Koinonia Maggio 2018


PER UN’ALLEANZA TRA LA DEMOCRAZIA E LE RELIGIONI*

 

Ho fatto riferimento, tra le sfide portate alla democrazia, a quella rappresentata da soggetti di mobilitazione di massa, a base religiosa, e dai fondamentalismi. La costruzione di una più avanzata fase della civiltà richiede un apporto costruttivo delle religioni e delle culture, una loro capacità di intrecciare un dialogo che abbia al suo centro il destino dell’umanità e del Pianeta.

Non solo senza un contributo delle fedi religiose e delle culture sarebbe impossibile realizzare un’etica mondiale condivisa, ma le sue norme, una volta fissate, resterebbero formule astratte e insignificanti, anziché divenire, come è necessario, senso comune, riferimento valoriale per la vita quotidiana dei cittadini. Le religioni e le culture sono in grado di coinvolgere la coscienza delle moltitudini, di conciliare menti e cuori nell’adempimento consapevole dei doveri e nel cambiamento degli stili di vita.

La volontà delle religioni di dialogare tra loro e con le culture non religiose non può essere imposta: è frutto della consapevolezza dei tempi che stiamo vivendo e del nucleo di fede che le anima. Le basi di un confronto sono costituite dal riconoscere reciprocamente la presenza in esse di tratti comuni primari: il credere in Dio; la convinzione che un segno di Dio è presente in ogni persona; l’amore verso il prossimo; l’aspirazione e la fede nella trascendenza; il rifiuto della violenza; l’opporsi, come in passato invece è avvenuto, a essere usate per disegni di conquista e di potere temporale.

Una politica che voglia rinnovare e rafforzare la democrazia deve creare le condizioni e l’ambiente favorevoli per lo sviluppo di un dialogo interreligioso e di quello tra religioni e culture. E indispensabile nel XXI secolo. Nel mondo occidentale è urgente rivedere gli approdi della secolarizzazione: non si tratta certamente di cancellarla, bensì di reinterpretarla. Essa segna i confini tra i differenti ruoli delle istituzioni della politica, degli Stati e delle confessioni religiose. Non deve rendere marginali le fedi, relegandole nel mondo delle superstizioni o in quello del superfluo.

Le religioni non sono scomparse, annullate dai progressi della scienza e della tecnica, come sostenevano le filosofie positiviste, il materialismo della vulgata marxista, il pensiero unico dell’economicismo neo-liberista. Il permanere in parte dell’Occidente di interpretazioni delle esperienze religiose come di fenomeni del mito o comunque di secondaria importanza, prive di senso nella convivenza moderna, ci isola dalla comprensione e dal dialogo con il resto del mondo, indebolisce la democrazia, rendendo fragili le sue potenzialità. Negli altri continenti, dalle Americhe all’Africa, dall’Asia all’Oceania, il rapporto tra persona, cultura, Stato, fedi religiose è profondamente diverso.

Ecco allora che il rapporto con le religioni diviene un aspetto del modo con cui l’Occidente si pone nei confronti del mondo: verso le sue culture, la pluralità dei suoi credi religiosi, le concezioni della natura e dello sviluppo. Se l’Occidente vuole che i valori che ha contribuito a formare, dai diritti umani alla democrazia, divengano un patrimonio condiviso, deve essere superata ogni impostazione che veda gli altri continenti come subalterni: sudditi oppure nemici.

Al tempo stesso deve essere accantonata un’interpretazione che considera come illimitato il progresso, unendo a questo dogma un intervento aggressivo sulla natura, disinteressandosi della rigenerazione delle sue risorse, recidendo ogni vincolo di memoria con il passato e di solidarietà con il futuro.

L’Occidente, per un’intera fase storica, ha assunto i metodi empirici della scienza e i criteri sperimentali che ne sanciscono le conquiste e le successive verità, per delimitare in modo assoluto i confini del vero, quelli del mito e della superstizione.

La scienza è trasformata così, contro se stessa, in una sorta di fede religiosa. Bisogna impedire il riproporsi di una contrapposizione tra scienza e religioni, che ci farebbe di nuovo precipitare nel buio di secoli passati: religioni e scienza sarebbero indotte a forzare il loro proprio ruolo, smarrendo un comune ancoraggio alla ragione. Il rischio sarebbe la caduta in opposte patologie, distruttrici di un futuro degno per l’umanità..

Il riconoscimento della legittimità di una presenza delle fedi religiose nelle società contemporanee consente di porre al centro delle relazioni con esse la laicità e di rendere indissolubili laicità e democrazia. La laicità non si riferisce ai soli rapporti tra lo Stato e le religioni: questo ne rappresenta soltanto un aspetto, per quanto di grande rilievo. La laicità fonda prima di tutto l’autonomia delle attività umane, che non possono essere costrette a porsi finalità diverse da quelle loro proprie a opera di interventi esterni, siano essi poteri religiosi o politici.

Nei rapporti tra Stato e religioni la laicità è la base che assicura una reciproca autonomia e non ingerenza. Lo Stato ha i cittadini a suo riferimento, quali che siano le loro convinzioni culturali o religiose: non può essere il braccio secolare di una religione, altrimenti diventa confessionale, né di una dottrina filosofica, altrimenti degenera in totalitarismo.

La storia presenta esempi dell’una e dell’altra specie. Le confessioni religiose hanno diritto a una piena libertà: la libertà religiosa è parte integrante delle nostre libertà, senza aggettivi. Alle religioni deve essere chiesto il rispetto del pluralismo, dell’autonomia della società civile e delle singole persone, dello Stato.

L’uguaglianza dei cittadini di fronte alle leggi, il sistema dei diritti e dei doveri, prescindono dalle appartenenze religiose o culturali: una persona può avere o non avere un credo religioso, può, nel corso della sua vita, trovarlo, cambiarlo o perderlo. Queste sue convinzioni non devono minimamente incidere nelle relazioni che lo Stato, nei suoi ordinamenti e nelle sue funzioni, ha con ogni cittadino.. In caso contrario viene meno lo stato di diritto.

La laicità non può più fondarsi sulle concezioni culturali e politiche del solo liberalismo europeo, realizzatesi poi in alcuni Paesi, in primo luogo in Francia. Quegli esiti si fondavano su due pilastri: la reciproca autonomia tra Stato e religioni; il carattere privato delle convinzioni di fede, da rispettare, purché serbate nel segreto dei cuori.

Oggi, mentre il primo pilastro mantiene la sua validità, il carattere obbligatoriamente riservato delle esperienze di fede e la negazione di una sua dimensione pubblica, talvolta addirittura imposta attraverso norme di legge, cozza invece ‘ contro i processi della storia. Per rendersene conto è sufficiente guardare intorno a noi, senza i veli di pregiudiziali ideologiche o infatuazioni per un passato ormai al tramonto.

Una delle questioni fondamentali per la democrazia dei tempi nuovi è proprio quella di saper organizzare, all’interno di una cornice di laicità, la presenza pubblica anche delle religioni: la condizione è l’accettazione da parte delle confessioni religiose dei principi che presiedono allo svolgersi dell’attività pubblica. Su questo terreno non possono esistere verità assolute, dogmi da affermare: le decisioni si fondano sul consenso, sul principio di maggioranza e sul rispetto dei diritti delle minoranze. Queste ultime devono veder garantiti i propri convincimenti e costumi, purché coerenti con i valori e le regole delle Costituzioni democratiche e della Dichiarazione Universale dei Diritti della Persona.

Ho già fatto riferimento a convinzioni comuni, che orientano miliardi di uomini, presenti nelle fedi religiose, a cominciare dalle grandi religioni monoteiste: in primo luogo, a me pare decisivo, tanto più oggi, il riconoscere nella fede in Dio un progetto di misericordia e salvezza rivolto a ogni uomo. Poi, nel corso dei secoli, le religioni hanno teso a interpretare in forma esclusiva l’unicità di Dio e l’universalità della salvezza. Ognuna si è sentita detentrice assoluta della verità, contrapponendosi alle altre.

È non solo un dovere, ma un interesse della democrazia contribuire a far affermare una pace e cooperazione tra le religioni, un dialogo tra esse e con le culture, così da ricevere un contributo prezioso per la soluzione dei problemi che abbiamo di fronte.

Immagino le obiezioni: che senso ha? Perché questo sarebbe un compito della democrazia? È in ogni caso un impegno irrealizzabile e superfluo. Invito a riflettere su un’affermazione del teologo Hans Küng: «Senza dialogo e pace tra le religioni, non potrà esservi pace tra le nazioni» A mio giudizio questa affermazione esige oggi di essere completata, mettendo. in evidenza che «senza pace tra le religioni», non potrà esservi pace, cioè coesione e solidarietà «nelle stesse nazioni».

Le nostre società sono cambiate: sono plurietniche e multireligiose. Migrazioni e informazione portano il mondo nelle case, con i suoi simboli, credenze, speranze, drammi. Mi pare che il compito che spetta alla democrazia, per non privarsi di futuro, risulti evidente. È indispensabile che le moltitudini di persone animate da fedi religiose, non siano «contro» o indifferenti, ma a sostegno della democrazia. Al tempo stesso questo progetto, oltre che necessario, è realistico.

Si guardi al cristianesimo: dal Concilio Vaticano II (1) in poi la via del dialogo interreligioso si è rafforzata e non solo con l’ebraismo, ma con l’islam. Le sanguinarie avventure del terrorismo non sono riuscite a bloccarla. L’Unione Europea può diventare il terreno privilegiato di un confronto/incontro tra religioni e culture: qui da noi il pluralismo è un valore e un’esperienza concreta, i rapporti con le istituzioni sono fondati sulla reciproca autonomia.

Qui, come già è avvenuto per il cristianesimo e l’ebraismo, anche l’islam può incontrare la modernità, dando vita a una sua autoriforma che, senza scalfire il nucleo della sua dottrina e del suo messaggio, giunga a riconoscere compiutamente le autonomie della società civile e dello Stato, le libertà di fede e di cultura, l’uguaglianza tra uomo e donna. Mi riferisco a valori accolti non per obbligo o per convenienza, come regole formali presenti nella società, ma fatti propri e sentiti come convinzioni di vita, come modi che consentono di esprimere anche la fede. Ognuno deve avvertire l’esigenza che il credo religioso che si professa, nel suo nucleo essenziale, e i principi democratici, comuni a tutti i cittadini, siano tra loro coerenti. Dipende anche da noi, dagli indirizzi che prevarranno nell’Unione, se questi orientamenti, ancora minoritari nell’islam, si .affermeranno e sapranno contagiare una religione che ha nel mondo un rilievo crescente. Un islam europeo potrà consolidarsi e influenzare l’islam globale, se nell’Unione si realizzeranno politiche di integrazione rispettose delle minoranze e se welfare, lavoro, partecipazione alla vita pubblica non saranno condizionati da discriminazioni tra nuovi e vecchi cittadini.

L’Unione dovrà essere capace di determinare regole omogenee, tra le nazioni che ne fanno parte. Come si vede, assume primaria importanza il clima culturale che prevarrà: non si tratta certamente di obbligare ad avere una fede, ma al tempo stesso non caratterizzare la democrazia europea come indifferente, ostile o scettica rispetto al ruolo delle religioni per affrontare le sfide del nostro tempo.

 

Vannino Chiti

*da La democrazia nel futuro - Le nuove sfide globali, il “caso Italia”

Guerini e Associati 2017, pp. 47-51

 

(1) Il Concilio Vaticano Il, con la Dichiarazione Nostra Aetate, ha posto su basi nuove il rapporto con le religioni non cristiane. Vi sono poi atti significativi compiuti dai pontefici della Chiesa Cattolica: Giovanni XXIII e Paolo VI hanno cambiato in profondo, in relazione al popolo ebraico, impostazioni liturgiche e teologiche. Giovanni Paolo Il, Benedetto XVI, Francesco sono entrati in sinagoghe e moschee, raccogliendosi in preghiera.

Momenti di dialogo interreligioso sono entrati nella storia e fanno sperare nel futuro: gli incontri di preghiera per la pace, tra tutte le confessioni religiose, promossi da Giovanni Paolo II ad Assisi nel 1986 e nel 2002. Paolo VI nella Evangelii Nuntiandi, affermerà che le religioni tengono «le braccia tese al cielo». Degne di nota restano la Caritas in Veritate di Benedetto XVI e la Laudato Si’ di Papa Francesco, così come il primo incontro tra cattolici e islamici, a Roma, dal 4 al 6 novembre 2008, concluso da Benedetto XVI. Meritano grande attenzione anche le elaborazioni e proposte che formano la Teologia islamica della liberazione umana, che volutamente richiama quella Teologia della Liberazione sviluppatasi a partire dall’America Latina, con una spinta di rinnovamento che ha finito per influenzare la Chiesa universale. Su queste tematiche, richiamo alcuni miei libri: Religioni e Politica nel mondo globale, Giunti, 2011; Tra terra e cielo, Giunti, 2014, e l’intervento al forum di Krynica Zdroj, 8-10 settembre 2015 su: Ebraismo, Cristianesimo, Islam nel ventunesimo secolo. Dialogo o scontro?

 

 

 

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