Koinonia Marzo 2018


L’amico Massimiliano Filippelli vuole condividere con noi la sua esperienza di pellegrinaggio a Compostella e ci ha fatto omaggio del suo Diario di viaggio “A Santiago “...hacer del camino una vida, y de la vida un camino” (Settegiorni editore). Lo ringraziamo, per l’”amicizia fraterna” con cui ci dedica il volume ma soprattutto perché anche la sua testimonianza ci rende solidali nel cammino di Abramo e nella sequela di Cristo. Ed è attraverso questo tipo di comunicazione che si alimenta la “koinonia”! È anche significativo il fatto che il Diario fa fare memoria di Arturo Paoli, a cui è  dedicato. Prima di poter attingere direttamente dalle pagine del libro ecco di seguito la presentazione che ne fa Lucia Gai e l’introduzione dell’Autore.

 

A SANTIAGO

“...hacer  del camino una vida, y de la vida un camino

 

Presentazione

 

Scrivere un diario, una memoria su quanto riguardi la propria esperienza e il proprio tempo non è cosa eccezionale. In tutti i momenti storici vi è stato chi ha sentito il bisogno di far conoscere il suo personale punto di vista su quanto lo coinvolgeva. Ciò appartiene al desiderio, costante e contraddittorio da parte dell’essere umano, di `fermare il tempo’ e il suo continuo, smemorante fluire, per ricercare dei punti fermi, come vere e proprie `origini’ per una riflessione esistenziale e storica. Per l’autocoscienza, abbiamo bisogno di `documenti’ e ` fotografie’ di quanto ci riguarda: un supporto necessario per misurare le distanze fra l’io inquieto , coinvolto nel flusso vitale inarrestabile, e quanto sentiamo di sottostante, di basilare cui fare ritorno ogni volta.

 

Essere e divenire in perenne dialogo, dall’antichità. Questa duplice dimensione è tanto più avvertibile quanto più la ‘memoria’ si eserciti su un’esperienza di per sé `dinamica’ come un viaggio o un pellegrinaggio, `ricerca’ per eccellenza mediata fra i due poli della partenza e dell’arrivo. Viaggiare, camminare anche in cerca di una meta religiosa - in questo caso, come in moltissimi altri casi analoghi, il santuario di Santiago di Compostella - significa già dal principio volontà di destrutturazione del precedente status (psicologico, sociale, affettivo e quanto altro) per cercare di acquisire un respiro umano più largo, una capacità di comprensione disegnata su orizzonti più ampi e su un’umanità diversa da condividere per crescere. Prevale oggi la dimensione antropologica ed esistenziale, talvolta anche culturale, nella maggior parte di coloro che s’incamminano per terminare la loro fatica nell’abrazo de l’apóstol. Difficile trovare oggi il desiderio di compiere un pellegrinaggio come talvolta in antico, come atto espiatorio e di culto. Il Camino de Santiago è oggi per lo più un sistema ben organizzato per convogliare in finibus terrae un’umanità la più diversa, spinta da motivazioni differenti, dai comportamenti più vari: un sistema sociologicamente interessante. Ma il Camino è anche, e sempre, un’esperienza vitale indimenticabile, compresa entro la coscienza di appartenere, per un certo tempo, ad un plurisecolare flusso di umanità che ha lasciato tracce, grandi e piccole, lungo i sentieri “della Stella”.

 

Massimiliano Filippelli ha compiuto, nel 2015, il pellegrinaggio a Santiago. Emergono, dalle sue pagine, le caratteristiche di questo suo itinerario, ad un tempo in rapporto con la natura, i paesi e le grandi città, i più diversi paesaggi iberici, alla ricerca soprattutto di contatti umani e di `dialogo’ con gli occasionali compagni di viaggio, ma anche preso come occasione di ricerca interiore. Massimiliano è uomo di molte letture, divenute esperienze interiorizzate. Molte `voci’ di pensatori, poeti, autori del presente e del passato egli ha portato e porta con sé: alcune hanno risuonato più forte di altre nel restituire per scritto la memoria del suo pellegrinaggio, ne sono divenute, antologicamente, per brani citati, l’incipit di ogni tratto percorso, come per una sorta di duplice tracciato, concreto e spirituale. Massimiliano porta con sé anche una forte coscienza religiosa, il costante bisogno di avvicinarsi al Trascendente, di ricercare all’origine le radici del Cristianesimo attraverso il contatto, ogni volta rinnovato, con i luoghi di culto anche i più umili e semplici, dove sedersi, in solitudine o con altri compagni di viaggio, di fronte all’Eterno. Per meditare. Per chiedere la grazia di un’umanità in cui si specchi l’esemplare figura di Cristo: ricorrente talvolta come immagine del Crocifisso doloroso dinanzi al quale, entro la solitudine dello spazio sacro, fermarsi a contemplare prima di riprendere il cammino.

 

Massimiliano non è andato a Santiago di Compostella per trovare la fede, per ottenere una conferma di dubbi metafisici, dinanzi alla solenne e misteriosa immagine dell’Apostolo, primo martire del Cristianesimo. C’è andato umilmente, ma concretamente, da uomo che porta con sé non solo lo zaino con la piccola raccolta delle cose necessarie per la vita quotidiana, ma soprattutto una viva attitudine all’approfondimento religioso. Una fede esigente, non aliena dal denunciare il tiepido conformismo dei nostri tempi, l’ipocrisia e la mancanza di `compassione evangelica’, una Chiesa che talvolta tiene cerradas le sue chiese per mancanza di adeguate tutele.

 

Questa fede s’impasta totalmente con la vita, diviene lievito interiore e inquietudine esistenziale. Ricerca coraggiosa che non ha paura nell’accogliere anche l’elemento destabilizzante. Più importante dunque, per Massimiliano, il cammino rispetto all’arrivo: metafora di un dover essere che non si placa neppure di fronte al traguardo - provvisoriamente - raggiunto, per cercare altri `cammini’ non più soltanto nell’eccezionale, ma anche nel `quotidiano’ che aspetta ogni ritorno.

 

Lucia Gai

 

 

Introduzione

 

Cosa mi ha spinto ad intraprendere il cammino di Santiago? Probabilmente quelle motivazioni che spingevano gli antichi pellegrini e altre più moderne o, come diceva Domenico Laffi, “inclinazione di genio piegantemi alla necessità di veder cose nuove, in parte allo spirito di pietà verso il glorioso apostolo S.Giacomo” (Viaggio a Ponente). Non lo so con precisione, posso dire però che dopo alcuni racconti di altri pellegrini e coincidenze che mi ricordavano la vecchia ruta jacobea, qualcosa è cominciato a muoversi dentro di me alimentando il desiderio di camminare verso quella meta. Dopo un periodo di immobilità ho sentito come un richiamo per scrollare quel senso di stagnazione e torpore simile a quella polvere di cui parla lo scrittore francese Georges Bernanos nel suo capolavoro, Diario di un curato di campagna: “è una specie di polvere, andate e venite senza vederla, la respirate, la mangiate, la bevete: è così sottile, così tenue che sotto i denti non scricchiola nemmeno. Ma basta che vi fermiate un secondo, ecco che vi copre il viso, le mani”. Così capita nella vita che devi scrollarti di dosso la polvere di un periodo che non senti più vivo, che hai bisogno di una sfida per rimetterti alla prova, perché dove sei non trovi quella sazietà che ti riempie il cuore. Hai bisogno di chiudere i libri e con umiltà metterti sulla strada, ancora e sempre mendicante di luce, di Grazia, anche se quando lo fai ancora non ci credi e sei preoccupato dalle contingenze fisiche, dal riposo, dal mangiare, dal trovare l’albergue, il percorso e quanto disterà il prossimo paese. Ma quando hai deciso di esserci, di essere un pellegrino è come ricominciare un altro capitolo della vita, darti una nuova possibilità, gustare la gratuità del nuovo giorno con i suoi doni e le amabili presenze che camminano con te. Camminare fuori dai soliti schemi, dai recinti convenzionali, dai pensieri che sempre in città ci inquietano con la loro assediante oppressione per sopravvivere. Del resto la nostra condizione ci porta ad uscire da noi stessi per incontrare l’altro, la natura, per essere persone disponibili ad accogliere la vita nelle sue manifestazioni, non chiusi nella nostra monade rimpicciolita dalle paure. Il gesto dell’abbandono è quello più liberante perché comporta un atto di fiducia che verrà ripagato con l’imprevisto, con l’incontro dell’inaspettato. Spesso le esperienze che più mi hanno segnato sono state quelle in cui ho lasciato la presa, perché “Tutto ciò che sei incapace di dare ti possiede” (Andrè Gide). Prima di partire, nell’estate del 2015, non ero sicuro di farcela, di dove sarei arrivato, quali cose portare, feci lo zaino diverse volte, e non sapevo quale poteva essere il più giusto fra quelli che avevo; una mia amica mi aveva prestato il suo, ma era troppo grosso così decisi di acquistarne uno di 45 litri che si rivelò molto funzionale. Avevo l’autobus da Firenze per andare a Marsiglia e da lì a Lourdes, però per andare a Firenze dovevo prendere il treno che era in ritardo, così mi accompagnò mia sorella. Mi sentivo emozionato e leggermente incosciente, sentivo che partivo per qualcosa che trascendeva il semplice viaggio. Forse ero già pellegrino prima di cominciare a camminare sulla strada per Santiago, avevo già assorbito lo spirito del viandante che cerca altri luoghi per sentirsi più vivo. Le motivazioni che spingono al pellegrinaggio sono molteplici, le ho trovate scritte nella Guida del pellegrino di Santiago di Paolo Caucci von Saucken, uno dei maggiori esperti sul pellegrinaggio jacopeo e non solo. Prima di tutto si va a Santiago devotionis causa. Il pellegrino sente fortemente una sorta di legame personale con il santo protettore del cammino e in un certo momento della propria vita avverte l’incontenibile necessità di raggiungere la sua “casa”, il luogo dove riposano le sue sante spoglie, il posto dove più di ogni altro è possibile stargli vicino. La devozione e la ricerca di un rapporto personale con San Giacomo, ma anche uscire dalla quotidianità per entrare in uno spazio sacro e misterioso, il piacere di girare il mondo sono i motivi ricorrenti. Molti pellegrini in epoca medievale prima di partire compilavano il proprio testamento anche perché non sapevano se sarebbero tornati. Trovo una giusta descrizione in quelle righe di quello che si agitava dentro di me, ma più che la devozione a San Giacomo, ancora debole, era un pretesto per uscire e mettersi in movimento come peregrinus, per andare verso una zona del desiderio, trovando pace.

 

Massimiliano Filippelli

 

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