Koinonia Aprile 2018


MARIA DI MAGDALA E LA PASQUA (I)

 

Parte prima: Di fronte al vuoto della tomba

 

Va subito precisato che accanto alla figura della Maddalena, che conosciamo leggendo i Vangeli canonici, ve n’è un’altra che potremmo definire mitica. La raffigurazione della Maddalena come esempio classico di prostituta pentita viene dall’identificazione, del tutto impropria, con la “peccatrice” che bacia i piedi di Gesù, che li bagna con le sue lacrime e li asciuga con i suoi capelli, in casa del fariseo, episodio che Luca racconta subito prima dei versetti in cui si parla della Maddalena (Lc 7,36-50). E persino con la donna del capitolo 3 del Cantico dei Cantici, in cui si parla di come sul suo letto, per l’intera notte cerca il suo amato che non trova, e allora si alza e si mette a correre per le strade e per le piazze e dice a tutti: “Avete visto l’amore dell’anima mia?”. E infine lo trova, lo stringe forte a sé e non lo lascia più.

Di Maria di Magdala non si conosce molto e tuttavia tutti e quattro i Vangeli canonici a loro modo ne parlano. Luca dice che Gesù “se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio. C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni (Lc 8,1-3).

I rabbini dell’epoca non avevano seguito di donne, Gesù sì, avendo persino un rapporto di tenerezza molto immediato con esse, un rapporto che scandalizzava. C’erano in quegli anni farisei che venivano chiamati “quelli dalla testa rotta” perché ogni volta che incontravano una donna erano soliti abbassare la testa e facilmente andavano a sbattere contro qualcosa. E c’è da dire che le donne che seguivano Gesù non erano semplici simpatizzanti ma discepole, donne che erano state guarite e convertite. Insomma, in loro era entrata la buona notizia, il vangelo del Regno: il loro cuore era lì non altrove.

Qualcuno, non ricordo chi, ha detto che qualsiasi donna, a qualsiasi età, se è buona e capace di tenerezza, dona all’uomo l’infinito, l’esperienza di un oltre in cui riporre speranza. Di questo si dovrebbe forse tenere conto parlando della Maddalena e del suo rapporto con Gesù.

 

I vangeli di Matteo, Marco e Giovanni, ci dicono che la Maddalena era presente, insieme ad altre donne, durante la crocifissione di Gesù. E tutti e quattro parlano della sua presenza anche dopo la sua risurrezione. L’evangelista Giovanni riporterà addirittura uno straordinario dialogo che la Maddalena avrà con Gesù risorto davanti al sepolcro vuoto. E quello che lì appare di singolare è il pathos che le si sprigiona dentro non davanti alla presenza del Risorto ma davanti all’assenza del corpo del Signore, una testimonianza di speranza e di fede che dovremmo accogliere soprattutto noi oggi, noi che non abbiamo mai ancora visto né toccato il Signore pur desiderando di vederlo e toccarlo anche noi un giorno nel suo Regno. Maria di Magdala, come anche Maria di Betania, aveva nel cuore la parola del Regno e grazie a essa non si arrendeva di fronte alle difficoltà e al vuoto che le si presentava davanti.

È donna di speranza somma e tenace, è lei ad arrivare per prima alla tomba: “Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio”. È buio ma riesce già a vedere “che la pietra era stata tolta dal sepolcro”, un’evidenza che la spinge subito a gridare e correre. Per andare dove e da chi? Da Pietro e Giovanni. Per dirgli cosa? Per dirgli che “hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto! … Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. I discepoli perciò se ne tornarono di nuovo a casa”. Ma non la Maddalena, che si piantò invece lì, “vicino al sepolcro e piangeva” (Gv 20, 1-10). C’è da riflettere sul perché Gesù non si sia mostrato a Pietro e Giovanni ma a lei. Forse perché è quella che non solo ha visto e creduto prendendo coscienza di quel vuoto, ma che ha anche avuto il coraggio di restare avendo forse il cuore più scosso degli altri due di fronte all’assenza del loro Signore. Per accogliere e credere davvero l’incredibile, in certi frangenti, e per comprendere “la Scrittura”, occorre prima infatti lo scuotersi del cuore e delle viscere, gli occhi da soli non bastano. Pier Paolo Pasolini in alcuni suoi versi che hanno per titolo Una disperata vitalità, dice che la Maddalena è una che “butta il corpo nella lotta”. Di fronte alla tomba vuota solo lei ha il coraggio di restare, lei che è la più disperata e al tempo stesso, e forse proprio per questo, la più capace di speranza. La fede è lotta, “buona battaglia” da combattere fino all’ultimo, dice Paolo (1Tm 1,28).

E poi mai dimenticare che quella è la tomba di un fuorilegge, di uno che il potere politico e religioso di allora avevano unanimi condannato a morte senza appello e inchiodato alla croce in poche ore a furor di popolo; uno che era stato tradito persino dai suoi più fedeli amici, non solo da Giuda ma anche dallo stesso Pietro e per tre volte di seguito, mentre pativa sofferenze indicibili e tutti in cuor loro lo disprezzavano. E soprattutto non va dimenticato che era un uomo molto giovane, sulla trentina, un uomo appeso al patibolo nudo come un verme e che aveva sudato sangue per la paura alla sola idea di finire in quel modo (Lc 22, 42-44). Non solo, ma un uomo che era morto gridando il suo “perché?” a Dio stesso, dal quale si sentiva ingiustamente “abbandonato” (Mt 27,46; Mc 15,34).

 

La Maddalena - anche lei molto giovane possiamo pensare - piange perché non vede più il corpo del suo Signore, sia pure ridotto a cadavere. Un corpo così prezioso che Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo avevano seppellito “di nascosto” nella notte avvolgendolo “con teli, insieme ad aromi”, e la quantità di “mistura di mirra e di aloe” che usarono era enorme: “trenta chili” (Gv 39, 38-41). Ed è importante sapere che durante tutti i movimenti della sepoltura “lì sedute di fronte alla tomba, c’erano Maria di Magdala e l’altra Maria” (Mt 27,61).

Dunque è quel corpo così prezioso che la Maddalena sperava di incontrare tornando lì di nuovo “il primo giorno della settimana” (Gv 20,1). E mentre piangeva e si chinava verso la tomba, tutt’a un tratto vede due angeli uno dalla parte della testa e l’altro dei piedi, “dove era stato posto il corpo di Gesù”. La notizia della risurrezione qui non la danno gli angeli, qui gli angeli si limitano a fare una domanda a Maria di Magdala: “Donna, perché piangi?”. Piange perché ha capito che lì non c’è più il corpo del suo Signore. Non pensa lontanamente che sia risorto, pensa invece che l’hanno rubato, pensa quello che ognuno di noi avrebbe pensato. A lei interessa quel corpo morto e piange perché non sa dov’è, piange e si guarda intorno, cerca, non si dà pace. Non piange accasciandosi rassegnata col volto tra le mani, ma con occhi che cercano e viscere scosse: qui la disperazione non s’arrende ma è colma di speranza. Solo una speranza che non sia a metà del resto, è capace di credere l’impossibile, e proprio per questo contiene disperazione e domanda, come il grido di Gesù che muore in croce. Solo la disperazione infatti è capace di sperare in questo modo, di sperare l’impossibile, di sperare per un morto, per un corpo naturalmente destinato a putrefazione. Chi davanti a un morto si rassegna non spera più, tutt’al più prega per la sua anima. Nelle nostre campagne per dire che una cosa è impossibile e che non merita più alcuna attenzione, come un albero ormai seccato o un affare andato male, si dice che è come dare l’incenso a un morto. Ma la Maddalena non si rassegna e piange. Perché piange? Piango – dice - perché “hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto” (Gv 20,11-13).

In Israele, si badi, da quasi un paio di secoli prima di Gesù si aveva nel cuore la speranza della “risurrezione dai morti” nell’ultimo giorno, e c’è da credere che questa abitasse anche nel profondo del cuore della Maddalena, così come abitava nel profondo del cuore di Gesù (cfr. Lc 20,35-38). Qui, a prescindere dalla realtà della risurrezione, ci basti sapere che c’è intanto amore per un morto, per il corpo di un morto. La speranza che viene dal mondo biblico è tutta fondata sulla memoria, sul ricordo della concretissima vita e dei volti di coloro che sono morti. Amore, morte e massima attenzione al corpo dei viventi stanno indissolubilmente legati in Israele e nella più profonda esperienza della fede cristiana. “Poni attenzione al modo con cui uno si mette in rapporto con un morto – dirà Kierkegaard -. Se dobbiamo amare le persone che vediamo, dobbiamo amare anche quelle che abbiamo visto ma che non vediamo più perché la morte le ha portate via”, e questo perché “l’atto d’amore di ricordare un morto è un atto che è proprio dell’amore più libero” (Gli atti dell’amore).

 

Ma torniamo alla Maddalena, piantata davanti al vuoto di quella tomba, che con un movimento improvviso si volta di scatto e che pur vedendo Gesù, lì davanti a lei in piedi, non lo riconosce, confondendolo con un custode del giardino. Per questo Gesù subito le ripete la stessa domanda degli angeli: “Donna, perché piangi?”, aggiungendo: “Chi cerchi?”. E lei: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo”. E mentre dice questo continua a guardarsi intorno. È a quel punto che Gesù la chiama per nome: “Maria!”. E lei subito lo riconosce tornando per questo a voltarsi di scatto verso di lui dicendo “in ebraico: ‘Rabbunì!’ – che ‘significa: ‘Maestro!’”.

Di cosa sia successo in quell’istante il Vangelo di Giovanni non parla. Alcuni dicono, riferendosi a quello di Matteo, che lei si sia gettata ai piedi di lui per abbracciarli ed è in quel momento che Gesù le avrebbe detto: “Noli me tangere”, “Non mi trattenere”. In ogni caso, anche se non lo stringeva, la reazione immediata di Gesù lascia presagire in lei un improvviso desiderio di abbracciarlo, abbracciarlo come si abbraccia chi si temeva d’avere per sempre “perduto ed è stato ritrovato”, proprio come il padre della parabola del figliol prodigo (Lc 15, 21-24).

E però non si può: “Fermati!, non mi trattenere”, le dice Gesù, e anche motivando tale reazione: “Perché non sono ancora salito al Padre” (Gv 20,14-17). Qui, come sempre nel Vangelo di Giovanni, c’è da comprendere il notevole spessore teologico del racconto, da comprendere il motivo di questa assoluta necessità di salire al Padre che ha il Risorto, e della quale cercheremo di parlare nella seconda parte.

 

Daniele Garota

(1.continua)

 

 

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