Koinonia Agosto 2017


 

IL VANGELO EVANGELICAMENTE

VADEMECUM PER UNA CHIESA

“CASA DI PREDICAZIONE”

 

Dopo le  considerazioni generali in Koinonia di aprile sul “Vangelo, questo sconosciuto” e in previsione di altre per il prossimo numero di maggio, improvvisamente ho sentito la spinta a dire come il vangelo entra nella nostra vita e agisce attraverso di noi perché cambi il cuore del mondo e degli uomini: prima che tema di studio e oggetto di analisi, passione ed esperienza condivisa. È il tentativo di leggere il vangelo dentro di noi. Non si può infatti parlare di evangelizzazione senza rimettere in gioco il vangelo stesso e senza farsi rimettere in gioco dal “credere al vangelo”. Non si tratta infatti di trovare modalità e tecniche nuove di comunicazione, ma di esserne interpreti per farne emergere l’assoluta novità intrinseca: per diventare veramente evangelici. Non è accettabile che il vangelo passi come “questione privata” di qualcuno, mentre le questioni importanti sarebbero altre!

 

1 - Il primo pensiero che affiora nasce dalle parole di Amos 3,8: “Ruggisce il leone: chi non tremerà? Il Signore Dio ha parlato: chi non profeterà?”. Per quanto maneggiato di continuo sotto tanti aspetti, improvvisamente il vangelo si fa sentire come un ruggito che fa tremare: “guai a me se non evangelizzo!”, che è poi lo stesso imperativo “secondo le Scritture” a cui è sottoposto il Figlio dell’uomo. Il vangelo non è un vanto o un lusso per cui farsene un merito o rivendicare diritti! È un giogo da prendere sulle spalle e da imparare a portare con mitezza e umiltà di cuore. Perché si sa che è “segno di contraddizione”! È qualcosa che scotta.

 

2 - Una totale dedizione al servizio del vangelo è sollecitata a sua volta dalla percezione dello stato delle cose in una umanità e in un mondo tanto malati. Mi è capitato di chiedere ad una persona molto semplice che idea si era fatta del vangelo,  ora che lo stava leggendo per la prima volta. La risposta è stata questa: “È la cura per il mondo”. Per me è stata una conferma e un invito a ripensare il vangelo come intervento della potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede. Come del resto dice il Magnificat: “Ha spiegato la potenza del suo braccio” (Lc 1,51). Si può prescindere da tutto questo se davvero ci sta a cuore la salvezza del mondo e la guarigione dell’umanità: e cioè dalla potenza di Dio, che può cambiare i cuori di pietra in cuori di carne? Perché è necessario risanare l’albero più che contentarsi di scattivare le mele marce!

 

3 - Quando ci  riferiamo al vangelo, non si tratta di un preliminare o di un corollario ad un discorso religioso, ma è la sostanza prima del messaggio di salvezza a cui credere, “perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e credendo abbiate la vita nel suo nome”(Gv 20,31). Da qui  l’obbligo di accoglierlo e rilanciarlo nei suoi termini essenziali: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15). Di qui non si esce, anzi è qui che bisogna tornare! Il resto viene di conseguenza.

 

4 - E quando si dice “il tempo è compiuto”, è da intendersi appunto come kairos, come intervento salvifico decisivo in cui farsi coinvolgere. Gesù ce lo fa capire quando piange su Gerusalemme e dice: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace!”, mentre invece “non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata” (Lc 19,42.44).

 

5 - Il vangelo-creduto è dunque questa riserva di salvezza per il mondo, e non può essere edulcorato e adulterato con presunti facilitatori pastorali: deve mantenere la sua irriducibilità e non confondersi con le sue glosse o pratiche. Possiamo ricordare quanto ci dice S.Paolo: “Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo” (1Cor 1,17). Il vangelo deve essere riportato - o deve riportarci - alla sua specificità!

 

6 - Questa specificità dobbiamo recuperarla dentro contesti di tradizione religiosa che sono come vecchi otri. Una nuova e robusta coscienza evangelica regolata sul “Regno di Dio che viene” dovrebbe soppiantare la mentalità regolata sui “precetti della chiesa”, o su velleità rivoluzionarie. C’è quindi da guardarsi dalla riduzione della fede ad armamentario ideologico o in senso religioso o come deus ex machina per i problemi storici. Anche qui Paolo insegna, quando parla del sistema-legge come pedagogo a Cristo: “Ma prima che venisse la fede, noi eravamo custoditi e rinchiusi sotto la Legge, in attesa della fede che doveva essere rivelata. Così la Legge è stata per noi un pedagogo, fino a Cristo, perché fossimo giustificati per la fede. Sopraggiunta la fede, non siamo più sotto un pedagogo” (Gal 3.23-25). Né quello dei precetti né quello del potere temporale, ma l’unica obbedienza è a Cristo.

 

7 – Il vangelo provoca inevitabilmente  una viva dialettica dentro la coscienza del Popolo di Dio: lo sollecita a trasformarsi in ciò che lo costituisce ad intra e nelle sue relazioni col mondo ad extra. Si tratta di dare vita e respiro ad una comunità di fede ad impronta evangelica nella sua costituzione, come assemblea liturgica e come collocazione nella storia. Una chiesa fondata sul “credere al vangelo” si costituisce prima di tutto su relazioni di solidarietà e di riconoscimento tra persone: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). 

 

8 - Per quanto riguarda poi le assemblee liturgiche, queste non possono rimanere focalizzate solo sul mistero eucaristico in sé, ma devono dare spazio anche ad altre dimensioni e momenti di partecipazione, in particolare alla liturgia della Parola che ha una sua rilevanza specifica e non solo di omelia. Per cui è necessario un riequilibrio interno al “mistero della fede”, in modo che questo sia davvero “liturgia” e cioè azione pubblica di popolo: abbia cioè una rilevanza al di fuori della cerchia di “praticanti” o affiliati. Ci siamo mai chiesti che significato o ricaduta sociale hanno le tante messe che vengono celebrate a ripetizione? Basta che siano ammortizzatori spirituali per pochi?

 

9 - Quanto alla comunicazione col mondo, osiamo pensare che proprio le nostre assemblee liturgiche dovrebbero diventare  i primi pulpiti di una chiesa evangelizzatrice, la cassa di risonanza di una predicazione alle genti, secondo la volontà e il mandato di Gesù: “Ne costituì Dodici - che chiamò apostoli -, perché stessero con lui e per mandarli a predicare” (Mc 3,14). La chiesa è “apostolica”, non solo perché fondata sugli apostoli, ma perché investita del mandato a predicare. Se i singoli predicatori sono in funzione interna alla comunità, è la comunità e la chiesa intera che deve farsi carico del vangelo per il mondo. Qualcosa che non può mai diventare routine o prassi convenzionale, ma è di suo emergenza e novità perenne: “casa di predicazione” in itineranza e mendicità.

 

10 - A parte il cambiamento interno alla chiesa, rimane il fatto che il vangelo è per sua natura finalizzato alle genti e a tutte le creature fino ai confini della terra e fino alla fine del mondo. Esso trascende anche i limiti di chi è chiamato a farsene portatore in debolezza (in timore  e tremore); non consente nessun insediamento culturale definitivo ma è un continuo andare oltre e andare altrove. Se è vero che il Verbo di Dio si è fatto carne e che tutto “è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste” (ib 3), vuol dire che dobbiamo avere col vangelo lo stesso rapporto che abbiamo con la creazione: non possiamo restringerlo e isolarlo in uno spazio sacro - su questo o quel monte -, perché annuncia la nuova creazione. La naturalezza e la laicità gli sono consustanziali.

 

10 - C’è da prendere coscienza che esso è sempre incarnazione: opera di una chiesa vivente, mai però in funzione esclusiva di se stessa; pane di vita per l’umanità, supplemento d’anima necessario indistintamente a tutti gli uomini, a prescindere dalle stesse appartenenze religiose di origine. Si potrebbe dire che vangelo è “essere chiamati a libertà”: “Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri” (Gal 5,13). È forse proprio la libertà il banco di prova e il guanto di sfida del vangelo nei confronti del mondo. E questo prima ancora che il vangelo venga inquadrato in qualche sistema  religioso o confessionale. 

 

11 - Per riconsegnare di diritto il vangelo all’umanità e alla storia, come chiesa dobbiamo imparare a leggerlo avendo ben presente la sua naturale destinazione a tutti ed evitare di circoscriverlo in circuiti spiritualistici o moralistici: a riscoprirlo e riviverlo come potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede. E farsene appassionati strumenti! La percezione che vangelo sia questa verità che libera è senz’altro nel fondo del cuore di ciascuno di noi e di ogni uomo: ma forse questa convinzione non riesce ad emergere e diventare lievito e forza motrice per una vita umana da figli di Dio. È quanto desideriamo e tentiamo di fare.

 

Alberto B.Simoni

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