Koinonia Maggio 2018


DIFENDIAMO LA GRANDE GUERRA

 

Oggi, chi ancora rivolge un pensiero alla Grande Guerra, si affretta a chiudere il discorso dicendo che fu un’ “inutile strage”, forse senza neppure sapere che quest’appellativo fu coniato dal papa Benedetto XV, non tanto perché professasse ideali pacifisti, ma perché non vedeva di buon occhio lo sconvolgimento dinastico che quella guerra avrebbe potuto provocare in Europa. La stessa monarchia sabauda promotrice dell’intervento italiano, da troppo poco tempo aveva preso lo Stato Pontificio con le armi, perché il papa potesse benedire quelle stesse armi. Le simpatie del Pontefice per gli Imperi centrali erano così note da meritargli il nomignolo di “Papa crucco”.

Che si sia trattato di una strage, però, questo è fuor di dubbio (si calcolano 16 milioni di caduti, senza calcolare i feriti). Che ne abbiano sopportato il peso soprattutto le classi più povere, anche questo è accertato, anche se non furono pochi i volontari provenienti dalle classi altoborghesi che vollero dimostrare con i fatti la sincerità del loro interventismo.

I fautori della tesi che la Grande Guerra sia stata  soltanto un’inutile strage muovono altre accuse contro di essa: una riguarda la stessa legittimità dell’intervento italiano. Com’è noto l’Italia faceva parte della Triplice Alleanza (Impero Austroungarico, Impero Germanico, Regno d’Italia) dal 1882. Gli accordi, più volte disattesi, prevedevano che nessuno dei tre paesi contraenti potesse dichiarare una guerra unilaterale, senza previo accordo con gli altri due. Questi patti non impedirono però all’Imperatore Guglielmo II, senza che Vittorio Emanuele II ne fosse informato, di consegnare a Francesco Giuseppe il famoso “assegno in bianco”, cioè l’impegno a sostenere l’Impero Asburgico in qualunque impresa avesse voluto compiere ai danni della Serbia (dove un giovane nazionalista aveva ucciso l’erede al trono austroungarico). Forte di quell’impegno, l’Austria, senza informarne l’Italia, invase la Serbia compiendo in quello Stato orrendi misfatti.

Per quanto riguarda la politica interna, molti (soprattutto i socialisti) accusarono Vittorio Emanuele II di aver compiuto un atto illegittimo nel dichiarare guerra all’Austria senza il consenso del Parlamento. Il re si difese dichiarando che il suo atto era autorizzato dallo Statuto. 

Ma la denuncia più infamante contro la Prima Guerra (e forse contro tutte le guerre) era il fatto che, a volerla, fossero stati coloro che contavano di arricchirsi grazie ad essa. Una gran parte dell’opinione pubblica sosteneva infatti che l’intervento era stato deciso non tanto per motivi ideologici, quanto per gli interessi dei famosi “pescecani” (come si chiamavano allora le industrie e le banche che, su quella guerra lucrarono). A dar retta a queste accuse, dunque, la strage, oltre che inutile, sarebbe stata spietatamente cinica e perversa.

Pur riconoscendo una parte di verità in queste accuse, credo però doveroso, oggi, guardare alla Prima Guerra dall’alto dei cento anni che ci separano da essa. È giunto il momento di fare una valutazione storica e chiedersi: aldilà della legge, che forse fu realmente aggirata, lo spirito che divideva interventisti e neutralisti quale era? Seconda domanda: il sacrificio di tanti giovani, partiti per il fronte spesso loro malgrado, è stato veramente inutile? Che cosa ne sarebbe stato dell’Europa e dell’Italia se quella guerra non fosse stata combattuta? 

L’interventismo fu un movimento di pensiero trasversale, che prescindeva dagli schieramenti politici, dalle classi sociali, dalle regioni di provenienza. Un movimento che aveva anime diverse unite però da un’unica aspirazione: quella di emanciparsi dall’oppressione degli Imperi e dalla ideologia che li animava, quella dello Stato Assoluto. Secondo questa ideologia lo Stato deve bastare a se stesso grazie agli armamenti di cui dispone, deve essere in grado di non temere di confrontarsi con nessun’altro Stato che mostrasse l’intenzione di prevalere su di lui. (E. Durkheim, La Germania al di sopra di tutto).  Identica ideologia regolava i rapporti dei cittadini all’interno dello Stato Assoluto, rapporti che dovevano basarsi sul potere contrattuale (denaro, forza lavoro). L’autoritarismo che Germania e Austria esercitavano con i Paesi veniva esercitato anche sulle classi deboli. Aldilà degli accordi internazionali, quel che l’opinione pubblica italiana cominciava a guardare con sospetto era l’evoluzione politica dei paesi aderenti alla Triplice, sempre più accentratori, autoritari, militaristi. All’interno di questa Alleanza, l’Italia, per esplicita ammissione degli stessi contraenti, contava ben poco, o, almeno, contava soltanto in forza della sua posizione geografica. La teoria dello Stato assoluto, che era propria di tutti i popoli di lingua tedesca, non ammetteva altri valori che non fossero quelli, appunto, della totale autonomia dello Stato che doveva essere armato tanto da risultare imbattibile.

Le nazioni che facevano parte del blocco opposto alla Triplice, (Francia, Russia e Inghilterra), si ispiravano (almeno a parole) a valori ben diversi, erano aperte a visioni del mondo più sfaccettate e tolleranti. Nell’Ottocento la Francia aveva visto nella Germania di Bismarck il suo maggior nemico, così come l’Italia l’aveva ravvisato nell’Austria. Senza volere semplificare troppo temi tanto vasti e complessi, non possiamo non riconoscere che gli interventisti (cioè coloro che volevano che l’Italia combattesse contro gli Imperi centrali) avvertivano nei confronti dei paesi dell’Intesa una maggiore affinità di idee e di sentimenti. Essi volevano fortemente che l’Italia facesse parte dell’Intesa piuttosto che dell’Alleanza.

Passiamo ora alla seconda domanda: se l’Italia, dopo l’invasione della Serbia, avesse “voltato la testa dall’altra parte”, che conseguenze ne sarebbero venute? Innanzi tutto i nostri confini al nord non erano in alcun modo protetti: non sarebbe stato difficile, per l’Impero austroungarico, comportarsi con gli Italiani così come aveva fatto con i Serbi.  Considerando come l’esercito tedesco aveva agito nel Belgio neutrale (invaso in pochi giorni di spietati combattimenti), si poteva temere che gli Imperi decidessero di estendersi verso sud a spese dell’Italia consolidando così l’agognato affaccio sull’Adriatico.  La teoria dello Stato Assoluto non tollerava esitazioni.

Se confrontiamo la carta dell’Europa di prima della guerra con quella scaturita dagli accordi di pace, dobbiamo solo ringraziare tutti quei poveri giovani che, volenti o nolenti, hanno lasciato la vita sui nostri fronti. L’Europa uscì dal conflitto letteralmente trasformata: l’Impero austroungarico ne uscì frantumato, quello tedesco perse l’Alsazia e la Lorena, l’Italia conquistò il Trentino e l’Alto Adige.

Non soltanto i confini mutarono con la Grande Guerra, cambiarono i valori, i rapporti umani, la concezione della vita e della morte. Sul fronte, i militari provenienti da regioni lontane fraternizzarono, si scoprirono fratelli, si sentirono tutti italiani.  Una volta tornati a casa e superato il trauma del ritorno (in ogni famiglia, se non c’era stato un morto c’era stato un ferito), non si riconobbero più nei vecchi schieramenti politici, ne crearono di nuovi: nel gennaio del 1919 don Sturzo fondò il Partito Popolare italiano, nel marzo di quello stesso anno, a San Sepolcro, Mussolini gettò le basi del Partito Fascista che nacque nel novembre del ’21, nel gennaio dello stesso 1921 fu fondato il Partito Comunista. Dopo il primo, gravissimo, disorientamento postbellico gli italiani furono animati da una vera e propria passione politica, una partecipazione alla “cosa pubblica” che fino a quel momento non era stata mai avvertita.

Per quanto riguarda i “pescecani”, cioè gli industriali che avrebbero forzato l’ingresso dell’Italia in guerra per poi lucrare su armamenti, strutture militari, approvvigionamenti, indumenti, vettovaglie e quant’altro, una Commissione Parlamentare fu istituita per verificare come erano andate realmente le cose. La Commissione analizzò ogni contratto, ogni provvigione, ogni spesa. Fu un lavoro enorme che impegnò non solo deputati, ma anche tecnici di vario tipo. I risultati furono controversi: ci furono sì, guadagni illeciti, ma che sarebbe stato possibile recuperare se il duce non avesse chiuso d’autorità la Commissione stessa. Ci furono però anche tanti onesti cittadini che combatterono la loro guerra, non sul fronte, ma nelle retrovie, nelle fabbriche, nelle Industrie, nei Ministeri. La relazione finale della Commissione disse che non si poteva fare di tutt’erba un fascio, che, insomma, la zizzania e il grano crescono sempre insieme.

 

Anna Marina Storoni Piazza

 

 

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