Koinonia Gennaio 2018


IL  CULTO  COSMICO (II)

 

Esaminando più da vicino le forme di culto nella storia dell’umanità, Panikkar parla di tre forme, secondo i tre concetti di etero-nomia, auto-nomia e onto-nomia. Si tratta di tre atteggiamenti fondamentali, religiosi e umani che corrispondono a tre gradi antropologici di coscienza. Ognuna di queste tre concezioni ha sviluppato nel corso dei secoli, istituzioni valide.

Nella prospettiva eteronomica sacra ogni atto di culto esprimerà, in una forma o nell’altra, i valori fondamentali dell’adorazione, dell’eternità, presupposto metafisico della realtà, e del sacrificio che, nella sua concezione cosmologica è la ri-attualizzazione dell’atto primordiale attraverso il quale il mondo, l’uomo, il tempo vennero all’esistenza.

Nella forma dell’autonomia profana,  nata soprattutto come reazione agli eccessi della prima, il culto non è più un mezzo per controllare l’ignoto e il mistero, per placare la collera divina e invocare la sua misericordia, ma nasce dal riconoscimento della dignità dell’uomo e del suo ruolo di collaboratore per instaurare una vita migliore sulla terra. La temporalità è la grande conquista dell’autonomia, l’aver scoperto che la temporalità è reale, non una tappa transitoria fra la non esistenza e l’eternità. La liturgia si muta in opera disinteressata al servizio degli altri.

 Come sintesi e unità armonica dei due atteggiamenti precedenti, Panikkar propone l’ontonomia cosmo-teandrica, dimensione che si propone di esprimere il riconoscimento delle norme proprie a ogni ambito di attività, alla luce dell’insieme in quanto si fonda sul presupposto che l’universo è un tutto dove tutto è collegato. Il dominio del sacro non si definisce più in opposizione al secolare e il culto non avviene più a detrimento delle attività umane. I tre valori principali dell’ontonomia cosmoteandrica sono l’amore, la tempiternità e la partecipazione mistica al tutto. Trasparente ci sembra il richiamo al Corpo cosmico di Cristo che per Teilhard coincide con l’universo, come pure facile è il collegamento alle scoperte della  scienza moderna della fisica quantistica. L’intuizione fondamentale della tempiternità scaturisce dall’esperienza del presente in tutta la sua profondità. Non è né eternità (nozione troppo oggettiva), né temporalità (troppo soggettiva). Tutta l’esperienza umana si realizza nel tempo, ma non è da esso limitata. La parola partecipazione esprime quella visione cosmica che contempla l’interdipendenza e l’inter-penetrazione di tutte le cose e la loro mutua relazione con le strutture più profonde della realtà. Esistiamo nella misura in cui partecipiamo del tutto e consentiamo a questo tutto di esprimersi attraverso di noi.  Siamo persone, centri operativi in un fascio di relazioni.

 

Se il messaggio cristiano significa qualcosa, è questa esperienza della realtà cosmo-teandrica di ogni essere, della quale Cristo, vero Dio e vero Uomo, è il paradigma.  Il velo di separazione fra Dio, uomo e cosmo è stato squarciato e l’integrazione della realtà inizia con la redenzione dell’uomo. Forse questa idea dell’integrazione alla luce della redenzione può influenzare la riforma del culto ai nostri giorni. A proposito della celebre Messa sul Mondo, Teilhard de Chardin afferma, in una lettera, che si sente più a suo agio quando celebra così la Messa nei deserti, di quando la celebra normalmente in una chiesa. Non lo sente affatto come un limite.

Perché il culto possa essere rinnovato e in quale direzione, Panikkar dà alcuni importanti suggerimenti. Il primo riguarda l’integrazione del culto nella vita umana ordinaria. L’eucarestia deve recuperare il suo simbolismo di pasto: il mangiare è l’atto più ‘ordinario’ che ci sia e, nello stesso tempo, mangiare alla presenza di Dio è una delle rappresentazioni più antiche dell’alleanza (Es. 24, 9-11). Il culto deve accentuare il suo aspetto di festa: l’essere umano ama far festa.  Allo stesso modo i sacramenti santificano e consacrano altri episodi centrali della vita umana come la nascita , il matrimonio, l’iniziazione. Queste non devono più essere cerimonie ritualistiche, spesso anacronistiche, ma devono stare in relazione reale con l’esistenza umana ed avere un significato comprensibile. Il culto deve nuovamente impregnare la vita umana e darle pienezza di senso, esaltando il significato di questi atti umani che, in questa nuova prospettiva, possono procurare all’uomo la forza necessaria (la grazia) per vivere in pienezza la vocazione umana.  L’uomo può così essere reso consapevole del suo ruolo indispensabile nella trama dell’universo e nell’esistenza di tutta la realtà. Una delle funzioni più affascinanti del culto, suggerisce Panikkar, potrebbe consistere nel trasformare l’epoca tecnologica in una tecno-cultura, non disumanizzante, ma autenticamente umana. Teilhard de Chardin  parlerebbe di ‘amoriser’ la Noosfera.

Analogamente al primo suggerimento, si parla di introduzione della vita nel culto. Essendo il culto un atto umano, i simboli devono essere reali e trasparenti: pane, vino, acqua, abbraccio di pace. Non devono essere atti puramente formali, ma essere in grado di porre fine ad ogni forma di odio e portare un cambiamento visibile di vita. La cosa urgente, oggi, in ambito cristiano, è, per esempio, far diventare il pane consacrato pane reale, la pace liturgica pace politica, l’adorazione del Creatore rispetto per la creazione, la comunità cristiana autentica fraternità umana. Da un lato il culto deve penetrare la vita umana ordinaria e dall’altro la vita umana reale deve dare vitalità e significato al culto. Tale simbiosi è diventata vitale.

 

Una caratteristica tanto fenomenica quanto teologica di ogni atteggiamento religioso maturo consiste nell’aspirare a una certa validità universale, senza mitigare la sua esigenza di essere concreta, nell’alveo del significato filosofico-teologico dell’Incarnazione. Questo fenomeno, la discesa dell’Assoluto nel relativo, sembra essere presente, con diverse terminologie, in quasi tutte le tradizioni religiose. I due aspetti, l’universalità e la concretezza, apparentemente contraddittori, devono essere presenti ambedue nelle nuove forme di culto, se non vogliamo fare del culto una faccenda privata. Ora, quali sono i simboli universali oggi? Esiste un simbolo universale della pace, ad esempio? Questo nuovo culto dovrebbe essere fatto di gesti concreti e preghiere condivise. Il compito è difficile, ma imperativo; non esiste vera comunione umana se non diventa comunicazione religiosa nel senso ampio di religione (re-ligo). Se la religione possiede un valore, afferma Panikkar, esso è significativo solo a questo livello. D’altra parte, egli dice, scoprire simboli universali non è impossibile perché una è la natura dell’uomo, come pure l’avventura umana, nonostante le discrepanze culturali e religiose. Bisogna cercare convergenze esistenziali fra le persone. Lo sviluppo integrale dell’umanità ci porta verso un contesto planetario; la coscienza ecologica e l’interesse per la terra, per la sua sopravvivenza, può essere un esempio di culto universale.

La religione è stata troppo spesso identificata con l’ortodossia, ora bisogna porre l’accento sull’ortoprassi, cioè sulla realizzazione effettiva dell’azione giusta che conduce l’uomo, direttamente o indirettamente, al suo pieno sviluppo. Nella Teologia della liberazione, ad esempio, la liberazione diventa una liturgia. Allora possiamo partecipare a un rito o realizzare insieme un atto significativo, anche se non condividiamo lo stesso sistema dottrinale. Le religioni (Panikkar pensa in particolare al cristianesimo e al buddismo) hanno sviluppato tante forme di culto nei secoli, pellegrinaggi, feste popolari...(penso al fascino del Cammino di Santiago),  ma non sono legate a nessuna di esse; così come si sono espresse in ogni epoca attraverso forme religiose del contesto, saranno capaci di trovare la loro espressione in forme secolari e in altri riti sacri idonei. Questo deriva da un loro dinamismo interno che cerca l’incarnazione: soltanto il trascendente può incarnarsi in qualunque situazione. Panikkar non vuole negare ai seguaci di qualsiasi religione il diritto/dovere di praticare i riti secondo le norme stabilite dall’autorità e dalla tradizione, ma oggi l’esigenza più grande per ogni religione consiste nell’esprimere una universalità umana all’interno dei propri concreti valori. Non si vuole indebolire nessuna religione, ma si apre la strada ad ognuna perché realizzi la propria missione nel mondo d’oggi e si apra a una reciproca fecondazione.

 

La devozione, in tutte le sue forme, sarà sempre un carattere fondamentale del culto, quale espressione dell’emotività e della sensibilità umane. Ogni espressione d’amore, di lode, di riconoscenza, di adorazione e celebrazione appartiene a questa categoria; le arti, soprattutto la musica, hanno un’estrema importanza in questo contesto: non va dimenticato che l’origine delle arti è sacra.

Un altro carattere fondamentale del nuovo culto sarà l’amore per la conoscenza. L’uomo è un essere dotato d’intelletto che vuol conoscere, studiare, decifrare il mistero della realtà. Anche lo sforzo scientifico, tenace e magnifico nel mondo d’oggi,  può e deve essere assimilato in un atto di culto. E anche in questo campo, Teilhard ha aperto la strada. La contemplazione è una forma di conoscenza che porta all’intuizione: spesso alla base delle più grandi scoperte scientifiche c’è un’intuizione, un’illuminazione.

In ogni culto autentico esiste una dimensione radicale che attinge alle radici del secolare che è il cuore stesso del mondo. Il culto non è né collettivo, né individuale; è personale, intendendo per persona quel centro, incrocio reale di linee karmiche che fa scoccare una scintilla di coscienza. Il culto è l’atto mediante il quale la persona non soltanto supera l’egoismo e l’isolamento, ma anche l’attivismo infruttuoso e la sterile superficialità di un’esistenza inautentica. Questo aspetto del culto, tra l’altro, può neutralizzare gli effetti nocivi dell’inflazione dell’informazione che disperde e anestetizza. Nel culto si scopre la natura sacramentale della realtà (la teilhardiana ‘diafania’ di Cristo in ogni cosa), si scopre che l’uomo è profeta del nostro universo, il celebrante del sacramento della vita (la freccia dell’evoluzione), l’ambasciatore del Regno dello Spirito. Il culto è l’atto che, con l’accettazione della nostra condizione umana, ci pone sulla strada della redenzione, mediante una trasfigurazione che il cristiano sa essere visibile soltanto in momenti eccezionali (il Tabor), ma che illumina e sostiene sempre quell’immensa esperienza di sentirsi un essere cosmo-teandrico.

 

Donatella Coppi

(2. fine)

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