Koinonia Marzo 2018


Dialogo e riforma camminano insieme

 

I cambiamenti di mentalità e di costume di questi ultimi cinquanta anni, cambiamenti che le nostre Chiese hanno di volta in volta subito o affrontato, sono ben noti a tutti. Pensiamo, negli anni ‘60 del secolo scorso, a una nuova soglia di “secolarizzazione” che ha instaurato un inedito sistema di valori, essenzialmente individualisti ed edonisti. Una “laicità” che la Chiesa cattolica ha finito per accettare all’epoca del concilio Vaticano II, ma che oggi è messa alla prova dalla presenza sempre più attiva dell’islam nella società civile e dalle rivendicazioni identitarie di un certo cattolicesimo politico; una crisi antropologica provocata dai progressi delle biotecnologie e che il magistero non ha ancora veramente compreso; la nascita di una “scena alternativa” e “conviviale”, sensibile alle sfide ecologiche, che non si aspetta gran che dalla tradizione cristiana.  Parliamo anche della costruzione finanziaria di un’Europa che rischia fortemente di perdere il suo cuore...proprio nel momento in cui si trova a confrontarsi col dramma di Lampedusa e col flusso ininterrotto dei richiedenti asilo che chiedono la sua ospitalità.  A prima vista, questi fenomeni molto diversi, non hanno legami fra loro, ma formano un paesaggio nel quale il cristianesimo europeo si colloca con molta difficoltà. Diventate infatti una minoranza, le Chiese d’Europa e dell’Occidente offrono l’immagine non soltanto di un gruppo stanco e diviso, ma soprattutto fuori dalla cultura del suo tempo: ex-culturato.

E tuttavia, in modo del tutto inatteso, è arrivata una cosa nuova:la più alta autorità della Chiesa cattolica, eletta da poco più di tre anni, reagisce a tutti questi cambiamenti con uno stile inedito che molti, cristiani e non cristiani, non esitano a definire come più “evangelico”. Tutti percepiscono istintivamente che la novità di questo papa non si limita a una questione di “look”. Il contenuto della fede cristiana e il suo modo di incarnarla personalmente, nel modo di parlare e di agire, si saldano e formano un’unità coerente e credibile. Con lui, linee di demarcazione, considerate fin ad oggi immutabili, fra i cristiani e fra i popoli, cominciano tutto a un tratto a muoversi. Sotto questo nuovo “proiettore pontificio”, vediamo che forze di rinnovamento e di creatività, latenti da anni, cominciano a rivelare le loro promesse di avvenire.

Nella sua esortazione apostolica Evangelii gaudium (2013), papa Francesco invita i cristiani e le loro istituzioni a una profonda “trasformazione missionaria” (cap. 1°). L’accostamento di questi due termini è inedito: la missione diventa criterio direttivo della “trasformazione” della Chiesa. È questo decentramento della Chiesa, la sua “uscita da sé”, o la sua missione, che per la prima volta sono eretti a criteri decisivi della sua riforma. Due anni dopo questo invito, la coerenza della linea d’azione di Francesco diventa chiara. Sarebbe stato possibile rivolgere a “ogni persona che abita questo pianeta” un’enciclica (2015) “sulla salvaguardia della casa comune” (Ls, 3), se prima il papa non avesse chiamato i cristiani a spazzare innanzitutto davanti alla porta della loro Chiesa, compresa quella della sua amministrazione centrale, la curia romana (allocuzione del dicembre 2014)? Ciò che è in gioco qui è la questione della credibilità, questione strettamente collegata alla proposta di fede che però, in questi ultimi anni, è stata senza dubbio un po’ persa di vista. Si può fare riferimento alla figura e all’intuizione pastorale di Giovanni XXIII e al Vaticano II, ma ora assistiamo a un vero e proprio cambiamento d’epoca. Papa Francesco è il primo vescovo post-conciliare della Chiesa di Roma che non ha partecipato al concilio e che viene da un altro continente. Egli presenta a noi europei uno specchio in cui possiamo vederci con uno sguardo buono, ma anche critico.  I nostri sterili dibattiti ermeneutici che hanno contraddistinto i due pontificati precedenti, per sapere se eravamo o no in continuità col Vaticano II, sono radicalmente superati dalla questione della missione che egli pone ai cristiani in questi nuovi termini: cosa possiamo offrire come “risorsa” all’umanità e a tutta la terra nel momento in cui si pone il problema della loro sopravvivenza? Certo, il Concilio resta la matrice della nostra Chiesa, ma il semplice fatto che l’enciclica sulla salvaguardia della nostra casa comune citi il Vaticano II solo tre volte (GS, 26, 36 e 63) dimostra che siamo entrati in un’epoca nuova. Come se Francesco lavorasse per rimettere ancora una volta la barca della Chiesa nel vento dello Spirito Santo.

Non c’è da stupirsi che questa complessa “manovra”, che necessita della collaborazione di tutto l’equipaggio (per restare nel linguaggio marinaresco), susciti aspri conflitti all’interno della Chiesa cattolica, fino ai più alti livelli. Questo dissenso sembra cristallizzarsi sul modo di governare del papa: il suo modo di “posizionare” la dottrina di sempre, mentre ricorda continuamente la sua “pastoralità”, codificata dal Vaticano II; il suo appello, all’interno di una chiesa ritornata ad essere molto monolitica, alla decisione pubblica riguardo a temi delicati quali il matrimonio e la famiglia, mentre il concilio aveva fatto valere la sinodalità a tutti i livelli; la sua maniera diretta di rivolgersi alle persone ridendosela del protocollo, cosa che fa parte di un movimento di de-sacralizzazione della funzione primaziale, del resto inaugurato dalla rinuncia di Benedetto XVI; la sua insistenza sulla priorità assoluta da dare ai più fragili sulla terra, non senza far traballare tutta una serie di alleanze, senza problemi di coscienza, tra cristiani e settori del sistema economico e finanziario internazionali. Se il XIX secolo disponeva di “tre bianchezze” - l’ostia, la vergine e il papa – come marchi  identitari di una cultura cattolica, la Chiesa di Giovanni Paolo II ne aveva aggiunti altri  Ciò che si rimprovera a Francesco da più parti è di relativizzarli tutti, per rendere più leggibile, e per questo più credibile e fecondo, proprio il punto centrale della fede cristiana.

È molto importante non sbagliarsi sul tipo di battaglia, perché si tratta proprio di una vera battaglia spirituale che dobbiamo combattere all’interno della Chiesa e delle nostre società.  Questa battaglia non ha come oggetto la persona del papa o il suo modo di governare, ma riguarda la capacità dei cristiani e delle loro Chiese di mettere il Vangelo del Regno di Dio a disposizione di tutta l’umanità e di tutta la terra, come “risorsa” di salvezza, nel momento in cui gli uomini e le donne che abitano sul nostro pianeta si trovano a fronteggiare sfide del tutto inedite.  Mettersi in questa disposizione d’animo richiede a tutti i cristiani una vera conversione, quella che è già delineata nel primo capitolo dell’Evangelii gaudium e ripresa, in prospettiva universale, nella Laudato si’. Invece di irrigidirci sui nostri marchi cattolici di identità, siamo invitati non a rinnegarli, ma a “relativizzarli”, al fine di rendere leggibile e credibile il cuore della fede in una prospettiva missionaria di “uscita” verso l’altro, e di individuare la forma ecclesiale da dare alla nostra fede in funzione di questa apertura totale.

È chiaro che questo tipo di “mutazione” implica un’“intesa” fra tutti e dunque un dialogo o addirittura una vera deliberazione a tutti i livelli della Chiesa, dal più umile consiglio parrocchiale alle grandi strutture sinodali, dato che l’insieme di questi complessi procedimenti deve essere supportato dall’autorità ministeriale. Imparare ad ascoltare veramente l’altro, il diverso, in questo consiste l’inizio della conversione, perché noi crediamo che la coscienza dell’altro è, per ciascuno di noi, un’istanza di cui tener conto nella formazione del proprio pensiero. Come potremmo invitare altri ad impegnarsi in un dialogo internazionale, nazionale e locale sull’ambiente e la giustizia, dialogo tra il mondo economico e il mondo politico, tra le scienze e le religioni (Ls, cap.V), se poi noi siamo incapaci di dialogare all’interno della Chiesa? Imparare a dialogare e conversione, o riforma, camminano insieme.

 

Cristoph Theobald

in Urgences pastorales, Bayard 2017, pp.10-14

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