Koinonia Maggio 2018


Nuovo libro a cura di Beatrice Iacopini

 

ETTY HILLESUM - IL GELSOMINO E LA POZZANGHERA

(Le Lettere  2018)

 

La voce dell’ebrea olandese Etty Hillesum  è una delle più originali e potenti tra quelle che si sono levate dall’inferno della Shoà. Proprio negli anni dell’occupazione nazista in Olanda, Etty scoprì Dio nella dimensione più profonda di sé, fuori  da ogni alveo confessionale, grazie alla guida di un estroso e carismatico psicoterapeuta; nel repentino cammino intrapreso seppe guadagnare una profonda pace interiore e una capacità di amare così vasta da permetterle di affrontare la tempesta delle persecuzioni con raro coraggio.

Il gelsomino e la pozzanghera, con  una scelta di brani dal Diario e dalle Lettere, guida il lettore attraverso le varie tappe della crescita spirituale di Etty, dalla caotica infelicità iniziale fino alla scelta di farsi mandare nel campo nazista di Westerbork per condividere la sorte del suo popolo e provare ad inaugurare un nuovo umanesimo

 

 

Dalla introduzione

La ragazza chirghisa e undici quaderni con la copertina colorata

 

Amsterdam, febbraio 1941: al primo piano di una moderna palazzina in mattoni rossi, nella zona sud della città, in due piccole stanze in affitto vive e lavora da qualche mese Julius Spier, cinquantaquattrenne tedesco di origine ebraica, riparato nei Paesi Bassi a causa delle leggi razziali naziste. Ha una giovane fidanzata a Londra, in Germania invece ha lasciato una ex-moglie, due figli e una brillante carriera in un’azienda di Francoforte, cui ha messo fine per dedicarsi alla sua vera passione, la psicoterapia, nella quale pensa di avere qualcosa di originale da dire. Nel suo studio, infatti, esercita una bizzarra professione: è psicochirologo, ovvero cura i disturbi psicologici e psicosomatici analizzando la personalità del paziente attraverso la lettura della mano. Qualcuno lo ritiene un ciarlatano, ma è stimato addirittura dal grande Jung, che lo ha avuto come allievo e lo ha incoraggiato personalmente. Tre volte a settimana, Spier tiene delle lezioni aperte al pubblico e molti approfittano dell’occasione per farsi leggere le mani, anche solo per curiosità.

La sera del 3 febbraio sale al suo studio tra gli altri una brillante e colta ragazza di ventisei anni, anche lei ebrea, Ester Hillesum, che, pur con titubanza, ha seguito il consiglio di un amico a cui aveva confidato di non riuscire a venire a capo della propria esistenza. Ester, per tutti Etty, ancora non sa che questo guru della psicologia, dotato di un forte carisma, amato dalle donne, ambiguo e discutibile nel suo metodo terapeutico - usa tra l’altro una lotta al tappeto tra lui e le pazienti, facilmente trasformata in gioco erotico - sarebbe divenuto in brevissimo tempo il «maieuta» della sua anima, addirittura l’«intermediario tra lei e Dio», oltre che intimo amico e amante. Più avanti, sarà lei stessa a considerare quel 3 febbraio come il suo secondo compleanno, giorno di rinascita a nuova vita.

Cosa ci fosse che non andava in lei prima dell’incontro con Spier, Etty lo racconta nelle prime pagine del diario che il terapeuta stesso le consigliò di tenere: una disorganizzazione che dilapidava le sue migliori energie, una smania quasi ossessiva di godere la vita al punto da voler divorare, nell’impossibile tentativo di farla propria, qualsiasi cosa bella, uomo o fiore che fosse, e la sensazione costante di non trovare il bandolo della matassa. La sua “bulimia” si manifestava anche in senso letterale con frequenti abbuffate - i cui strascichi poi tentava di combattere ingoiando manciate di aspirine - e sommata al forte temperamento erotico, e a costumi sessuali decisamente spregiudicati per l’epoca, dava origine a turbolente relazioni sentimentali, spesso devastanti, vissute con voracità, affastellate una sull’altra come il cibo nello stomaco. C’erano poi dolori reumatici, forti mal di testa e di pancia e tossi insistenti, nei quali agiva senza che lei ne fosse cosciente una notevole componente psicosomatica.

Per arginare lo spirito selvaggio che la dominava, Etty confidava nella propria lucida razionalità nutrita di ampi studi e letture, d’altro canto anch’essi disordinati e frenetici: era alla ricerca di un pensiero forte, di una formula risolutiva in grado di mettere ordine, una volta per tutte, al caos. Un caos in cui era cresciuta, segnata dalla mancanza del necessario contenimento emotivo, con una madre confusionaria e isterica, un padre serrato nella torre d’avorio della sua erudizione e due fratelli instabili psichicamente.

Aveva lasciato la famiglia e Deventer, dove gli Hillesum vivevano, da quando il padre era stato nominato preside del liceo locale, per studiare legge ad Amsterdam: dopo la laurea, si era iscritta alla facoltà di lingue slave per approfondire il russo, da cui traduceva per una piccola casa editrice, ma né la brillante intelligenza né la cultura bastavano a liberarla da «un immenso sentimento di solitudine e d’insicurezza», dall’attrazione per l’idea del suicidio e dal terrore di diventare pazza come i suoi due fratelli, entrambi geniali ma afflitti da crisi psicotiche. Aveva assistito ad alcune di queste crisi e toccato con mano la sofferenza dei due poveri ragazzi e proprio la paura di trasmettere a un altro essere un tarlo ereditario fu il motivo per cui non ebbe dubbi ad abortire quando nel novembre del 1941 scoprì di essere incinta. Il padre del «bambino non nato» era il suo «pa’ Han», il vedovo nella cui grande casa-pensione Etty viveva e lavorava come governante; con Han Wegerif, parecchio più anziano, aveva una relazione sentimentale semplice, tranquilla e rassicurante, che non le impediva di vedersi talvolta anche con coetanei.

A un mese e poco più dalla lezione di psicoterapia in seguito alla quale aveva deciso di farsi seguire da Spier, Etty è già in grado di confidargli che sta meglio: la breve lettera in cui lo ringrazia per «tutto il bene che le ha già fatto» è trascritta sulla pagina iniziale di un quaderno con la copertina bianca che diventerà il primo di undici. D’altronde vorrebbe fare la scrittrice e così, dopo l’iniziale imbarazzo, tenere un diario diviene preziosa occasione di conoscenza e scavo di sé, ma anche esercizio di scrittura e di ricerca di uno stile proprio.

Per qualche settimana, la penna di Etty si concentra fin troppo su quel «brutto vecchio signore», quel «totale estraneo» che è entrato improvvisamente nella sua vita e che ben presto inizia a suscitare in lei «sentimenti erotici», costringendo il lettore a subire puntigliose descrizioni dei loro incontri e del balletto di sentimenti che questi scatenano in lei. Quasi fosse ancora un’adolescente intrappolata nei suoi grovigli interiori, la «ragazza chirghisa», come la chiamava Spier per le sue origini per metà russe, sembra notare appena che là fuori l’Europa è un campo di sangue, i Paesi Bassi sono occupati dai tedeschi e già imperversano le prime misure antisemitiche.

Tuttavia, nel diario emergono fin dall’inizio riflessioni che suonano come una promessa di profondità in attesa di realizzarsi: la particolarissima relazione con Spier, in cui fin da subito si intrecciano inestricabilmente il piano terapeutico e quello sentimentale, e che viene ad affiancarsi all’altra già in essere con pa’ Han, sta evidentemente spingendo Etty a un lavoro su se stessa che si connota come spirituale, oltre che psicologico.

D’altronde Spier da qualche anno aveva fatto della fede in Dio e della preghiera il centro della propria vita: la sua era una spiritualità forse insolita, per quanto formatasi sostanzialmente nell’alveo ebraico-cristiano, ma autentica, fiorita fuori da ogni recinto confessionale e alimentata da letture eclettiche, e da cui scaturiva un’etica ispirata all’amore universale e alla compassione non lontana da quella evangelica - grande era infatti l’ammirazione dello psicochírologo per la figura di Gesù. L’incontro con la forte carica spirituale di Spier innescherà fin da subito in Etty un processo di guarigione e di trasformazione profonde e piuttosto straordinariamente repentine.

 

Beatrice  Iacopini

in Il gelsomino e la pozzanghera, pp.9-10

 

 

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