Koinonia Settembre 2017


Assisi, 24-27 agosto 2017

 

Dare un futuro alla svolta profetica di Francesco

 

1 - Per quattro intense giornate, nella Cittadella di Assisi, oltre 200 partecipanti (età media alta) hanno lavorato per comprendere e compiere nella chiesa la svolta profetica proposta da papa Francesco. L’esperienza è stata impegnativa, faticosa, anche drammatica, perché sappiamo che Francesco può fallire. Abbiamo visto che il conflitto è tra vangelo vissuto e autosicurezza dell’istituzione. Il lavoro di Assisi vuole proseguire in varie parti d’Italia. Francesco ha acceso speranza in molti, credenti e no.

Chi ha vissuto da giovane la primavera del Concilio vive ora la primavera di Francesco – dice Enzo Bianchi - , e compie con gioia il proprio cammino di vita. Francesco non fa contrapposizione, ma propone una chiesa inclusiva. Vuole avviare processi, non imporre riforme, e soprattutto vuole che al centro della chiesa sia Gesù, non il papa. Ha ridato slancio al cammino ecumenico, al dialogo e confronto con la modernità, ha posto la misericordia oltre la legge. Su questo punto incontra l’opposizione più dura, come fu per Gesù, crocifisso non per volontà del Padre, né per scontare i nostri peccati, ma condannato dall’autorità religiosa per l’immagine di Dio non conforme, insopportabile ai religiosi. Impegnato dal nome che ha assunto, Francesco invita gli scartati, rende i poveri soggetto di magistero, cattedra da cui la chiesa è evangelizzata. Siamo capaci, noi chiesa, di questa conversione? Si dice che Francesco non è amato dalle gerarchie, ma dalla gente. Però ci sono chiese del campanile che non lo sopportano, perché non riconoscono nello straniero il sacramento di Cristo. Se Francesco percorre le vie del vangelo ci sarà crisi nella chiesa, perché le potenze intervengono, dicono «Così è troppo!», come dissero per Gesù.

Come dice Renzo Salvi, la teologia inclusiva di Francesco sta generando resistenze, reazioni, allontanamenti molecolari nella “gente di chiesa”.

Per Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo, intervistato da Marco Politi, il magistero principale di Francesco è l’omelia quotidiana a S. Marta. Ci sono vescovi normativi e vescovi pastorali. Come li sceglie Francesco? Come fu scelto David (1 Samuele 16): «Non ce n’è un altro? Il più piccolo». Si tratta di portare Dio nella società secolarizzata? O forse di scoprire che là Dio c’è, c’è una sete di Dio. La Parola, la relazione personale con Gesù ha il primato sulla dottrina. La storia è luogo teologico.

Sulle donne nella chiesa: c’è una misoginia clericale; bisogna avviare processi; siamo ancora molto condizionati sul mondo femminile. Con Francesco finisce la chiesa “europea” e comincia la chiesa “cattolica”. Sulla “povertà culturale”: il vangelo si incultura, ma non è esso una “cultura”. Sulla “inequità”: Francesco non è il “papa sociale”, si tratta della ricaduta sociale del vangelo, del Regno che viene.

Sulle migrazioni: Francesco ha capito che è fenomeno epocale, è catastrofe umanitaria, e in ciò è leader mondiale. I migranti interpellano le nostre coscienze. Le parole «Ero straniero….» e «Questo è il mio corpo..», sono uguali, è la stessa parola.

Sulla mafia, intrinsecamente antievangelica, sempre contro la dignità umana, il problema non è solo la militanza, ma la mentalità mafiosa. Il vangelo si oppone alle potenze di questo mondo.

Nell’ecumenismo l’umiltà è una virtù teologale, come fede, speranza, carità.

Sull’azione di Bergoglio in Argentina nei confronti della dittatura si erano diffuse voci di debolezza o peggio. Nello Scavo, giornalista, autore di due libri in argomento, racconta di essere andato in Argentina come “avvocato del diavolo” a cercare prove di quel coinvolgimento, e di aver trovato nomi di persone, minacciate per azioni e denunce coraggiose, che Bergoglio ha salvato, col nasconderle, con l’aiutarle a fuggire. Agì in silenzio, come Schindler, Perlasca, Bartali, e altri “giusti”, con lo stesso rammarico di non aver potuto salvarne altri. A Londra, persone dei servizi segreti gli indicano come nemici di Francesco banche e fabbricanti di armi. Ancora oggi, ogni mattina agenti segreti chiedono una sintesi dell’omelia a S. Marta. Nel conclave del 2005 circolava un dossier di origine Usa, per screditare Bergoglio. Si tratta di tentativi di staccare il papa dal popolo. Un intervento qualificato comunica che due senatori italiani eletti nel collegio estero collaborarono con la dittatura.

 

2 - «Un Dio che sorprende», quello annunciato da papa Francesco, è il tema più difficile, affrontato da Raniero La Valle. Ma c’è un altro Dio che non sorprende, che giace nel catechismo. Poi c’è quello onnipotente, nella cultura comune, per chi lo afferma, per chi lo nega, per chi lo ignora. Per gli archeologi del sacro, la ricomparsa di un Dio che sorprende è un incidente sgradito. Francesco è solo, combattuto con astio.

Non è certo la prima volta che Dio sorprende. Ha sorpreso Adamo, col mettergli accanto la donna e dandogli la libertà, non più determinato dalle potenze divine. Ha sorpreso Noè: la terra non sarà più distrutta. Sorprende Abramo, facendo a pezzi l’ideologia sacrificale. Gesù sorprende tutti, tacendo sulla vendetta, nel leggere Isaia (in Luca 4). Sorprende la Samaritana: non c’è un tempio che vale più dell’altro. Sorprende la chiesa primitiva: da uguale a Dio il Cristo si è fatto servo (Filippesi 2).

È un Dio inedito, inesauribile. Dio non cambia, ma lo conosciamo meglio, come chiedeva papa Giovanni al Concilio. Questa è la ragione del pontificato di Francesco. Gli obiettano che Gesù è l’edizione definitiva di Dio. Ma Giovanni evangelista conclude: ci sono tante altre cose da dire di lui. La svolta di papa Francesco fa cambiare epoca. Prima, era angoscioso il problema della salvezza fuori dalla chiesa.

Il Dio di Francesco non è suo, è uscito dopo le tragedie del 900, fa corpo con l’evento Concilio. Francesco non è apolide, appartiene alla tradizione profonda, ritrovata dal Concilio. Anche Benedetto XVI ha detto che è «del tutto errata la tradizione sacrificale» e che c’è una «evoluzione del dogma». La Commissione Teologica Internazionale ha parlato di «Dio nonviolento». Siamo in una nuova fase della storia della salvezza. C’è un ripensamento dell’idea stessa di religione. In questo senso il magistero di Francesco è dottrinale.

Come dare un futuro alla svolta? Benedetto XVI ha detto che nel catechismo ci sono cose errate. Molari propone di cambiare catechismo per la nuova teologia evolutiva. Piuttosto: metterlo negli scaffali. Non può afferrare il vento dello Spirito. Mettere il vangelo al posto del catechismo.

Poi, rimettere mano ai libri liturgici, dove c’è da correggere un linguaggio sacrificale espiatorio. Infine, sui migranti: non basta l’accoglienza, sono un problema teologico-messianico, sono il segno dell’unità umana. C’è il diritto umano universale a migrare per vivere. Ho usato una parola grave: genocidio. Essi sono il popolo della tragedia comune, la fuga. Se non esistono per noi, è genocidio. Sono uccisi in quanto popolo dell’esodo.

Nella discussione, La Valle si chiede: e se non fosse vero ciò che diciamo di Francesco? I profeti, si dice, “raccontano i loro sogni, profetizzano i loro desideri”. Allora, facciamo un’altra lettura: il papato di Francesco come ultima difesa contro la catastrofe. Come quel katékon opposto al mysterium iniquitatis, al potere assoluto senza legge, selvaggio, che è oggi il denaro. Siamo tentati di farci rappresentare in questo da Francesco? Furono ritenuti tale katékon l’impero romano e il sacro romano impero. Ma è Francesco che dichiara chiusa la cristianità. Lava i piedi a donne musulmane. Rifiuta di riferire il terrorismo all’islam, rifiutando la guerra di religione. Così il mondo può ancora sperare. Francesco frena-ferma la catastrofe: per questo è combattuto, perché le forze distruttive non vogliono essere fermate. Allora, è nostro compito la resistenza alla globalizzazione selvaggia.

Rosanna Virgili, teologa e biblista, parte da quel «Buona sera!» di Francesco. Lo stile non si improvvisa, è il modo di essere. La gentilezza è amore. Dio parla un linguaggio familiare: «Adamo, dove sei?». Risponde, ascolta, scende a vedere. La sua parola è cor(con)-rispondenza. Francesco pone domande e risponde a domande. Per il sinodo sulla famiglia propone un questionario. Chiede: «Chi sono io per giudicare?».

Usa il linguaggio della gioia. Ha fatto sparire il verbo dovere. Nella Bibbia c’è la legge, la sapienza, la profezia. La tradizione cattolica ha ridotto tutto a legge. Ma la torah significa sapienza, parla con consiglio, narrazione, imbandisce una mensa, alla pari. Francesco ha uno stile di cura, la chiesa infermiera, non mater et magistra.

Il poliedro è sempre altro, non è chiuso. Il linguaggio di Francesco è destrutturato, non dogmatico, ma kerigmatico. Per questo è criticato. Il cristianesimo nasce come destrutturazione: Dio vuole la distruzione del suo tempio, la sua gloria esce dal tempio. Ezechiele denuncia la corruzione nel tempio. Ci vuole coraggio a demolire. Sulla croce finisce il patriarcato religioso, Dio si destruttura come padre. Francesco fa una chiesa orizzontale, costringe i cattolici a pensare.

Alla domanda su Dio e il male, Francesco ha risposto: «Non lo so. Posso solo accarezzare chi soffre». Su donne e ministeri, c’è il tabù del sangue mestruale. Ma i catechisti sono al 95% donne. Le teologhe entrino nei documenti della chiesa. Il potere oggi lo hanno solo i chierici-maschi.

 

3 - Il dialogo tra le fedi come via maestra, è stato il tema assegnato a Paolo Branca, valente studioso dell’islam, e a Mariangela Falà, esponente del buddhismo italiano. Il moderatore Brunetto Salvarani ricorda che oggi, 26 agosto, è il settimo anniversario della morte di Raimon Panikkar, profondo e vivo promotore di questo dialogo.

Branca osserva che nella nostra “società liquida” per i cambiamenti rapidi e le evoluzioni tecnologiche, hanno ripreso forza le identità più radicali: non è una ripresa della fede, ma dei simboli religiosi. Si pone la questione del territorio (minareti, campanili), non l’aspetto interiore. La destra vuol metterci la paura di essere obbligati a costumi islamici . Ma non esiste alcun pericolo di invasione islamica. Non esiste un “buonismo”, mentre le accoglienze positive non emergono mai nell’informazione. Il Medio Oriente e il Maghreb sono pieni di scuole italiane, tenute da religiosi, ma sono soltanto scuole tecniche. I missionari si preparano qui, ma qui non incontrano persone dei popoli e delle religioni dei paesi dove andranno.

Dopo il discutibile discorso di Ratzinger a Regensburg, il 12 settembre 2006, un importante documento islamico ribadiva: l’islam è amore di Dio e amore del prossimo. Qui da noi non si sa che il re del Marocco è contro la pena di morte per apostasia. Il terrorismo jihadista ha a che fare con certe tradizioni nell’islam: la parola di Dio può pervertirsi, perché parla nello spazio e nel tempo, cresce insieme alla zizzania. Ma se sei tanto arrabbiato da uccidere bambini, sei malato, non sei religioso. La misoginia c’è anche nel Nuovo Testamento, dove le donne sono nominate solo nella relazione con l’uomo. Un antico viaggiatore marocchino, detto il Marco Polo arabo, incontrò in oriente una popolazione musulmana in cui le donne stavano abitualmente in topless. In Italia oggi i musulmani non possono aprire moschee, ma solo altre iniziative sociali: vietato pregare! Ci sono matrimoni misti, luogo privilegiato del dialogo interreligioso, e non sempre le figlie sono per questo ammazzate dai genitori…. Francesco non fa proselitismo, ma attrazione: il bello è l’estetica del bene.

L’islam è in pericolo, rischia di implodere per le divisioni interne. Dobbiamo aiutare l’islam ad essere se stesso. Ma ho visto rivolte identitarie italiane al cibo halal (lecito per l’islam). Ci sono persone che mi dicono: «Tu sei l’amico dei nostri nemici».

Mariangela Falà dice che è difficile interessare i giovani al dialogo interreligioso, ma va fatto. Il vero dialogo è sulla propria ricerca spirituale, nel dialogo metto in gioco la mia identità. C’è amicizia, mangiare insieme, ma poco dialogo teologico. Manca uno che attiri, uno come Panikkar. Dal fascino dell’oriente siamo passati all’attuale stabilizzazione, cioè una accettazione acritica, isole religiose separate dal contesto sociale. Bisogna distinguere quegli orientali che trasmettono cultura, che conoscono la cultura occidentale e i suoi problemi, e quelli che stanno isolati. Vanno educati al dialogo anche loro. Bisogna sfatare il mito dei buddhisti pacifici: dipende dalle situazioni. La cultura occidentale è più aperta, in oriente solo i “saggi”. Ci sono più buddhismi, come più cristianesimi. In oriente non c’è “il” buddhismo: questo è linguaggio coloniale occidentale. Solo 300 anni fa si scopre che lo stesso Buddha è ricordato in diversi orienti. Il dialogo tra buddhismi è portato dall’occidente. In Italia diverse forme di buddhismo dialogano qui, ed è una novità. Sta crescendo il dialogo tra monaci cristiani e monaci buddhisti. Per i luoghi di culto sarebbe bella una ospitalità reciproca. La Cei ha ripreso il dialogo tra cristiani, buddhisti, induisti, cioè tra coscienze, non tra religioni. C’è una spinta dal basso. Fare audience delle esperienze positive. C’è una unità di fondo delle differenze. Io prego per tutti.

Con l’intesa tra buddhismo e stato (secondo l’art. 8 Cost) compare il problema dell’8 per mille, una bella sfida per una piccola comunità, saper vincere gli appetiti. Le tradizioni sono messe alla prova.

 

Enrico Peyretti

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