Koinonia Marzo 2018


Intervista di Paolo Rodari al Card. Gualtiero Bassetti

 

“LA CHIESA NON È UN PARTITO MA OGGI I CATTOLICI 

CHIEDONO DI CONTARE DI PIÙ IN POLITICA”

 

“Non sono un politico e, del resto, la Chiesa non è certo un partito; soprattutto, mai deve “essere ossessionata dal potere”, come ha ammonito il Papa al Convegno ecclesiale di Firenze. Vivo, semmai, una tensione e un’aspirazione a discernere “i segni dei tempi” alla luce del Vangelo. Un discernimento che vedo orientato da tre concetti, che saranno la bussola del mio impegno: annuncio, unità e carità”.


Due mesi esatti dopo la nomina a presidente dei vescovi italiani, il cardinale Gualtiero Bassetti parla con Repubblica della sua missione tutta incentrata a far recuperare alla Chiesa la sua missione originaria. In cosa consiste?

“La prima missione dei cristiani consiste nell’annuncio del Vangelo nella sua radicale e rivoluzionaria semplicità; un annuncio gioioso, come ci ricorda l’Evangelii Gaudium, attento a promuovere la persona umana nella sua interezza. Vorrei, quindi, favorire con tutte le forze una spiritualità dell’unità, attraverso una maggiore collegialità tra i vescovi, un migliore raccordo tra centro e periferia e una maturazione della responsabilità dei laici. Quanto alla cultura della carità, la vedo come l’antidoto agli egoismi sociali, ai particolarismi e agli individualismi sempre più diffusi“.

 

Alcuni osservatori hanno letto la sua nomina come la fine del tempo della “Cei politica”. La fine insomma del “modello Ruini” basato sui valori e l’attivismo. È così?

“Non è un problema di modelli o di attivismo, quanto di avere la piena consapevolezza del cambiamento d’epoca che ci coinvolge tutti - credenti e non credenti - e che non possiamo soltanto subire. Alcuni anni fa, invitai in diocesi Zygmunt Bauman a parlare non solo della società liquida attuale ma anche del futuro: la mia sensazione è che siamo di fronte ad una “nuova questione sociale” che investe non solo la sfera economica, ma anche quella antropologica, culturale e spirituale. Penso, per esempio, alla produzione sempre più robotizzata e quindi sempre meno bisognosa di manodopera umana, alle nuove forme di comunicazione che cambiano in profondità le relazioni interpersonali, fino alle applicazioni biomediche sul corpo umano che arrivano a potenziarlo e a trasformarlo. Bisogna “ritornare all’uomo” come dicevano filosofi personalisti come Maritain e Mounier”.

 

Fino a prima dell’arrivo di Francesco i princìpi non negoziabili indirizzavano l’agire pubblico dei vescovi, poi non è stato più così. Certo, gli stessi vescovi e Francesco non li hanno negati, semplicemente non li hanno più messi in cima alla propria agenda. Con lei si continuerà per questa nuova strada?

“A mio avviso, è la questione della prospettiva personalista nel suo complesso che oggi va ripensata. Faccio un esempio concreto, riferendomi alla bioetica e alle migrazioni: attorno a questi due temi si sono formate delle correnti culturali diverse e persino delle opzioni politiche differenti. A me sembra, però, che sia sbagliato leggere questi temi in modo distinto e opposto: non si può, per esempio, difendere la vita nascente e poi sviluppare un sentimento xenofobico verso gli stranieri; oppure, farsi paladini dell’accoglienza dei migranti e poi promuovere l’utero in affitto. Ho la netta sensazione che ci sia un corto circuito destra/sinistra che non permette di capire che al centro di entrambi i temi - bioetica e migrazioni - rimane sempre l’uomo. Anzi, la persona umana, la cui dignità, lo voglio dire in modo molto forte, è sempre incalpestabile ed inalienabile! Bisogna difendere sempre la cultura della vita!”.

Nel 2011 i laici cattolici, con la benedizione delle gerarchie, provarono a ripercorre la strada del partito unico trovandosi a Todi. La cosa fallì. Secondo lei esiste ancora questa nostalgia di una presenza unita dei cattolici in politica? Ritiene sbagliato voler essere presenza anche visibile nella società?

“Non è assolutamente sbagliato essere visibili nella società, ci mancherebbe! Penso, però, che ci siano due equivoci di fondo. Il primo riguarda la presenza dei cattolici sulla scena politica: dall’unità d’Italia ad oggi, i cattolici hanno fatto politica in modi diversi e non solo attraverso la Dc. Le forme politiche, dunque, variano a seconda dei periodi storici e non c’è solo quella del partito unico. Senza dubbio, però, oggi tra molti cattolici si percepisce un bisogno, che a volte è un’aspettativa, di una nuova rappresentanza del mondo cattolico. Questo rimane un serio argomento di riflessione per il futuro”.

 

E il secondo equivoco?

“Riguarda la visibilità nella società: a me sembra che, nel vissuto quotidiano degli italiani, i cattolici siano estremamente presenti. La Chiesa italiana nonostante non sia più quella di un tempo è ancora una Chiesa viva e radicata sul territorio. Penso alle parrocchie, ma anche ai movimenti, agli oratori, alle scuole, agli asili, alle attività sportive, alle misericordie, alle mense dei poveri, alle Caritas e ad una miriade di altre opere sociali e religiose. Semmai tutte queste attività del mondo cattolico non sono visibili nei media, ma questo è tutto un altro problema”.

 

Quali sono secondo lei le priorità politiche del nostro Paese?

“Vedo questo Paese alle prese con tre grandi “priorità irrinunciabili”: il lavoro, la famiglia e i migranti. Tre priorità che, però, sono unite da un unico filo comune: l’Italia. Paradossalmente, la sfida più urgente è l’Italia stessa. Bisogna avere la forza, il coraggio e le idee per rimettere a tema l’Italia tutta intera, partendo da un Sud martoriato e dimenticato. È fondamentale avere una visione del futuro di questo Paese nel nuovo contesto mondiale, altrimenti non si può far nulla per i nostri poveri, che sono la vera emergenza nazionale. Nonostante ci siano segnali di ripresa per l’economia, non posso non essere preoccupato di fronte agli 8 milioni di poveri descritti dall’Istat, la metà dei quali non ha di cosa vivere. Sono giovani, sono donne e sono coppie; sono cinquantenni che hanno perso il lavoro e che sono stati scartati dal sistema produttivo. Se vogliamo veramente aiutare la “povera gente”, come la chiamava La Pira, bisogna rimettere l’Italia al centro dei nostri pensieri: con passione, idee e solidarietà”.

 

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