Koinonia Settembre 2017


ALLA CHIESA DI DIO CHE È IN PISTOIA SCRIVI...

 

La chiesa di Pistoia è salita in questi ultimi tempi agli onori della cronaca, riguardo all’operato del parroco don Massimo Biancalani a favore di ragazzi immigrati e a qualche suo messaggio, che gli ha attirato attacchi e offese. Tanto che il vescovo F.Tardelli è dovuto intervenire a sua difesa, ricordando che “non è comprensibile che all’interno delle nostre comunità parrocchiali si coltivino sentimenti xenofobi, razzisti o anche solo di chiusura. Se questo accade, occorre fare tutti un bell’esame di coscienza perché evidentemente non abbiamo capito molto del Vangelo”.

Se la cronaca ha fatto il suo corso nel giro di qualche giorno, la chiesa pistoiese deve continuare ad  interrogarsi e ad ascoltare ciò che lo Spirito le dice  in questi frangenti: a comprendere meglio il vangelo!. Anche facendo memoria che nel febbraio 2015 il Vescovo Terdelli aveva  scritto una “Lettera alla Chiesa di Dio che è in Pistoia: Lasciamoci guidare dallo Spirito”, a proposito della quale mi chiedevo - in un mio commento -  se “il riferimento alla realtà storica e al contesto sociale di questa Chiesa sia un restringimento di orizzonte in senso attivistico di quanto lo Spirito dice, o non debba essere invece assunzione e animazione evangelica di questa porzione di Popolo di Dio, al di là della pratica e assistenza religiosa negli spazi e nei tempi previsti”.

Se ora si  dice che forse “non abbiamo capito molto del Vangelo”, non vuol dire che siamo davanti ad un codice ormai acquisito in base al quale giudicare fedeltà e comportamenti. Ma c’è da interrogarsi se e quanto abbiamo percepito, recepito e compreso del vangelo e di quale vangelo. E soprattutto c’è da chiedersi se viene trasmesso così come l’abbiamo ricevuto quale Parola di Dio, o non piuttosto in qualche versione accomodatizia e standardizzata, che lo relega nell’immaginario collettivo come ferro vecchio. Sta di fatto che ripetuti richiami  alla sua centralità - che ci vengono dall’alto e da ogni parte - cadono per lo più sul terreno della  assuefazione o dello spiritualismo individuale e non portano a quel “cambiamento d’epoca” che peraltro invochiamo.

Dobbiamo peraltro registrare che, sempre nell’ambito della chiesa pistoiese, si è recentemente levata la voce di mons. Giordano Frosini, con “Un invito urgente all’intero mondo cattolico” (Settimanale La vita 29  - 23 luglio 2017): un accorato appello “a ritornare sui propri passi, a giudicare con estrema franchezza il danno che si sta consumando sotto i nostri occhi, con le evidenti e innegabili responsabilità della comunità cristiana, che sembra avere dimenticato gli orientamenti di un passato fecondo e luminoso che ormai rimane alle nostre spalle”.

Egli lamenta e denuncia il fatto che tutto un patrimonio dottrinale sia stato dimenticato, “una vera e propria follia che ha danneggiato non solo la chiesa ma l’intera società”, tanto che “l’eredità che stiamo raccogliendo è quella di un popolo sparpagliato e senza punti di riferimento che nemmeno sembra rendersi conto di quanto sta avvenendo intorno a lui e dentro di lui”. La prospettiva di mons.Frosini, per la verità, è prevalentemente politica, tanto che “in questo clima rarefatto, politici autenticamente cristiani cercansi, mentre crescono idee e movimenti che di cristiano hanno poco o nulla. C’è di che battersi il petto”.

Assodato che “a tutti, gerarchia e laicato, si impone un atto di umiltà e di riconoscimento delle proprie colpe e trascuratezze”, ecco i suggerimenti finali: “Le conclusioni sono facili, almeno sulla carta. Si riprenda coscienza delle responsabilità formative da parte della comunità cristiana. Ognuno in questo settore riprenda il posto che gli spetta di diritto e di dovere. Più che un impegno dei singoli, è un dovere  dell’intera comunità”.

L’istanza di fondo è quella di un risveglio, di ritrovare la strada perduta, di una ricollocazione socio-politica della chiesa, ma poi che succede?  C’è l’ansia di tornare al centro. Ma in realtà ci si ferma a qualche cerchio periferico e non si arriva al cuore  di quella “prima conversione necessaria” invocata “perché purtroppo l’esperienza passata e recente ci mostra con dolorosa chiarezza che in molti, in troppi, perfino in coloro che appartengono alle categorie dirigenziali del corpo della chiesa, non c’è la persuasione della bontà, della bellezza, della necessità, della superiorità di un pensiero sociale derivante dai principi fondamentali della rivelazione cristiana”.

In altre parole, ci si ferma ad evocare un “mondo cattolico” che è finito ma che al tempo stesso dovrebbe risuscitare se stesso  e ridare vita ad una cristianità perduta. Si guarda cioè retrospettivamente ad una forma storica di chiesa, epigono dell’era costantiniana e dell’epoca tridentina e si lascia in secondo piano la prospettiva di una chiesa ad impronta evangelica, che è la vera sfida a cui far fronte. La situazione critica che mons.Frosini presenta è solo frutto di dimenticanza, noncuranza, sottovalutazioni e abbandoni o anche effetto di implosioni interne di un sistema formalmente monolitico e materialmente eterogeneo? Il “mondo cattolico”, ad esempio, quanto rende la totalità della chiesa? Basta ripristinarlo per poter entrare in un cambiamento d’epoca?

Anche in questo caso, dunque, si ripresenta la questione più volte segnalata del modello unico di Chiesa, che porta alla omologazione, alla uniformità e al conformismo, mentre di suo la chiesa è duale e molteplice nella sua stessa natura, e solo se riesce a sviluppare questa sua dialettica interna può realizzare la sua unità. La chiesa ”una” non è “chiesa unica”, così come uno ma non unico è il vangelo! Per cui non c’è da identificarla con una sua forma storica o come un “già” definitivo, ma viverla sempre come un “non ancora”. E questo è possibile solo grazie alle “tre misure di farina” (Mt 13,33; Lc 13,21) in cui immettere il lievito. Non c’è una chiesa solo e tutta lievito, così come non è da pensare che sia tutta e solo farina! Si tratta di una realtà composita, unitaria ma “risultante di un duplice elemento, umano e divino”: “Ma la società costituita di organi gerarchici e il corpo mistico di Cristo, l’assemblea visibile e la comunità spirituale, la Chiesa terrestre e la Chiesa arricchita di beni celesti, non si devono considerare come due cose diverse; esse formano piuttosto una sola complessa realtà risultante di un duplice elemento, umano e divino” (LG, n.8). E questa duplicità non può non risultare, se davvero lo si vuole!

Per evidenziare e recuperare questa distinzione reale che c’è dentro il corpo ecclesiale, forse si può parafrasare quanto viene affermato con riferimento alla eucarestia: se la chiesa fa il vangelo, è anche vero che è il vangelo a fare la chiesa. Sono due versioni di chiesa complementari e interattive, ma non sovrapponibili. Ed è proprio qui il nodo da sciogliere: come coordinare e far interagire dialetticamente questi due diversi modelli di chiesa, ad evitare che questa si presenti sempre in un’unica forma, quella gerarchica e sacrale, che incarna sì il vangelo ad intra, ma non offre di sé una immagine evangelica ad extra.

Tornando alla chiesa locale che è in Pistoia, a cui mons. Frosini rivolge il suo urgente invito, è a tutti palese quale sia la sua immagine pubblica a carattere cultuale e socio-culturale, nonostante che la sua presenza “politica” sia ritenuta in crisi. Ma dove sono i tratti di una chiesa di secondo tipo, e cioè ad impronta evangelica? Se per il momento questo interrogativo non appare privo di senso e viene fatto proprio da qualcuno, è il massimo che si possa ottenere. Per una risposta d’insieme c’è sempre tempo!

 

Alberto Bruno Simoni op

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