Koinonia Maggio 2018


Alberto Melloni fa il punto della situazione

in “la Repubblica” del 25 aprile 2018

 

L’inedito silenzio dei vescovi

 

La Chiesa italiana accompagna lo stallo politico di queste settimane con un mutismo storicamente inedito. Sono passati gli anni dell’onnipotenza, quando i cardinali erano disposti a disobbedire al Papa pur di fermare il centrosinistra e Moro. Lontani quelli della Cei del post-Concilio, guidata da monsignor Bartoletti e dal “principe riformatore” Paolo VI. Passati gli anni ruiniani, in cui la Chiesa si credeva “rilevante” perché s’accontentava di declamazioni valoriali e non vedeva la corrosione del tessuto civile. Adesso silenzio. Un silenzio che sembra archiviare la “fase Galantino” della Cei, nella quale il segretario aveva mandato di scardinare un assetto con sortite impolitiche, e dunque molto politiche. La “fase Bassetti”, il presidente Cei voluto da Francesco, iniziata con una prolusione di inedito spessore spirituale a gennaio, ha davanti un Paese scoperto, lacerato e infiammabile.

Nel Nord le parrocchie avevano imbrigliato per lungo tempo la Lega: ma a marzo sono state travolte da un’onda che veniva da dentro i loro confini e davanti alla quale Salvini ha agitato Vangelo e rosario come fossero «amuleti identitari» (li ha definiti così Bassetti, ma solo a metà aprile). Al Sud il tessuto ecclesiale aveva subìto e al tempo stesso reagito al clientelismo. Ma la fiammella del civismo cattolico, moderato o progressista che fosse, è stata spenta dall’interclassismo del rancore a Cinque Stelle. L’hanno pagata cara i candidati cattolici di centrosinistra, che imprecano contro un renzismo cinico e baro. L’hanno pagata cara i ciellini di centrodestra, rientrati nell’ovile berlusconiano per farsi superare dalla Lega.

Partecipi del vuoto culturale, spietati nello screditare le proprie figure di riserva, i vescovi non possono più “mimare il Quirinale”, come con Napolitano: o almeno finché Mattarella non lo permetterà. Non possono nemmeno “mimare Francesco”, perché il primate d’Italia “non s’immischia”. Ha capito che la Chiesa italiana non è in grado di appropriarsi del denso discorso che le rivolse dal convegno di Firenze nel 2015. Dunque visita le tombe dei profeti misconosciuti dalla Chiesa di ieri (Puglisi, Mazzolari, Milani, Bello, Saltini) in un pellegrinaggio solitario.

Attorno un silenzio che dovrà finire e dovrà ridare a quel cattolicesimo che sente la democrazia come cosa propria e può aiutare i vescovi a capire che il vuoto politico, di cui il loro mutismo è parte, costituisce un pericolo. Quando questo dialogo fruttuoso ricomincerà non basteranno generici richiami al “bene comune”: perché la democrazia è cercarne democraticamente i pezzi, non enunciarne moralisticamente l’esistenza.

Non basterà bearsi, se mai a ragione, di essere “diversi” rispetto ai vescovi di prima. Non basterà spruzzare sul trasformismo un po’ d’acqua santa.

Servirà una capacità di fidarsi, di ascoltare senza permalosità. Di diventare ciò che la Chiesa è, nella perfetta coincidenza fra coscienza ecclesiologica e dato storico-politico. Perché la Chiesa italiana è l’unica comunità distesa su tutto il territorio nazionale, l’unica realtà che parla ogni domenica a sette milioni di persone, l’unica voce che può educare alla diversità un Paese diviso da rancori implacabili. E perciò esposto a quelle violente eruzioni di instabilità (criminale, terroristica, finanziaria, giudiziaria) che sempre sono entrate in scena quando si trattava di dare la indispensabile stabilità a una portaerei così ben parcheggiata fra Est e Ovest, fra Nord e Sud, come è l’Italia.

 

Alberto Melloni

 

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