Koinonia Febbraio 2018


Dalla relazione di Luigi Ferrajoli

all’Assemblea di Roma del 2 dicembre 2017

 

PER UNA CIVILTÀ SENZA GENOCIDIO

Un ribaltamento del costituzionalismo novecentesco

 

Stiamo vivendo, ha detto nella sua introduzione Raniero La Valle, un cambiamento d’epoca. Per la prima volta nella storia, l’umanità ha nel suo orizzonte la sua possibile auto-distruzione, generata dalle guerre nucleari o dalle catastrofi ecologiche. L’alternativa, ha aggiunto, è un nuovo principio attraverso le quattro alternative da lui indicate.

Io non sono un credente. Ma anche i non credenti sono evidentemente inclusi tra i “tutti” ai quali si rivolge la “Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri” che ha convocato questa assemblea. È questa, a me pare, un’assoluta novità, nella storia della Chiesa: la disponibilità di un’assemblea di credenti all’ascolto di tutti, inclusi perfino i non credenti. C’è poi un’altra novità, che in altri tempi sarebbe stata considerata un’eresia: è la tesi sostenuta da Raniero, secondo la quale uno dei mutamenti dirompenti dell’attuale cambiamento d’epoca sarebbe quella che ha chiamato “la fine della cristianità”, cui egli auspica che segua, come nuovo “principio”, l’affermazione e lo sviluppo del cristianesimo. “Fine della cristianità” vuol dire infatti fine della cristianità come identità escludente, superiore, privilegiata, che pretende di affermarsi contro, e al di sopra, di qualunque altra identità diversa. E questo, a me pare, è davvero il primo passo per il riconoscimento dell’uguaglianza, cioè del rispetto e dell’uguale valore e dignità di tutte le differenze – di lingua, di sesso, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, come dice l’articolo 3 della nostra Costituzione – che fanno di ciascuna persona un individuo differente da tutti gli altri, ma anche di ciascun individuo una persona come tutte le altre.

Ebbene, ciò che intendo mostrare in questo intervento è che l’alternativa indicata dalla laica “ragione” alle politiche genocide che rischiano di portare l’umanità all’autodistruzione non è diversa, nella sostanza, da quella di cui ha parlato Raniero. Essa consiste nella rifondazione del diritto e della politica sulla base del rinnovamento della scelta che fu compiuta dall’umanità nel secolo scorso, all’indomani degli orrori dei totalitarismi e delle guerre mondiali, e che oggi, come dicono il documento introduttivo a questa assemblea e l’appello al katécon, cioè alla resistenza, che abbiamo sottoscritto, è stata, da quelle politiche, negata e rovesciata. Quella scelta, operata nel quadriennio 1945-1949, fu la rifondazione del patto di convivenza delle persone e dei popoli – nelle Costituzioni nazionali, nella Carta dell’Onu e nelle tante dichiarazioni e Convenzioni internazionali sui diritti umani – sull’imperativo della pace, sul principio di uguaglianza, sulla dignità delle persone solo perché persone e sui diritti fondamentali di tutti, dalle libertà fondamentali ai diritti sociali alla salute, all’istruzione e alla sopravvivenza.

<…>

È questo e non altro il tempo della svolta

È difficile prevedere se una simile espansione del costituzionalismo e della democrazia oltre lo Stato riuscirà a svilupparsi, o se invece continueranno a prevalere la miopia e l’irresponsabilità dei governi. Due cose sono tuttavia certe. La prima è che questa espansione, contrariamente allo scetticismo dominante, non è affatto impossibile. Dobbiamo infatti distinguere la sua difficoltà e improbabilità, dovute ai potenti interessi che ad essa si oppongono e alla colpevole inerzia e incapacità dei governi, da una sua supposta impossibilità, onde evitare di deresponsabilizzare la politica e di legittimare l’esistente con il fallace argomento deterministico che ciò che accade non può non accadere. È sufficiente il fatto che tale espansione del paradigma costituzionale sia possibile, anche se improbabile, a non renderla utopistica e ad affidarla ai doveri e alla responsabilità della politica. È infatti questa possibilità, questo ottimismo metodologico – “questa speranza di tempi migliori”, scrisse Kant, “senza cui un serio desiderio di fare qualcosa di utile per il bene generale non avrebbe mai eccitato il cuore umano” – che rendono possibile il progresso e valgono a fondare e a dare senso all’impegno morale e politico.

La seconda certezza è quella espressa dal titolo di questo nostro incontro: “Ma viene un tempo, ed è questo”. È questo, e non altro, il tempo della svolta, proprio a causa dell’urgenza imposta dalle minacce catastrofiche che incombono sul nostro futuro. C’è peraltro una novità, proprio nelle sfide odierne alla ragione politica e giuridica, che consente una nota ulteriore di ottimismo. Queste sfide segnalano non soltanto i problemi politici più gravi che dovranno essere affrontati urgentemente con scelte radicali dirette a mitigare i mutamenti climatici, a disarmare il pianeta, a garantire la pace e a proteggere i beni e i diritti fondamentali di tutti. Esse rivelano anche un’interdipendenza crescente tra tutti i popoli della terra e l’esistenza, per la prima volta nella storia, di un nuovo tipo di interesse pubblico e generale, ben superiore a tutti gli interessi pubblici nazionali del passato: l’interesse di tutti alla sopravvivenza del genere umano e all’abitabilità del pianeta, idoneo a generare una solidarietà senza precedenti tra tutti gli esseri umani e a rifondare la politica, dall’alto e dal basso, come politica interna del mondo basata sulla massima attuazione del principio di uguaglianza. È questa la grande novità del nostro tempo. Al di sopra di tutte le differenze religiose, nazionali, politiche, ideologiche e culturali, al di là delle stesse disuguaglianze economiche e dei tanti conflitti che dividono l’umanità, la minacce generate dall’attuale sviluppo ecologicamente insostenibile e dai tanti armamenti micidiali – nucleari, chimici, convenzionali – segnalano anche un’opportunità senza precedenti: la possibilità di rifondare la politica e le garanzie dell’uguaglianza, della pace, della democrazia e dei diritti umani sulla base della necessaria interdipendenza mondiale da essi generata e della percezione, destinata a divenire sempre più diffusa, dell’umanità come un’unica nazione accomunata, proprio dai pericoli in atto, da un nuovo e generalizzato sentimento di appartenenza di tutti alla medesima condizione e perciò alla medesima comunità.

 

Luigi Ferrajoli

 

 

.