Koinonia Aprile 2018


PERCHÉ RIPARTIAMO DAL ‘68

 

Immagino che qualcuno si chieda come mai questa attenzione al ’68 nella chiesa fiorentina. Una prima ragione è presto detta: se infatti Koinonia ha le sue radici più profonde nel Concilio Vaticano II, è stata però concepita nella esperienza del ’68 intorno alla vicenda Isolotto, anche se il parto è avvenuto dopo qualche anno di incubazione. Per dire che essa non nasce come fungo per ragioni di moda ecclesiale o per condizioni di clima culturale del momento: anche se sembra ”figlia di nessuno”, ha una sua anima originaria, quella che l’ha fatta vivere  fino ad oggi. È troppo dire che - come la verità - essa è “filia temporis”?

Naturalmente mi trovo coinvolto in questa vicenda in prima persona, ma questo non vuol dire che essa sia un fatto personale, così come un interprete non può attribuirsi la paternità di ciò che esegue. Se dunque oso rivisitare a distanza alcune vicissitudini, non è per occupare la scena, ma solo per enuclearne una questione di fondo di cui sono stato partecipe e che ha segnato il cammino futuro: la potremmo definire la “questione-aggiornamento” sollevata dal Concilio e che nel dopo-concilio ha cambiato pelle, rimanendo però insoluta e aperta.

In effetti, la spinta propulsiva nasce dalla svolta che avviene  col Concilio. E questo anche in chiave personale: non solo perché ero presente in Piazza S.Pietro l’8 dicembre del ’65 quasi per una consegna, quanto piuttosto per il trapasso vissuto da una formazione tradizionale e classica al dischiudersi di orizzonti attesi e cercati in anni di macerazione interiore. Altra cosa per chi il Concilio se l’è ritrovato bell’e fatto e pensa di attuarlo in maniera lineare senza alcun travaglio, mentre una rinascita  è sempre all’ordine del giorno.

C’è stato dunque tutto un lavoro  collettivo di ricambio interiore e di speranza attiva, che faceva pensare al possibile superamento  di inevitabili resistenze al nuovo che avanzava. Fino a quando però il conflitto non è esploso ed ha richiesto una partecipazione critica, quasi nuova chiamata. Nel 1968 ero a Firenze, e precisamente nel Convento di S.Maria Novella, dove da un certo momento in poi cominciarono ad approdare fedeli della parrocchia dell’Isolotto per uscire dalle tensioni nate dallo scontro in atto tra la comunità locale e la curia vescovile.

Il fatto di raccogliere nella “confessione” il disorientamento, i dubbi, gli interrogativi e le perplessità di quella gente, mi spingeva ad entrare nel vivo del problema, fino a partecipare ai momenti di incontro di quella comunità, permettendomi a volte anche di intervenire timidamente ai dibattiti assembleari con qualche riflessione critica. E questo era già motivo di riprovazione tra i confratelli, tanto più che le questioni agitate in città anche dalla stampa diventavano oggetto di riferimento nelle omelie domenicali. Fino a quando un bel giorno grazie ai buoni uffici di confratelli zelanti, qualche mia espressione  non arriva agli orecchi del card. E.Florit, che decreta la cacciata da Firenze nonostante la presa di posizione in mia difesa del P.Provinciale P.Paolo Andreotti. 

Perché ricordare queste vicende? Perché non è bastato uno spostamento di luogo a dare per risolto un problema che era nato e aveva preso forma proprio dalla esperienza dell’Isolotto: e che alla fine - in seguito a consultazioni e confronti con lo stesso Padre provinciale - suggeriva una uscita concordata dalle strutture conventuali standard, per tentare una iniziativa libera di base partendo da zero - senza ruoli e senza mezzi - proprio in risposta alle istanze di “aggiornamento” che premevano e che richiedevano dedizione totale e discernimento  incondizionato. Tutt’altro che fuga o ricerca di comodo. Da dove nasce appunto l’esperienza denominata poi “Koinonia”, al momento in cui si è rivelato utile dare vita ad un ciclostilato di collegamento con questo titolo. E che poi - in mancanza di una base logistica di riferimento causa altri spostamenti - è diventato il “luogo virtuale” di incontro.

Non si è trattato  di costituire qualcosa di definito e di alternativo a pronta presa, ma di avviare e sperimentare sulla propria pelle un processo di relazioni e di ricerca aperto e tutt’ora in atto in cerchi concentrici di amicizia e di fede. Qualcosa che in un primo momento si è presentato dialetticamente in questi termini: “Credere al vangelo ci porta sempre più verso una chiesa che non sia solo di credenti senza essere comunità e non sia solo comunità senza essere di credenti”.

Questa formulazione - che sembra rimanere valida - non faceva altro che tradurre  la spinta di fondo che aveva portato a ripartire da zero, senza bisaccia e senza bastone: creare uno spazio di incontro, di confronto, di verifica e di cooperazione per quanti erano nella dispersione e nel disorientamento. E questo sulla base del “credere al vangelo” e sulla scia del Vaticano II, senza formule risolutive di nessun genere. Che è quanto ci stiamo dicendo anche ora!

È facile capire che l’impianto di Koinonia rimane questo, quasi come il DNA di una vita che si sviluppa e si ramifica in maniera carsica. In questo senso, il ’68 continua e si fa sentire  come istanza di emersione di correnti sotterranee; di rapporto dialettico tra quanto è informale e il sistema costituito; di portare il conflitto che è nelle cose a confronto aperto. A quel tempo si diceva “far esplodere le contraddizioni”, che non mancano mai, soprattutto quando sembra che il sistema abbia rivestito i panni del riformismo e della innovazione. Non a caso siamo stati avvertiti di guardarci da quanti “vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci” (Mt 7,15).

Non è cattiveria di nessuno, ma è la “logica del sabato” posta a principio.

Si direbbe che in questo campo siamo sempre daccapo, a dover ricominciare con nuove semine; con l’aggravante di un facile gratuito discredito gettato su tutto ciò che sa di ’68, inteso come ribellismo e come disturbo per ogni manovratore. Per cui ogni possibile conflitto si infrange come su muri di gomma di un sistema totalizzante pieno di risposte assordanti ad un problema lasciato in sordina.

Ma se un conflitto interno alla chiesa c’è - come è innegabile - non può essere sottovalutato e sottaciuto all’infinito, pena la falsificazione dei dati: esso però è oggi a parti invertite, e cioè da parte di una larga base conservatrice nei confronti del vertice supremo, diversamente appunto da come si presentava 50 anni fa. Mentre per tutti gli altri sembra che tutto finisca lì, preferendo essere tutti spettatori e stare a vedere l’esito della partita.

Il richiamo al ’68 forse  potrebbe servire a riportare in primo piano la necessità di un confronto dialettico a tutti i livelli, senza rimanere vittime di facili demonizzazioni da una parte, ma anche senza divenire vittime della propria sufficienza dall’altra. Perché il problema non è tra questo o quel contendente, ma è semplicemente che il vangelo sia creduto. Non c’è ’68 che tenga!

 

Alberto B.Simoni op

 

 

 

 

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