa sia oggi una funzione religiosa, che io mi soffermerò su questo argomento.

Dobbiamo infatti giudicare se gli attuali imputati abbiano istigato a commettere il delitto di turbatio sacrorum, di turbativa di una funzione religiosa (nella specie, una messa) e non possiamo farlo se non sappiamo che cos’è una funzione religiosa, che cos’è specificamente una messa.

L’art. 405 [del codice penale] si colloca sotto il titolo dei delitti contro il sentimento religioso e quindi dobbiamo sapere anche che cos’è il sentimento religioso. A questa seconda domanda potremmo dare risposta anche senza far ricorso a testi ecclesiastici, ma dobbiamo per forza far ricorso a testi ecclesiastici, se vogliamo sapere che cosa è oggi una funzione religiosa, che cosa è oggi una messa. Prima di affermare che c’è stata turbativa della messa dobbiamo chiederci che cos’è una messa. E dobbiamo chiedercelo non con la mentalità di un secolo fa o anche soltanto di dieci anni fa, non con la mentalità con cui questa istruttoria è stata condotta, ma dobbiamo chiedercelo con la mentalità di oggi, dopo il Concilio Vaticano II. […]

Nella costituzione Lumen Gentium sulla Chiesa, dopo un primo capitolo generale, ce ne è un secondo che è fondamentale per quello che ci riguarda, e il secondo capitolo si intitola “Il popolo di Dio”; soltanto il terzo capitolo s’intitola “La gerarchia”. Abbiamo cioè già nella stessa disposizione, delle parti la preminenza del popolo di Dio sulla gerarchia, la quale è, dalla costituzione stessa, definita come servitrice del popolo di Dio. Quindi, abbiamo qui un rovesciamento, come i commentatori hanno osservato, di quella che era l’immagine precedente della Chiesa, con la gerarchia al vertice e i fedeli considerati gregge, e perciò in posizione di passiva obbedienza. E non possiamo più oggi pensare alla messa come quella che io ascoltavo bambino e neppure come quella che si ascoltava fino a pochi anni fa. La messa ha cambiato completamente natura, perché la liturgia ha cambiato natura, perché la Chiesa ha cambiato natura attraverso le decisioni conciliari.

Certo non è facile cambiar natura e siamo tuttora in presenza di un difficile travaglio di cui l’episodio dell’Isolotto è una delle tante testimonianze, e questo travagliato difficile e doloroso processo dovrà durare ancora lungo tempo prima che tutte le conquiste del Concilio siano recepite non solo nella coscienza dei fedeli, che è più pronta ad accoglierle perché in una certa misura le aveva anticipate, anche nella prassi della Chiesa. Certo però non possiamo dire che coloro che primi hanno recepito l’insegnamento della Chiesa, della suprema assise della Chiesa che è il Concilio, siano poi considerati in colpa perché c’è a Firenze un vescovo chiuso nella sua solitudine, o un mons. Alba che, ignorando quello che il concilio ha insegnato, ignorando le sacre costituzioni, ignorando le disposizioni della Chiesa, pretende di interrompere una funzione religiosa, un’assemblea di preghiera dei fedeli, per recitare davanti ad un altare muto, e in presenza di fedeli che lo rifiutano, il suo soliloquio che egli pretende di definire una messa. […]

Leggiamo in particolare alcuni brani di questa costituzione Lumen Gentium, perché è sulla base di quello che questa costituzione dice, che noi possiamo valutare il significato dei mutamenti della liturgia. In primo luogo quando noi vediamo che con la costituzione Lumen Gentium acquista preminenza il popolo di Dio, ci rendiamo meglio conto di quale fosse anche il significato della costituzione Sacrosanctum Concilium della liturgia, dove diceva che affinché la liturgia abbia la sua piena esplicazione il popolo deve partecipare «scienter actuose et fructuose». «Infatti - dice in questo secondo capitolo la Lumen Gentium dedicata al popolo di Dio - i credenti in Cristo (tutti i credenti in Cristo, non i sacerdoti) essendo stati rigenerati non di seme corruttibile, ma di uno incorruttibile, per la parola di Dio vivo, non dalla carne, ma dall’acqua e dallo Spirito santo, costituiscono una stirpe eletta, (sono le parole di Pietro che vengono riprese) un sacerdozio regale, una gente santa un popolo

tratto in salvo» cioè il fedele è sacerdote secondo l’indicazione della Lumen Gentium, il fedele è celebrante, il fedele è un soggetto attivo del culto e non più soltanto un soggetto passivo «un sacerdozio regale, una gente santa e un popolo tratto in salvo (…): quello che un tempo non era neppure popolo, ora invece è popolo di Dio». […]

E «il popolo santo di Dio - continua la costituzione - partecipa pure dell’ufficio profetico di Cristo col diffondere dovunque la viva testimonianza di Lui, soprattutto per mezzo di una vita di fede e di carità e coll’offrire a Dio un sacrificio di lode, cioè frutto di labbra acclamanti al nome di Lui. L’universalità dei fedeli, che tengono l’unzione dello spirito santo non può sbagliarsi nel credere. Sono affermazioni di. una grande importanza probabilmente sfuggite a chi non se ne è occupato in modo particolare: qui si afferma infatti l’infallibilità del popolo di Dio. Mentre il Concilio vaticano I aveva affermato soltanto l’infallibilità del papa, il Vaticano II ha affermato l’infallibilità del popolo di Dio «in credendo», l’infallibilità dei credenti, non naturalmente, «in docendo», ma comunque infallibilità «in credendo». Checché ne possano pensare mons. Alba e il card. Florit, il popolo di Dio, unitariamente inteso, ha una posizione nella Chiesa, che non ripete il vecchio rapporto fra gregge e pastori. […]

Signori, qui non siamo di fronte a delinquenti che istigano altri al delitto: siamo di fronte ad una comunità che collegialmente e responsabilmente prende posizione sul tema su cui vi ho intrattenuto fin qui: il rapporto fra la gerarchia e il popolo, fra il vescovo e i fedeli, e il significato della messa. Una messa senza partecipazione attiva, una messa destinata ad accentuare la divisione fra il vescovo e il popolo, può considerarsi una messa, intesa questa parola non nel senso meramente esteriore di

un rito, ma nel senso interiore di una comunità riunita a celebrare insieme un mistero religioso? o non è piuttosto un sacrilegio? […]

È certo, perché lo ha ammesso lo stesso mons. Alba nella testimonianza resa in istruttoria davanti al P.M., che molte mani - non sappiamo se tutte - si levarono per rifiutare la sua messa, e nessuna si levò invece per dire di volerla. Non certo una missa pro populo voleva celebrare mons. Alba, ma una missa contra populum: questo era il sacrilegio paventato, che i fedeli dell’Isolotto volevano evitare. E intanto monsignore interrompeva con il suo intervento esterno un atto liturgico in corso, una riunione di preghiera in cui il popolo dell’Isolotto dava libero corso, nel solo modo che gli era ormai consentito dopo l’allontanamento del suo parroco, al suo vivo umano intenso sentimento religioso. Se dunque qualcuno in quella fredda mattinata d’inverno offendeva il sentimento religioso e turbava una funzione religiosa, se qualcuno violava, nello spirito se non nella lettera, l’art. 405 C.P., questo qualcuno era proprio monsignor Alba.

Perciò non vorrei annoiarvi con altre citazioni teologiche: vi ricorderò solo quei trecento teologi riuniti a congresso a Padova nel 1970 che hanno affermato la superiorità della coscienza del credente persino sul papa, tanto che, hanno detto, il papa commetterebbe un errore se pretendesse d’imporre la sua autorità alla coscienza dei fedeli. Giudiziariamente, la soluzione che s’impone, è l’assoluzione con la formula più ampia; manca la funzione religiosa e manca l’offesa al sentimento religioso. L’episodio di cui ci occupiamo s’inquadra nel vasto dibattito che è aperto in tutto il mondo cattolico, a cui ha dato l’avvio, un pontefice romano, il papa Giovanni XXIII, affermando, con la convocazione del Concilio, la necessità di un aggiornamento, e tracciando, con il suo discorso d’apertura, delle strade nuove alla Chiesa che rovesciavano l’atteggiamento conservatore e statico dei suoi predecessori. Quel discorso, che io non dimenticherò mai di avere personalmente ascoltato, essendo presente quel giorno in San Pietro, perché ne presentivo lo straordinario significato e l’immensa forza di rottura, ha sollevato nell’animo dei fedeli un vasto moto di speranza, ha riacceso in molti cuori una fede che sembrava isterilirsi nelle formule, ha dato vita in tutto il mondo alla nascita di nuove comunità cristiane, ha ridato un significato a tante parole che davano ormai soltanto un suono spento.

Voi potete con tranquilla coscienza dire nella vostra sentenza che nella Chiesa dell’Isolotto non si è consumato un delitto, ma si è celebrato un atto di questo grandioso dramma della Chiesa che oggi viviamo tutti, anche coloro che, come me, non sono credenti, perché la Chiesa è nel mondo e partecipe delle vicende di un mondo in trasformazione, che nessuna misura autoritaria potrà arrestare. È il dramma del conflitto fra le strutture ecclesiali e il rinnovamento evangelico, fra un conservatorismo stanco e una giovinezza che preme verso nuove manifestazioni religiose.

Lasciate, che prima di deporre questa toga, io esprima il mio rispetto anche verso coloro che difendono con sincera disinteressata convinzione le vecchie strutture entro cui sono stati educati e in cui hanno creduto, lasciate che esprima il mio rispetto anche per il cardinale Florit, che oggi forse si sentirà ancora più solo entro le mura del suo palazzo, ancora più lontano e separato dal suo popolo. Ma lasciate soprattutto che dica a voi, amici imputati, il senso di ammirazione e di rispetto che pervade nei vostri confronti un uomo come me, abituato ad altre battaglie, ma che ha conosciuto, nell’arco che volge al termine della sua vita, la gioia di combattere per una fede e il dolore di vederla conculcata ed oppressa. La sentenza che fra brevi momenti vi renderà giustizia - la giustizia degli uomini – vi dirà che in questa civile colta e antica città le battaglie per la fede religiosa possono ancora essere combattute con le armi civili con cui voi avete testimoniato e lottato, e che questa vostra testimonianza e lotta potranno ancora continuare sotto la protezione delle nostre leggi.

 

Lelio Basso

(Arringa pronunciata al Tribunale di Firenze, 8 luglio 1971).

 

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