Koinonia Maggio 2018


IL SESSANTOTTO E I CRISTIANI DEL XXI SECOLO.

 

Sul Sessantotto (è passato mezzo secolo da allora) sono stati scritti fiumi di parole. Libri, articoli, film, canzoni hanno raccontato quell’epoca straordinaria della storia del XX secolo: una contestazione nata nel mondo studentesco e operaio che ha riempito le piazze in ogni angolo della terra.

Libertà, pace, giustizia: queste le parole d’ordine che, con accentuazioni diverse, stavano alla base delle rivendicazioni dei ribelli all’ordine costituito. Libertà dalle imposizioni familiari, culturali, sessuali, religiose. Giustizia come realizzazione di una vera uguaglianza fra tutti sul piano economico: l’ideale del comunismo compiuto secondo l’utopia di Marx. E al tempo stesso ripudio della guerra.

A distanza di cinquanta anni nel mondo occidentale, e quindi anche in Italia, siamo in grado di riflettere con pacatezza su quanto ci fosse di buono in quella stagione straordinaria e quanto invece fosse sterile velleitarismo. Conquista di maggiori diritti normativi e salariati per i lavoratori, attenuazione delle differenze fra le classi sociali, avanzamento della condizione della donna, una cultura più libera e diffusa: questi gli esiti positivi del Sessantotto. E tuttavia gli anni e i decenni successivi furono segnati da non poche ombre. Da un lato la deriva violenta di una parte (minoritaria certo, ma comunque pericolosa) del movimento di contestazione, i cosiddetti anni di piombo; dall’altro l’affermarsi di una concezione dei diritti dell’individuo avulsi da un contesto di uguaglianza e di giustizia. Archiviata, per fortuna, l’epoca del mito della violenza anti sistema, una deriva individualista ha caratterizzato i decenni più recenti, soprattutto da quando il neoliberismo si è affermato come visione globale del mondo e della storia.

Lo scossone del Sessantotto non poteva non avere conseguenze anche all’interno della stessa Chiesa, e con esiti contrastanti. Da un lato la volontà di tanta parte della comunità cristiana di realizzare quanto di nuovo e positivo era scaturito dal Concilio Vaticano II: mettere fine al regime di “cristianità”; non solo predicare, ma mettere in pratica la Parola di Gesù; combattere la struttura gerarchica della Chiesa, ritenuta in contrasto con i valori di uguaglianza insiti nel Vangelo.

Mentre in America Latina la Conferenza episcopale di Medellìn (Colombia, 1969) proiettò a livello continentale, e non solo, la Teologia della Liberazione che si sarebbe rivelata un fenomeno destinato a durare nel tempo, la fiammata del Sessantotto ecclesiale in Europa e in Italia ebbe una breve durata e l’istituzione ecclesiastica nel suo complesso ripiegò su posizioni conservatrici, riducendo il Concilio a mero enunciato di buoni propositi.

Tuttavia accanto a questi indirizzi prevalenti (almeno fino a papa Francesco) emergono anche posizioni di segno opposto, soprattutto nella Chiesa di base, talvolta anche per merito di alcuni vescovi (1) e questo alimenta contrasti all’interno della Chiesa.

Non c’è dubbio che l’arrivo di un papa “diverso” ha contribuito non poco a portare aria nuova nella Chiesa, una nuova speranza. È interessante notare che con Francesco la pratica religiosa non è aumentata, cosa della quale questo papa, in realtà, non sembra preoccuparsi più che tanto. Nonostante questo, o forse proprio per lo stesso motivo, Francesco è diventato un punto di riferimento universale; egli parla a tutti, credenti e non credenti, e tutti si rivolgono a lui. In questo sembra imitare il comportamento di Gesù che rimprovera i suoi stessi seguaci tentati di costituire una comunità chiusa, esclusiva, potremmo dire, con un linguaggio moderno, clericale. Per questo Francesco è amato da miliardi di uomini e di donne, e soprattutto dai non privilegiati (2), mentre è avversato da tutti coloro che vogliono difendere a tutti i costi il proprio potere. Così anche Francesco si rivela un elemento di contraddizione, dentro e fuori la Chiesa.

Viviamo in tempi difficili: le conquiste che sono state ottenuto a caro prezzo nei decenni passati (lo stato sociale, una maggiore uguaglianza, leggi più giuste) vengono messe in discussione. La ventata del neoliberismo, sempre più forte da una trentina d’anni almeno, non solo provoca queste conseguenze nefaste sul piano materiale, ma tende a condizionare i comportamenti dei singoli individui, della società civile, degli stessi partiti. In gran parte anche le forze politiche fino a ieri portatrici di progresso e di speranze si sono adeguate a questa nuova realtà che sembra non avere alternative.

E noi? Se Gesù ha promesso “il centuplo in questa vita e in più la vita eterna” non ci dovremmo sentire, anche in quanto cristiani (3), responsabili della crescita spirituale certo, ma al tempo stesso materiale di tutti gli uomini? Qui e ora, proprio perché viviamo in tempi bui, dobbiamo riscoprire il Kairòs, il momento opportuno e necessario, oserei dire, per non adeguarci, per testimoniare che quest’epoca di disperazione per tanti, troppi esseri umani non rappresenta la fine della storia. Se non ora, quando?

 

Bruno D’Avanzo

 

 

NOTE

(1) Non possiamo qui trascurare il fenomeno del “dissenso cattolico”, di  cui le comunità di base sono state l’espressione più evidente. Diffuse in tutta Europa, fu soprattutto l’Italia, forse proprio per la vicinanza del Vaticano, il paese dove questo movimento ecclesiale manifestò la maggiore conflittualità nei confronti della Chiesa istituzionale come attestano, fra gli altri, gli episodi più eclatanti, quello della comunità di San Paolo a Roma e dell’Isolotto a Firenze.

Anche alcuni vescovi, nonostante i richiami da parte del Vaticano, hanno testimoniato una evidente discontinuità rispetto alle posizioni conservatrici della Chiesa. Ricordiamo, tra gli altri, il cardinale di Milano Carlo Maria Martini e i vescovi Luigi Bettazzi di Ivrea, Tonino Bello di Molfetta e Vincenzo Savio di Belluno.

(2) Si può dire che ogniqualvolta il papa manifesta il suo pensiero in documenti scritti o durante discorsi pubblici fa riferimento alla condizione dei poveri, degli emarginati, degli esclusi; e non si tratta di semplici attestati di solidarietà. Francesco affronta sempre il problema alla radice: non ha paura di parlare di sfruttamento, di arricchimento ingiusto di pochi a scapito dei lavoratori, di un’economia che genera ricchezza solo grazie al lavoro precario o sottopagato, dei giovani costretti alla disoccupazione ai quali viene negato il futuro.

(3) Va da sé che l’impegno per il bene comune è prerogativa di tutti gli uomini: cristiani, credenti di altre religioni, atei. A ben vedere nell’età moderna per molto tempo è stato un movimento nato al di fuori della cultura cristiana, il marxismo, quello che con più determinazione e efficacia si è battuto per l’uguaglianza di tutti gli esseri umani. In quanto alle chiese cristiane, nella loro maggioranza, per secoli il loro riferimento al Vangelo è stato prevalentemente nominale e spesso hanno dato il loro appoggio (ricambiate) alle classi dominanti, tradendo così il messaggio di Gesù; ma quando i cristiani recuperano quel messaggio la scelta dei poveri diventa per loro un imperativo etico e religioso ad un tempo.

 

 

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