Koinonia Febbraio 2018


Un libro di Luca Diotallevi*

 

RELIGIONE CONFESSIONALE COME ESITO

DELL’IMPATTO DELLO STATO SUL CRISTIANESIMO

 

La forma storicamente determinata di religione che entra in equazione con il cristianesimo, e che con il cristianesimo viene a intrattenere un rapporto di duplice reciproca egemonia, è la religione confessionale. Il teatro della prima affermazione del cristianesimo confessionalizzato è l’Europa continentale centro-occidentale del XVI e XVII secolo. Pur dovendo continuamente confrontarsi con crisi e sfide, eccezioni e sfumature, questo fenomeno dominerà la scena religiosa, e attraverso questa l’intera scena sociale. Dominerà sia le manifestazioni che l’autocomprensione del cristianesimo.

In estrema sintesi, il cristianesimo confessionalizzato è l’esito dell’impatto dello Stato sul cristianesimo. La religione confessionale è ciò che resta del cristianesimo dopo l’impatto su di esso dello Stato. Le confessioni cristiane, nelle loro versioni ufficiali, sono ciò che resta del cristianesimo e della Chiesa dopo l’impatto dello Stato sull’uno e sull’altra. Il primo diviene solo-religione, in quanto religione confessionale, e la seconda diviene un’organizzazione, un’organizzazione religiosa di tipo ecclesiastico (un tipo apparso allora per la prima volta).

Di qui si forgia tanta parte di una cultura ancora viva e influente tra la fine del XX e gli inizi del XXI secolo. Il modo più semplice per rendersene conto, come già accennato, è prestare un poco di attenzione alla torsione subita allora dalla nozione di secolare - testimoniata dal significato del tutto nuovo che questa radice acquista nel neologismo «secolarizzazione» - e conservatasi sino a oggi. Non a caso secular è il termine inglese cui si ricorre per tradurre in quella lingua il francese laicité. Saeculum, invece, sino alla vigilia della secolarizzazione era stato il temine con cui il cristianesimo latino aveva indicato l’arco di tempo dalla creazione alla parusia, il quale, nel suo segmento che va dalla croce alla seconda venuta del Messia, è caratterizzato dalla soglia massima di instabilità e di conflitto, da una guerra ancora in corso anche se dall’esito deciso, tra il Signore risorto e le potenze, i troni, le dominazioni e i principati di questo mondo. Dal XVI XVII secolo, invece, e ufficialmente, secolare prende a indicare per antonomasia lo spazio del potere politico sovrano, lo spazio necessariamente de-limitato dello Stato, che controlla senza eccezione la regio (del cuius regio, eius et religio). In questo modo «secolare», se prima indicava un tempo, ora indica uno spazio; se prima era sinonimo di varietà e conflittualità, ora è sinonimo di piatta uniformità e di ordine; se prima era sinonimo di poteri, ora è sinonimo di potere.

Entro lo spazio secolare e tra i meccanismi di questo costrutto politico che tutto regola e comprende, alla religio è affidato principalmente un compito: il disciplinamento sociale. Con la propria confessionalizzazione, le organizzazioni e le istituzioni cristiane (nelle diverse varianti locali) conservano, ma ora per delega, il monopolio sulla religione e molta rilevanza extra-religiosa. Per delega: dunque con ben poca autonomia, non solo extra-religiosa, ma anche sul religioso. Le organizzazioni ecclesiastiche restano sotto lo «Stato», e al suo seguito arrivano quasi ovunque esso arriva, e con la sua protezione e per suo conto anche oltre. Con gli Stati confessionali la società è cristiana in un modo diverso da come lo era con la Res publica christiana.

La completa, stravolgente, risemantizzazione di «secolare» è traccia evidente della trasformazione strutturale che istituisce lo Stato e il suo mondo. La stessa nozione di religione è nozione secolare. Religioso non è propriamente l’opposto di secolare. Religioso è la qualità di ciò che il secolare lascia essere del cristiano dentro e sotto la propria egemonia, dentro un mondo secolarizzato, dentro un mondo di proprietà dello Stato: poca che sia la quantità del cristiano, o molta o anche nulla (con la laicità) a seconda dei casi. Perfettamente laico (e la laicità o è perfetta o non è) è infatti uno spazio pubblico in cui, per mezzo dello Stato, resta ancora qualcosa di religioso, ma nulla di cristiano. Una sinossi tra gli Effetti del Buon Governo in città e il frontespizio del Leviatano di Thomas Hobbes, consente persino di «vedere» la differenza di cui stiamo parlando.

Di per sé il passaggio appena descritto, lo si chiami secolarizzazione (per sostituzione) o confessionalizzazione, non implica alcuna formale negazione della trascendenza. Implica semplicemente (si fa per dire) la negazione di un trascendente che abbia un carattere almeno potenzialmente eversivo rispetto all’ordine sociale e particolarmente all’ordine pubblico imposto dallo Stato. È un trascendente che non sovverte, ma che fonda: un trascendente alle dipendenze dello Stato, e poi anche degli ecclesiastici.

Entro margini angusti, alle organizzazioni ecclesiastiche localmente monopoliste resta ancora un po’ di margine per comprensioni diverse del trascendente e per la negoziazione dei rapporti di forza con organizzazione dello Stato. Ciò è vero per lo Stato più confessionale, come sarà vero meno di tre secoli dopo per lo Stato laico, che tenterà di produrre in proprio la religione di cui abbisogna invece di acquistarla da organizzazioni ecclesiastiche. E ovviamente è vero per tutte le figure intermedie.

Un’ultima notazione. Quando, come si è fatto sin qui, si parla di impatto dello Stato sul cristianesimo non si deve intendere un’aggressione o una qualche azione sopravvenuta dall’esterno. Il cristianesimo e soprattutto il ceto ecclesiastico sono una parte del terreno di cultura dell’idea e dell’avventura della sovranità statuale, della quale è parte la confessionalizzazione della religione e del cristianesimo. Si può affermare che il cristianesimo europeo del XVI e XVII secolo non produce solo questo, ma ciò non significa che Stato e confessionalismo non abbiamo importanti radici nel cristianesimo. Stati e confessioni sono frutti di un’alleanza nuova e fortemente gerarchizzata tra pezzi del mondo cristiano di XV e XVI secolo. Con l’affermarsi di questo progetto il cristianesimo perde molto, ma mantiene anche molto e, non lo si dimentichi, il ceto ecclesiastico guadagna sia un prestigio e un peso sociale che prima non gli era garantito ex lege sia un controllo sulla Chiesa cui in precedenza non poteva neppure ambire. In questo passaggio nasce il clericalismo moderno, e non è difficile spiegarsi come mai a questo mondo e a questo ruolo il clero e i suoi clienti più stretti siano restati sino a oggi tanto fedeli l’uno all’altro. Il laicato che tra Ottocento e Novecento cominciò a rivendicare i propri diritti non dico nella Chiesa, ma anche solo al di fuori dello spazio religioso, di norma ha incontrato prima la resistenza degli ecclesiastici che non quella dei tutori dell’ordine pubblico dello Stato sovrano. Ancora una volta, la vicenda di don Luigi Sturzo ne rappresenta una sintesi con pochi e forse nessun eguale.

 

Luca Diotallevi

*Fine corsa. La crisi del cristianesimo come religione confessionale, EDB 2017, pp. 99-105

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