Koinonia Maggio 2018


IL ’68 NELLA CHIESA FIORENTINA

 

Ho vissuto la giornata del 29 aprile – dedicata ad una rivisitazione del ’68 – con un sogno segreto, che mi si era risvegliato nel cuore qualche giorno fa. È stato in occasione del ricollocamento della Visitazione di Luca delle Robbia nella chiesa di S.Giovanni Forcivitas di Pistoia, dopo un periodo di restauro e di esposizione sia negli Stati Uniti che nella stessa Pistoia in una sede diversa.

Il pomeriggio del 27 aprile la chiesa di S.Giovanni era gremita fino all’inverosimile, di gente che presumibilmente aveva ammirato già il capolavoro di Luca della Robbia, ma che non voleva perdere questa occasione di vedere la nuova sistemazione dell’opera e di ascoltare la parola di Antonio Paolucci, che effettivamente ha interpretato l’evento e il momento con larghezza e profondità di visione.

Ma il fatto da sottolineare era che la presenza di tutta quella gente non era di spettatori o di cultori d’arte con interesse personale, ma faceva respirare un clima di assemblea silenziosa e meditativa, quale è difficile riscontrare anche nelle nostre celebrazioni liturgiche. In tutta spontaneità, succedeva che un popolo intero - in tutte le sue componenti - si sentisse lì radunato grazie ad un evento di grande valore artistico e culturale, in cui però la dimensione cristiana e civica erano un tutt’uno. Avveniva inaspettatamente il miracolo di un popolo unito e pacificato, che appunto risvegliava il sogno di una umanità capace di ritrovare uno spirito di comunione e di condivisone della bellezza, della fede, della convivenza.

Ma il sogno continuava ad andare avanti con questo interrogativo: se quella assemblea aveva una risonanza liturgica, perché le nostre liturgie non hanno quel respiro di assemblee che dovrebbero avere per definizione? Se un evento culturale sa produrre questi effetti anche perché coniugato ad un episodio evangelico e “mistero” della fede, perché il “mistero della fede” che regolarmente celebriamo non è vissuto con la stessa partecipazione ed efficacia, ma rimane al di fuori della vita vissuta di un popolo e di una città? Ed allora il sogno diventa risveglio ed è messo subito alla prova da questo interrogativo: come mai si può approdare dall’arte e dalla cultura a quell’elemento di fede che l’ha ispirata e non succede che la fede generi cultura ed arte, se non tecnicamente? È perché non c’è materia umana plasmabile, o perché la fede è come sale che ha perso sapore?

Se pensiamo che la fede è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, che se ne avessimo quanto un granello di senape potremmo dire ad un gelso di spostarsi dalla terra al mare e questo avverrebbe, ecc. ecc..  dobbiamo dire che di tutto questo a noi è rimasto l’involucro, il sudario piegato come cimelio più che come segno del Risorto a cui credere. 

Il mondo della fede è diventato residuale: reminiscenza, mitologia,  allegoria, storia, narrazione, filologia, letteratura, retorica spirituale ecc... Raramente è quel mondo reale e di verità quale opera di salvezza di Dio in continuità con la creazione. Sembra insomma che quella della fede sia solo figura allusiva e non invece quel  Regno di Dio, a cui peraltro ogni credente fa riferimento. Forse voleva dirci questo Gesù quando replica ai Giudei sull’osservanza del sabato: “Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me. Ma voi non volete venire a me per avere vita” (Gv 5,39-40). Rimaniamo più o meno nel guado!

Ma perché ho vissuto l’incontro  del 29 aprile con questo retro-pensiero? Semplicemente perché la tensione e la passione profetica di comunità ecclesiali e di testimoni  che abbiamo rivisitato attraverso la parola dei relatori -  presentati nella vignetta -  ci dicono che si tratta in sostanza del desiderio, del tentativo e della lotta per ritrovare e far emergere la sostanza reale del vangelo vissuta in prima persona e dal basso  dentro la chiesa esistente: qualcosa che è come fuoco nuovo, che però difficilmente diventa incendio - come avrebbe voluto il Figlio dell’umo -  ma che anzi si cerca di spegnere da parte di solerti pompieri.

Era questo il fuoco che animava la comunità dell’Isolotto in seguito portata a simbolo di ribellione (ce ne ha parlato Mario Bencivenni), il fuoco delle comunità di base dell’America Latina (nella esposizione di Bruno D’Avanzo), il fuoco che ha animato il primo operaio-prete d’Italia Bruno Borghi (secondo la presentazione storica di Antonio Schina), il fuoco che ha portato al martirio Martin Luther King (così come lo ha fatto rivivere Valdo Pasqui).

Il messaggio segreto con cui ci siamo lasciati a chiusura della giornata è un ribaltamento di prospettiva: lo Spirito di profezia che ci porta alla verità non va considerato come eccezione, singolarità, originalità di questo o di quell’altro. È la legge interiore che regola la vita del Popolo di Dio. È la condizione normale del credente nel mondo. O no?

 

ABS

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