Koinonia Maggio 2018


MARIA DI MAGDALA E LA PASQUA (II)

 

Parte seconda:  Il desiderio dei morti e del Risorto

 

A spiegare bene la necessità che ha il Risorto di salire al Padre, è sempre il Vangelo di Giovanni, là dove ci vengono indicati almeno due motivi, entrambi riguardanti il tempo intermedio, il tempo della speranza e dell’attesa che è anche il nostro di oggi.

Il primo: la necessità della venuta del Paràclito, del Consolatore. Leggiamo con attenzione quello che aveva detto non molto tempo prima Gesù ai discepoli: “Ora però vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: ‘Dove vai?’. Anzi, perché vi ho detto questo, la tristezza ha riempito il vostro cuore. Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi. E quando sarà venuto, dimostrerà la colpa del mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio. Riguardo al peccato, perché non credono in me; riguardo alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; riguardo al giudizio, perché il principe di questo mondo è già condannato’” (Gv 16,5-11). Siamo di fronte a una dura battaglia, a un vero processo d’accusa e di difesa: Paràclito, Parakletos, si può tradurre anche con ‘colui che sta al fianco e aiuta, consola’. È grazie allo Spirito che capiremo e non resteremo soli. Gesù disse infatti, riferendosi allo Spirito: “Egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi” (Gv 14,12-13).

La storia continua e molte cose restano in sospeso ancora per noi oggi, forse soprattutto per noi oggi. Lo Spirito viene anche per suggerirci ogni volta come stanno davvero le cose: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà” (Gv 16,12-15). Dello Spirito possediamo “le primizie”, esattamente come le possediamo della salvezza. Se siamo stati salvati è “nella speranza”, noi viviamo nel tempo intermedio, noi siamo sospesi sul vuoto della non salvezza gemendo interiormente “aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo”. Ed è soprattutto per continuare a sperare, per reggere nell’attesa, che lo Spirito è necessario. È chiarissimo Paolo su questo punto: “lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio” (Rom 8,23-27).

E c’è poi un secondo motivo, per cui il Risorto deve necessariamente salire al cielo, al Padre, ed è sempre Gesù a spiegarlo: “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: ‘Vado a prepararvi un posto’? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi” (Gv 14,1-3). Tutta l’attesa della Chiesa si basa su questa promessa. Se la Chiesa smette di attendere questo perde la sua fede. Ireneo di Lione sottolineava anche la differenza tra le “molte dimore” di cui parla Gesù. Qui – dice Ireneo – “Il Verbo, afferma, che a ciascuno il Padre distribuirà secondo il merito presente o futuro”. E poco prima, con un’immagine straordinaria sottolinea pure come nel Regno che verrà “non viene distrutta la sostanza e l’essenza della creazione… Vi sarà cielo nuovo e nuova terra, nei quali rimarrà il nuovo uomo conversando sempre di cose nuove con Dio” (Contro le eresie, V,36,1).

 

È questo che va compreso se vogliamo capire la grandezza della fede della Maddalena. Se il Risorto resta là dov’è salito che ne sarà del mondo, che ne sarà di noi? Il Risorto doveva salire al Padre, non poteva essere trattenuto qui. È un po’ come sul monte della Trasfigurazione, là dove “Pietro, Giovanni e Giacomo” salirono a pregare insieme a Gesù e ad un certo punto ecco che videro Gesù che “mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida, sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella gloria”. I discepoli intanto furono presi dal sonno e quando si svegliarono riuscirono ancora a vedere Gesù “e i due uomini che stavano con lui”, che erano sul punto di ripartire. È in quel preciso istante che “Pietro disse a Gesù: ‘Maestro è bello essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia”, come a dire: noi dormiamo all’aperto, non c’è problema, a noi basta essere qui con voi, a noi basta la presenza di questi vostri tre corpi che sono stati capaci di attraversare la morte diventando gloriosi e pieni di luce. Il corpo del Risorto è lo stesso di prima ma trasfigurato, quello dovevano avere già visto i tre discepoli sul monte della trasfigurazione, lassù dove Gesù parlava con Mosè ed Elia, della sua passione e morte, “del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme” ((Lc 9,29-33).

Il Risorto doveva salire al Padre, Padre suo ma anche Padre nostro, affinché la sua risurrezione sia anche la nostra. Cosa crede la fede della Chiesa? Questo: “Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture, è salito al cielo, siede alla destra del Padre e di nuovo verrà nella gloria”. È questo che siamo chiamati a credere ancora oggi. Anche oggi “siede alla destra del Padre” e in ogni momento potrebbe venire di nuovo nella gloria. Anzi: in ogni momento dovremmo desiderare che venga, invocare che venga. Questo significa dire nel Padre Nostro: “Venga il tuo Regno” (Mt 6,10). Questo è il Kerigma, il nocciolo, l’essenziale, lo specifico della fede. Questo dice la Chiesa fin dal principio accogliendo queste preziosissime parole evangeliche: “Gesù le disse: ‘Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: ‘Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro’”. È a tali parole, a tale invito che la Maddalena corre “ad annunciare ai discepoli: ‘Ho visto il Signore!’ e ciò che le aveva detto” (Gv 20,17-18). Il resto è zavorra!

Notizia dura da credere. Marco dice che quanti erano stati con Gesù ed erano lì in lutto e in pianto, “udito che era vivo e che era stato visto da lei, non credettero” (Mc 16,10). Era difficile credere a una donna e forse proprio per questo Gesù volle apparire prima di tutto a delle donne, a Maria Maddalena in particolare, una donna che sapeva amare, attendere, desiderare la presenza corporea di Colui che amava e che era morto percependo, al tempo stesso, la speranza di pienezza e di vita di Lui, che non voleva morire ma desiderava ardentemente vivere fino all’ultimo fiato.

La Maddalena qui si rivolge a Gesù in ebraico, la speranza della Maddalena è la speranza di una donna ebrea, e per gli ebrei, come ci ha ricordato Benjamin, “il futuro non è un tempo omogeneo e vuoto. Perché ogni secondo, in esso, era la piccola porta da cui poteva entrare il Messia” (Tesi di filosofia della storia, n. 18).

 

C’è molta teologia in quell’episodio del dialogo tra la Maddalena e il Risorto, dicono in molti: il “giardino” in cui il dialogo avviene (Gv 19,41) rimanderebbe sia all’Eden del principio che alla creazione nuova del tempo ultimo. Nella buona notizia del Regno la nostalgia dell’Eden perduto spinge a guardare al futuro promesso, alla risurrezione dei morti. La Maddalena è la discepola che con le lacrime agli occhi desidera rivedere il corpo del Signore dopo che è morto, desiderando quel Regno di cui Gesù aveva tante volte parlato anche a lei.

L’amore per il corpo di un defunto qui non c’entra nulla con la cura dei corpi dei faraoni nell’antico Egitto. In Israele non aveva mai attecchito il culto dei morti o la fede nell’aldilà. Al discepolo che gli chiedeva il permesso d’assentarsi per andare a seppellire suo padre Gesù rispose deciso: “Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti” (Mt 8,21-22). È significativo che proprio Israele, così poco incline ad occuparsi dei morti e dell’aldilà, sia anche il popolo che ha regalato all’umanità l’inaudita speranza della risurrezione dei morti, della risurrezione del corpo di coloro che sono morti.

Non è tanto il fatto che Gesù sia morto a far disperare la Maddalena, è invece il fatto che il corpo di Gesù sia scomparso, sia stato rubato e messo non si sa dove. Il cristianesimo ha il cuore della speranza fortemente legato al corpo. Platone non c’entra nulla con la speranza della Maddalena. Modernissima è, in questo senso la fede che la abita, l’attaccamento al corpo, soprattutto al corpo di chi si ama. La fede vuole toccare, vuole come l’apostolo Tommaso, ficcare il dito nella piaga del corpo del Risorto, vuole fare esperienza concreta dell’amico che è morto, vuole vederlo. Gesù stesso dirà: “Guardate le mie mani e i miei piedi, sono proprio io! Toccatemi e guardate, un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho” (Lc 24,39). Il Risorto non muore più. Non è come il corpo di Lazzaro risorto o del figlio della vedova di Nain o dei tanti che sono usciti dai sepolcri nel momento in cui Gesù è morto (Mt 27,51-53), nel momento in cui “vita e morte si sono affrontate in un prodigioso duello” (come dice la liturgia pasquale). Quei corpi erano tornati a morire mentre il corpo del Risorto no, è salito e siede alla destra del Padre e “di nuovo verrà nella gloria”, perché egli è Dio, è una cosa sola col Padre e da allora essi sono in attesa di essere anche una sola cosa con noi nel giorno ultimo della risurrezione dei morti, quando anche l’“ultimo nemico” sarà vinto e persino “il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti” (1Cor 15,26-28).

Ma quel tutto in tutti non dev’essere inteso come un grumo mistico di soli spiriti, il Regno di Dio è questione di corpi, fede cristiana, come dice Dante, è “disio de corpi morti” (Paradiso XIV, 63), non anelito di anime che aspirano all’inghiottimento celeste. Qui abita la speranza espressa con una certa forza da san Paolo, una speranza monca se un giorno i morti non dovessero risorgere. Quella della risurrezione dei morti è il cuore della speranza di Israele e del cristianesimo, guai dunque a diluirla, come spesso accade purtroppo, coi “valori del mondo circostante”, finendo così per metterla ai margini e poi dimenticarla del tutto. Questo ha fatto dire a Lévinas che “non vi è niente di più ipocrita che il profetismo messianico del borghese adagiato” (Il messianismo).

 

“Aspetto, la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”, questo ci insegna la Chiesa, questa è l’invocazione di chiusura e sigillo della confessione della nostra fede. Non si dice semplicemente credo, ma aspetto: i defunti devono risorgere presto, prima possibile, non è bene che siano per sempre inghiottiti dalle tombe. Tra noi e i defunti si erge molto in fretta un muro di silenzio e di oblio che rischia di separarci da loro per sempre. È necessaria molta fede per non arrendersi, per continuare a tenerli nel cuore e nella memoria. Ho trovato in Moltmann questa domanda che faccio ora anche mia: “Chi avverte la protesta silenziosa che i morti elevano contro l’indifferenza dei vivi? Chi mostra di essere convinto che i morti non avranno riposo finché non sia resa loro giustizia?” (L’avvento di Dio).

Dai giorni in cui ho cominciato a frequentare Sergio Quinzio, ed ero appena un adolescente, non ho più scordato di chiudere le mie preghiere dicendo: “I fedeli defunti per la bontà di Dio riposino in pace e risorgano presto”. Io conoscevo la preghiera dell’eterno riposo, a me era stato insegnato di concludere semplicemente dicendo: “Riposino in pace, Amen”. No, diceva Sergio, quei morti aspettano di risorgere, le anime sotto l’altare dell’Apocalisse invocano: “Fino a quando?” (Ap 6,10), il cristianesimo primitivo diceva: “Maràna tha!” (1Cor 16,21), il Cristo non vede l’ora di tornare, la liturgia dice: “Nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo”.

E noi chi siamo per togliere questo desiderio, questa attesa dei morti e di Dio? La Scrittura sacra con l’Apocalisse si chiude con una attestazione che è una promessa: “Sì, vengo presto!”, alla quale viene risposto con l’invocazione: “Amen. Vieni, Signore Gesù”. È in questo clima che “la grazia del Signore Gesù” dovrebbe estendersi a tutti (Ap 22,20-21), soprattutto a Pasqua.

 

Daniele Garota

(2. fine)

 

 

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