Koinonia Agosto 2017


RISCOPRIRE LA POTENZA DEL VANGELO:

un percorso attraverso tre teologi protestanti del ‘900

 

Introduzione

 

Al versetto 16 del primo capitolo della Lettera ai Romani l’apostolo Paolo dice: «Infatti non mi vergogno del vangelo; perché esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede; del Giudeo prima e poi del Greco». Questa affermazione è in perfetta sintonia con il tema al centro dell’incontro di oggi (30 Aprile 2017) Riscoprire insieme il Vangelo. Prendendo spunto da questo invito che l’apostolo Paolo rivolge di riscoprire la potenza del Vangelo e la capacità di non vergognarci a dare questo annuncio, nelle pagine seguenti tenterò di fornire una serie di riflessioni che tre importanti e noti teologi protestanti Karl Barth (1866-1968), Dietrich Bonhoeffer (1906-1945) e Jürgen Moltman (1926) hanno elaborato nei loro scritti. A tale scopo il contributo è organizzato in quattro tappe così articolate:

 

“Per Libertà dell’Evangelo”

 

Cosa significa Evangelo?

 

Il Dio dell’Evangelo si è rivelato in Gesù Cristo: la speranza

 

Il compito della Chiesa e il cristiano come testimone

 

 

1)Per Libertà dell’Evangelo - contesto storico

 

Nel numero di Aprile di Koinonia (437) è riportato un passo tratto da Per la libertà dell’evangelo di Karl Barth in cui il teologo di Basilea di fronte all’urgenza di credere e professare la libertà dell’Evangelo pone la domanda di cosa significhi l’Evangelo e risponde a questa domanda affermando che l’Evangelo come lo intende lui è:

 

“un messaggio che è stato indirizzato a noi, che a noi si indirizza e vuole continuare a indirizzarsi a noi. Esso annuncia: noi uomini non siamo soli. Non siamo abbandonati al nostro destino. Non siamo abbandonati ai nostri simili buoni e cattivi. Non siamo abbandonati neppure alla morte che tutti noi attende. E soprattutto non siamo abbandonati a noi stessi, né alle nostre buone qualità né a quelle cattive, né alle nostre virtù né ai nostri errori, né alla nostra propria saggezza, né alla nostra propria stupidità. Abbiamo invece un Signore e questo Signore si fa garante per noi, poiché noi gli apparteniamo [...] Dunque il Signore si chiama Gesù Cristo. Ma Gesù Cristo significa: Dio per noi uomini e con noi uomini. Questo significa credere nell’Evangelo: accogliere questo messaggio, il messaggio ce Dio è per noi e con noi, considerare questo Signore il nostro Signore”.

 

Per comprendere pienamente la portata di queste affermazioni di Barth occorre ricordare che Per la libertà dell’evangelo è il testo del discorso tenuto a Bonn il 22 luglio del 1933 alla vigilia delle elezioni della Chiesa di Bonn, da cui sarebbe dipeso il tipo di presbiterio per gli anni futuri. Siamo nell’anno della salita al potere di Hitler, in pieno avvento del nazismo, e una parte significativa della chiesa evangelica in Germania si è ormai schierata con il regime nazista che sta esercitando una forte pressione per trasformare la Chiesa evangelica (vedi Scheda 1) in un docile strumento asservito ai suoi fini attraverso l’elezione di pastori e teologi al servizio del regime. Barth nel 1933 ha 47 anni, nato a Basilea in Svizzera, è a Bonn  dal 1930 dove insegna teologia e  resterà fino al 1935 costretto a rientrare in Svizzera a causa del rifiuto di giurare fedeltà ad Hitler.

Nella premessa dello scritto Barth ricorda che un suo precedente testo, Esistenza teologica oggi!, aveva suscitato in molti un notevole interesse in contrasto alle violente critiche espresse  dai cristiano-tedeschi (Deutsche Christen). Alcuni dei passaggi di questo ulteriore testo sono significativi per l’argomento che trattiamo oggi:

 

 “Si potrebbe osare la seguente affermazione: una riforma della chiesa, anche se dapprima riguarda solo la forma esterna, deve scaturire dalla necessità interna della vita della chiesa stessa, dall’ubbidienza alla Parola di Dio, altrimenti non è una riforma della chiesa”. [...]

 

Infatti questo tempo comporta una forte tentazione, che si manifesta in tutti i modi possibili: quella di non comprendere più che la Parola di Dio supera, con la propria intensità ed esclusività assoluta, la forza di ogni altra pretesa, e quindi la tentazione di non comprendere più questa Parola come tale. È la tentazione di non confidare più del tutto nella forza della Parola di Dio, in quanto presi dall’angoscia di pericoli di ogni genere, e di pensare invece che sia necessario venirle in aiuto con ogni sorta di interventi, gettando via in tal modo ogni fiducia nella sua vittoria. La tentazione è nel credere di poter meglio fronteggiare, risolvere, procurare certe cose per strade diverse dalla Parola di Dio, dimostrando con ciò di non saperla onorare in nulla come la Parola creatrice, riconciliatrice e redentrice. Si tratta della tentazione di dividere il nostro cuore tra la Parola di Dio e ogni sorta di altra realtà, che esplicitamente o implicitamente le poniamo accanto, rivestendola della gloria del divino: così dimostriamo che il nostro cuore non si attiene affatto alla Parola di Dio. Oppure ci lasciamo sconvolgere e impressionare da certe «dominazioni, principati e potestà» e cerchiamo Dio dovunque, meno che nella sua Parola, e la sua Parola dovunque, meno che in Gesù Cristo, e Gesù Cristo dovunque, meno che nella sacra Scrittura dell’Antico e Nuovo Testamento: siamo appunto gente che non cerca affatto Dio. E tutto questo, nonostante che nella chiesa ci si trovi d’accordo sul contrario!

Ma come possiamo allora continuare a essere nella chiesa? [...]

 

Ed ecco ciò che chiamo la nostra «esistenza teologica»: in mezzo agli altri aspetti della nostra esistenza (per esempio, come esseri umani, come padri e figli, come tedeschi, come cittadini, come pensatori, come possessori di un cuore sempre inquieto ecc.), la Parola di Dio deve essere per noi semplicemente ciò che è e ciò che essa sola può essere; in particolare come predicatori e dottori siamo chiamati in causa in un modo possibile e consentito soltanto al nostro incarico”.

 

Questo richiamo alla centralità della Parola di Dio (creatrice, riconciliatrice e creatrice) da cui unicamente deve scaturire la riforma della chiesa è naturalmente perfettamente allineato con i principi della Riforma protestante. Barth prosegue affermando che vuole dichiarare (lo ritiene un dovere) la sua fede “in una determinata forma di Chiesa” e aggiunge: “Votando, professo questa o quella fede nella Chiesa”.  Ma quale è questa fede di cui parla Barth? Lo dice subito dopo in modo semplice e chiaro:

 

“credere significa avere un dono di Dio che nessuno può procurarsi da solo, ma che proviene dalla libera grazia di Dio” (pag.14)

 

L’anno successivo (maggio del 1934) nel Sinodo di Barmen questa posizione porterà alla dichiarazione teologica contro il connubio tra Cristianesimo e Nazismo (vedi Scheda 2) che sancì la nascita della Chiesa Confessante (Martin Niemöller e Dietrich Bonhoeffer).

 

 

Scheda 1 - la chiesa evangelica tedesca

La chiesa evangelica tedesca comprendeva i due grandi gruppi delle chiese luterane e riformate, poi ci sono le chiese unite sorte nell’ottocento per superare le divergenze tra le due confessioni. Le chiese sono organizzate su base regionale (28) ed hanno propri organismi di governo. Il vescovo, quando previsto come nelle chiese luterane, svolge funzioni di amministrazione ed è un soprintendente ma non una guida teologica o spirituale.

 

Nel 1933:

 

Hitler, da poco salito al potere con il sostegno anche di un movimento ecclesiale filonazista (i cristiano-tedeschi), proponeva la propria persona e la propria opera come una nuova rivelazione di Dio in Germania. In questa ottica la Chiesa era tollerata solo se “dimostrava di essere la Chiesa del popolo tedesco”, aiutando quest’ultimo “a riconoscere e a compiere la missione che Dio gli ha affidato” e tale era anche lo scopo che il nuovo governo tedesco dichiarava di perseguire.

Hitler stipula un Concordato con la chiesa cattolica.

Il 7 aprile viene promulgata la legge di riordino della carriera burocratica che prevede il cosiddetto paragrafo ariano, il pensionamento di tutti i funzionari statali “non ariani”, e cristiano-tedeschi (movimento costituito nel 1932 da esponenti del partito nazista), intendono applicarlo anche ai funzionari delle chiese.

È anche l’anno in cui Hitler incarica l’ex cappellano militare Ludwig Muller di riorganizzare le chiese regionali evangeliche in una sola chiesa del Reich istituendo una serie di vescovi a capo dei quali è previsto una sorta di vescovo-F?hrer (Hitler stesso).

 

Nel progetto di riforma dei cristiano tedeschi un articolo prevedeva che la chiesa evangelica del Reich “riconosca in base ai principi di fede l’autorità dello Stato nazionalsocialista ed enunci l’evangelo nel terzo Reich”.

Per i “cristiani tedeschi” la grandezza dello stato nazionalsocialista non era soltanto una questione di convinzione politica, ma anche oggetto di fede, di conseguenza essi esigevano una Chiesa che condividesse i loro punti di vista su tale questione. In avvenire, essi dicevano, l’Evangelo deve essere annunziato come “Evangelo del III Reich”.

La confessione di fede non veniva modificata, ma ampliata in direzione di una nuova definizione della Chiesa come “la Chiesa dei cristiano tedeschi, cioè dei cristiani di razza ariana”. I più estremisti si spingevano a chiedere l’interdizione del culto a tutti i cristiani che non appartenevano alla razza ariana, e la “degiudaizzazione” del Vangelo e della Chiesa. Addirittura si chiedeva la soppressione dell’Antico testamento “con le sue storie di mercanti, di bestiame e di ruffiani”, la revisione del nuovo, affinché ‘insegnamento di Gesù “corrisponda interamente alle esigenze del nazionalsocialismo”. E ancora: “Ci ripugna prendere una cravatta da un ebreo, a maggior ragione avremmo vergogna di attingere da un ebreo le nostre convinzioni religiose vitali”. Insomma si chiedeva “un Popolo, un Reich, una Fede”, e soprattutto si esigeva che si smettesse di parlare di un Cristo umile e fiaccato, cominciando a presentarlo come una figura gloriosa simile agli dei nordici.

 

Scheda 2 - Dichiarazione teologica di Barmen – 29/31 maggio 1934

 

« Ncrediamo che Gesù Cristo, così come ci viene attestato nella Sacra Scrittura, sia l’unica parola di Dio. A essa dobbiamo prestare ascolto; in essa dobbiamo confidare e a essa dobbiamo obbedire in vita e in morte.

Noi crediamo che, come Gesù Cristo rappresenta la grazia senza condizioni, il perdono di tutti i nostri peccati, così, con uguale serietà, egli sia l’espressione della forte pretesa che Dio fa valere nei confronti di tutta la nostra vita.

 

Per mezzo suo ci accade di sperimentare una felice liberazione dagli empi legami di questo mondo per un libero, riconoscente servizio alle sue creature.

Noi crediamo che la Chiesa cristiana sia la comunità di fratelli e sorelle in cui Gesù Cristo, nella parola e nel sacramento mediante lo Spirito Santo, agisce in modo presente come il Signore.

Essa è soltanto sua proprietà e desidera vivere soltanto della sua consolazione e della sua direttiva, nell’attesa della sua manifestazione.

Noi crediamo che i diversi ministeri nella Chiesa non legittimino alcuna supremazia degli uni sugli altri, bensì siano alla base dell’esercizio del servizio affidato e comandato a tutta la comunità.

Noi crediamo che la Chiesa faccia appello al regno di Dio, al suo comandamento e alla sua giustizia, e perciò debba ricordare ai governanti e ai governati le loro responsabilità.

Essa si affida e obbedisce alla potenza della parola mediante la quale Dio regge ogni cosa.

Noi crediamo che il compito della Chiesa, fondamento della libertà, consista nel rivolgere a tutto il popolo la notizia della libera grazia di Dio.»

 

2)Libertà dell’Evangelo: cosa significa Evangelo

 

Il testo Libertà dell’Evangelo (titolo usato anche come denominazione della lista presentata per le elezioni di cui abbiamo parlato) è più di un manifesto programmatico poiché si tratta di una vera e propria confessione di fede, i cui contenuti saranno poi ripresa nella dichiarazione teologica di Barmen, che merita di essere riscoperto per l’attualità che lo contraddistingue nel tempo che stiamo vivendo. In sintesi i tre punti sostanziali di questa confessione sono:

 

Cosa significa Evangelo? “Un messaggio che è stato indirizzato a noi e vuole continuare a indirizzarsi a noi. Esso annuncia: noi uomini non siamo soli. Non siamo abbandonati al nostro destino. Abbiamo invece un Signore e questo Signore si fa garante per noi, poiché noi gli apparteniamo”.

 

Chi è questo Signore ? “Si chiama Gesù Cristo. Ma Gesù Cristo significa: Dio per noi uomini e con noi uomini“.

 

“L’Evangelo stesso è libero e vuole e deve rimanere libero Evangelo. Che vuol dire? Soprattutto questo: dobbiamo capire che l’Evangelo è un messaggio che giunge a noi senza che noi possiamo giungere ad esso”

 

Barth nella sua argomentazione cita il terzo articolo del Credo: la santificazione del Piccolo Catechismo  di Lutero (vedi Scheda 3), affondando le proprie radici nel pensiero luterano.

 

Scheda 3 - terzo articolo del Credo: la santificazione del Piccolo Catechismo  di Lutero

 

“Credo nello Spirito santo, una santa Chiesa cristiana, la comunità dei santi, perdono dei peccati, risurrezione della carne e una vita eterna. Amen.

Io credo di non poter credere in Gesù Cristo mio Signore, di non poter giungere a Lui, in base alla mia ragione e con le mie forze, ma è lo Spirito Santo che mi ha chiamato mediante l’Evangelo [mi ha illuminato con i suoi doni, mi ha santificato e mantenuto nella vera fede, così come chiama, raduna, illumina l’intera cristianità sulla terra, e la mantiene presso Gesù Cristo nella vera e unica fede in tale cristianità egli perdona ogni giorno largamente tutti i peccati, a me a tutti i credenti; e l’ultimo giorno risusciterà me e tutti i morti, e mi donerà, insieme ai credenti in Cristo, una vita eterna; questo è certamente vero]”

 

Note.

 

a) Santificazione” e “santi” qui devono essere intesi non come l’autogiustificazione mediante le opere, ma l’opera di salvezza di Cristo, i cui frutti sono donati ai credenti nello Spirito e la santificazione consiste nell’azione dello Spirito, mediante la parola e il sacramento, che opera un cosante rinnovamento della vita della comunità.

 

b) Per inquadrare al meglio questo articolo giova anche ricordare che Lutero nei suoi scritti afferma:

“Cattolica non può essere tradotto meglio in tedesco che con cristiana, come si è fatto finora. Cioè: dove, in tutto il mondo, vi sono cristiani; contro ciò smania il papa, il quale vuole che solo il suo cortile (Hof) sia chiamato chiesa cristiana”.

 “Non è sufficiente conoscere Dio nella sua gloria e maestà, ma è anche necessario conoscerlo nell’umiliazione e nell’infamia della croce… In Cristo, nel Crocifisso, stanno la vera teologia e la vera conoscenza di Dio.” (Tesi 20 della disputa di Heidelberg).

“Ma evangelo non significa altro che una predicazione e grido della grazia e misericordia di Dio, meritate e ottenute dal Signore Cristo con la sua morte; e non si tratta, propriamente, di quanto si trova nei libri e viene esposto mediante lettere dell’alfabeto, ma principalmente di una predicazione orale e parola vivente, di una voce, che risuona nel mondo intero e viene pubblicamente gridata, affinché la si oda ovunque” (Predicazione su I Pietro , M. Lutero, Scritti).

 

 

ll Dio dell’Evangelo si è rivelato in Gesù Cristo

 

La centralità di Gesù Cristo, figlio di Dio che ha assunto su di sé le colpe di tutti noi e che ha riconciliato l’umanità con Dio, in quanto Dio fattosi uomo, è il tema fondante espresso da Barth anche in altri suoi scritti e che è stato anche al centro delle riflessioni sull’etica di Bonhoeffer.

Vediamo in sequenza alcuni passaggi.

 

La grazia come contenuto dell’Evangelo che è Gesù Cristo stesso (Barth, Evangelo e Legge)

 

Il contenuto dell’Evangelo è la grazia di Dio, Gesù Cristo, La Parola divenuta carne:

 

“ La grazia di Dio, che ne costituisce il contenuto - inclusivo della Legge, se è davvero la Parola e la Legge di Dio - si chiama ed è Gesù Cristo. Questa infatti è la grazia di Dio: l’eterna Parola di Dio è diventata carne. Carne vuol dire: uno di noi. La Parola di Dio non si è trasformata in carne. [...] No, la Parola è diventata carne vuol dire: senza cessare di essere Dio, la Parola, accanto alla sua divinità e in un’unità indissolubile ma pure priva di qualsiasi confusione, ha assunto la nostra umanità; e precisamente la nostra umanità nel suo aspetto oscurato e distrutto dal peccato: quindi non per la forza, per la dignità o per qualche altra qualità della natura umana, ma per il puro beneplacito di Dio, per il suo amore inconcepibile; e per indicare tutto questo: dalla vergine Maria. [...]

Questa è la grazia di Dio: non c’è soltanto l’umanità di tutti noi, in Gesù Cristo c’è anche l’umanità propria di Dio, l’umanità della sua Parola e, in essa, in questo suo abbassarsi fino alla nostra bassezza, la presenza della sua umanità per noi, la nostra partecipazione alla sua divinità, la nostra elevazione fino a lui. E ora questa eterna Parola di Dio, prendendo su di sé la nostra carne, ha preso su di sé l’angoscia, la maledizione, la pena che bolla e caratterizza l’uomo in quanto è carne. Questa pena è la risposta di Dio al peccato dell’uomo, peccato che consiste nell’autonomia che è empietà, come risulta evidente dal fatto che all’uomo la grazia ripugna e ne rifugge. [...]

Dunque: la grazia di Dio - cioè la sua grazia rivolta alla nostra umanità, la sua bontà, misericordia e condiscendenza con la quale egli, il nostro Dio, ci accoglie - è Gesù Cristo, lui in persona, lui soltanto. Egli in persona, egli soltanto è quindi il contenuto dell’Evangelo. La grazia, il contenuto stesso dell’Evangelo, consiste semplicemente in questo: Gesù Cristo, lui in persona e lui soltanto, nella sua umanità assunta nascendo, preservata morendo ubbidiente, glorificata risorgendo, si fa garante per noi con la nostra umanità. Può farlo, perché non è soltanto uno di noi, ma è Figlio di Dio, Dio quindi egli stesso, quindi egli stesso il Giudice davanti al quale si assume la responsabilità di noi. E lo fa, perché è suo insondabile beneplacito fare quest’uso del suo potere divino: l’uso di un amore che non attende alcun contraccambio né lo trova, un amore che ci viene incontro solo e sempre e in qualsiasi circostanza come amore libero e puro.

La condizione e la condotta dell’uomo sotto la grazia va quindi descritta con queste parole anticotestamentarie: «Chi sta al riparo dell’Altissimo e dimora all’ombra dell’Onnipotente, dice al Signore: Mia fiducia, mia rocca, mio Dio in cui confido!» (Salmo 91,1). Vive nella comunione dei santi, ha ricevuto, riceve e riceverà il perdono dei propri peccati, corre verso la risurrezione della carne e la vita eterna: questo egli crede, ma tutto questo non è realtà, nemmeno parziale, nella sua fede, nella vittoria della sua fede - è realtà unicamente nel fatto che il Signor Gesù Cristo, il quale per noi è nato uomo, per noi è morto, per noi è risuscitato, è anche il suo Signore, la sua fiducia, la sua rocca, il suo Dio. Gesù Cristo è la grazia donata a un tal uomo, proprio a lui, e a lui soltanto.”

 

 

Il Dio dell’Evangelo è colui che ha operato e si è rivelato in Gesù Cristo: la speranza (Barth, Introduzione alla teologia evangelica Lezione XIII: La speranza)

 

Il Dio dell’Evangelo si rivela in Gesù Cristo che è l’opera e la Parola di Dio, si rivela nella morte del suo Figlio diletto diventando così la speranza vivificante dell’uomo:

 

“ Il Dio dell’Evangelo è colui che ha operato e si è rivelato in Gesù Cristo. Gesù Cristo è l’opera e la Parola di Dio. Egli è il fuoco dell’amore di Dio che divora ogni parola umana e quindi anche e proprio l’impresa teologica. Egli è il giudice di fronte al quale tutti gli uomini con il loro sapere e le loro opere non possono che sprofondare e sparire e quelli che meglio lo conoscono, ne sono più consapevoli. Ecce homo! (Giovanni 19,5). Nella persona di Gesù Cristo infatti è avvenuto questo: Adamo – primariamente e principalmente l’Adamo pio, dotto e saggio – è stato bollato come trasgressore, mostrato nella sua nudità, flagellato, crocifisso, ucciso. Nel compiersi di questo giudizio si è rovesciato su di lui, più pesantemente che su nessun altro prima o dopo di lui, l’uragano del rischio radicale, la distretta della solitudine, del dubbio e della prova. […]

 

Gesù Cristo ha dato esecuzione al giudizio meritato da tutti gli uomini e dalle loro opere  col fatto di essersi offerto lui, il giudice a prendere il posto di coloro che dovevano essere giudicati, a subire la condanna per loro e dunque per la loro liberazione. Pertanto il mistero del giudizio pronunciato sul Golgotha non è la disgrazia bensì la grazia di Dio, non la perdizione degli uomini bensì la loro salvazione: la nuova creazione di un uomo che è reso libero, che risponde con fedeltà alla fedeltà di Dio, che vive in pace con lui e per la gloria di lui.  Il Dio che agisce e si rivela nella morte del proprio Figlio diletto è sì colui che espone a rischio mortale, ma anche la speranza vivificante dell’uomo, del cristiano e quindi anche teologo.”

 

1.3 Dio-uomo Gesù Cristo  (Bonhoeffer, Etica come conformazione)

 

Il tema di Dio che diventa uomo in Gesù Cristo come manifestazione di amore nei confronti del mondo e volontà di riconciliazione con gli esseri umani è stato anche al centro delle riflessioni di Bonhoeffer nella sua Etica:

“«Ecce homo - guardate che uomo!». In lui è avvenuta la riconciliazione del mondo con Dio. Non attraverso la disgregazione, ma attraverso la riconciliazione si viene a capo del mondo. Non ideali, programmi, non la coscienza, il dovere, la responsabilità, la virtù, bensì soltanto l’amore perfetto di Dio riesce ad affrontare la realtà e a venirne a capo. Ancora una volta non è una idea generica dell’amore, ma l’amore di Dio realmente vissuto in Gesù Cristo a riportare tale vittoria. Tale amore di Dio per il mondo non abbandona la realtà per ritirarsi in anime nobili lontane dal mondo, ma sperimenta e soffre la realtà del mondo nel modo più duro. Il mondo infuria contro il corpo di Gesù Cristo. Ma il martirizzato perdona al mondo il suo peccato. Così avviene la riconciliazione. Ecce homo.

La figura del riconciliatore, del Dio-uomo Gesù Cristo, si pone al centro fra Dio e il mondo, entra nel mezzo di ogni evento. In lei si svela il mistero del mondo, così come in lei si rivela il mistero di Dio. Nessun abisso del male può rimanere nascosto a colui mediante il quale il mondo è riconciliato con Dio. E l’abisso dell’amore di Dio abbraccia anche l’empietà più abissale del mondo. Con un capovolgimento incomprensibile di ogni modo giusto e pio di pensare Dio si dichiara colpevole nei confronti del mondo e cancella così la colpa del mondo; Dio stesso intraprende il cammino umiliante della riconciliazione e assolve così il mondo; egli vuole essere colpevole della nostra colpa, prende su di sé il castigo e la sofferenza che la colpa ci ha attirato addosso. Dio risponde dell’empietà, l’amore dell’odio, il santo del peccatore. Ora non esiste più alcuna empietà, alcun odio, alcun peccato che Dio non abbia preso su di sé, sofferto e espiato. Ora non esiste più alcuna realtà, alcun mondo che non sia riconciliato e in pace con Dio. Questo, Dio ha fatto nel suo diletto figlio Gesù Cristo. Ecce homo!

 

Ecce homo - guardate il Dio che si è fatto uomo, il mistero insondabile dell’amore di Dio per il mondo. Dio ama l’uomo. Dio ama il mondo. Non un uomo ideale, ma l’uomo così com’è, non un mondo ideale, ma il mondo reale. Ciò che per noi è abominevole per la sua ostilità a Dio, ciò da cui rifuggiamo con dolore e ostilità, l’uomo reale, il mondo reale, questo è per Dio motivo di un amore insondabile, con esso egli si unisce nella maniera più intima. Dio diventa uomo, uomo reale. Mentre noi cerchiamo di ergerci al di sopra del nostro essere umano, di lasciarci alle spalle l’uomo, Dio diventa uomo e noi dobbiamo riconoscere che egli vuole che anche noi siamo uomini, uomini reali. Mentre noi distinguiamo fra pii e empi, fra buoni e cattivi, fra nobili e volgari, Dio ama l’uomo reale senza distinzioni. Non tollera che suddividiamo il mondo e gli uomini secondo i nostri criteri e che ci ergiamo a giudici su di essi. Ci riduce ad absurdum divenendo personalmente un uomo reale e un compagno dei peccatori, costringendoci così a divenire suoi giudici. Dio si pone dalla parte dell’uomo reale e del mondo reale contro tutti i loro accusatori. Egli si lascia accusare con l’uomo e con il mondo e trasforma così i suoi giudici in accusati.”

 

 

Il compito della Chiesa e il cristiano come testimone

 

Riflettere sul significato dell’Evangelo ci pone anche degli interrogativi su quale sia il compito della Chiesa e di sul nostro impegno di testimoni nel mondo e nella società in cui viviamo.

Torniamo ancora a Per la libertà dell’evangelo per ricordare che Karl Barth, nelle pagine da  20 a  25, si sofferma ad esaminare proprio il compito della Chiesa che può essere riassunto in questi punti:

 

La chiesa è la comunità umana in cui l’Evangelo viene annunciato e udito (pag.20).

Evangelo non significa: l’uomo per Dio! Ma significa in assoluto e soltanto: Dio per l’uomo!

Se la Chiesa vuol essere e rimanere Chiesa, deve vegliare tenacemente e gelosamente su questo annuncio come  se fosse la sua essenza, da non lasciar toccare neppure con un dito. (pag. 21).

La Chiesa sta o cade con il proprio Signore:

Deve interpretare per il popolo, deve interpretare nello stato, la Parola di Dio secondo la Sacra scrittura.

Deve indicare all’uomo, all’uomo del popolo e nello Stato, il Signore, ossia Dio quale Signore nella sua grazia e nel suo rigore.

Deve vivere la sua propria vita restare fedele all’indipendenza della sua essenza invisibile, ma anche all’autonomia della sua essenza visibile, Deve attestare la libertà dell’Evangelo nel tempo e sulla terra.

 

Sul tema testimonianza-testimone è interessante far riferimento a quanto Barth afferma in Il Cristiano come testimone – conferenza tenuta il 7 agosto 1934 agli studenti e alle studentesse della Conferenza estiva internazionale riunita a la Chataigneraie, presso Coppet, nel cantone di Vaud (quaderno n.2 di Esistenza teologica oggi) in Karl Barth, Volontà di Dio e desideri umani.

Ecco in sintesi i punti essenziali della sua argomentazione:

 

Testimonianza è una parola umana, cui è data da Dio la facoltà e la forza, davanti ad altri uomini e donne (Menschen), di richiamare alla loro memoria la signoria, la grazia e il giudizio di Dio. Là dove una parola umana ha questa facoltà e questa forza, ivi è la chiesa.

Testimone originario di Dio, testimone nel senso proprio della parola, non è un uomo ma Dio stesso. Uomini e donne diverranno, saranno e resteranno - ai suoi ordini e al suo servizio - testimoni della sua propria testimonianza (p. 137).

Un uomo o una donna diventano testimoni di Dio nella gratitudine per il fatto che Dio ci ha già dato la sua propria testimonianza.

Un uomo o una donna sono testimoni di Dio nell’atteggiamento riverente con cui subordinano la loro parola all’autotestimonianza di Dio.

Un uomo o una donna restano testimoni di Dio nella speranza che Dio vorrà darci ancora e di nuovo la sua propria testimonianza. (pag. 142)

“La vita cristiana non si svolge tra la nostra nascita e la nostra morte ma tra il nostro battesimo e la santa Cena, che ci annuncia sempre di nuovo la presenza di Gesù Cristo per noi, la presenza di Gesù Cristo come colui che rende buono ciò che noi non possiamo rendere buono. Avere una speranza significa avere davanti a noi Gesù Cristo come colui che trasforma in bene ciò che facciamo male. Colui che è su questa strada, colui che andando alla santa Cena va incontro a questo futuro: Cristo per me! rimarrà testimone. Egli infatti non ha come fondamento la sua propria bontà, pietà e serietà ma il fatto che Dio avrà ragione perché ha già avuto ragione in Gesù Cristo contro tutti gli uomini. Dopo ciò che è accaduto una volta per tutte («È compiuto»), il nostro futuro e il futuro del mondo sono sereni e la via è aperta anche per il testimone di Gesù Cristo. Egli sta sotto il segno: Venga il tuo Regno!”.

 

Il cristiano come testimone è l’uomo o la donna che davanti alla saggezza e stoltezza della sua parola si volge alla testimonianza

 

“La presenza di Dio è una parola pronunciata umanamente in tutta la sua concretezza. Per noi non c’è solo la parola della nostra sapienza e follia ma anche la parola della sapienza e follia di Dio. Questa parola possiamo servire, in essa possiamo sperare. Ce l’abbiamo? Lo sappiamo? Certamente, non è per negare il mondo che vogliamo fuggire là dove sia la testimonianza di Dio. No! Chi ha capito come stanno le cose compirà questa svolta con letizia e serenità, sapendo che c’è un luogo in cui può trovare rifugio e che lo aspetta: la testimonianza di Dio.

Noi tutti ci troviamo davanti a due domande. La prima è: la nostra sapienza e follia sono già diventate per noi ciò da cui dobbiamo fuggire? La seconda è: la sapienza e follia di Dio sono già diventate per noi la forte rocca in cui possiamo trovare rifugio? A queste domande non posso rispondere per tutti noi. Posso solo dirvi che sono queste le due domande decisive. E’ qui che si decide se siamo o non siamo testimoni di Dio. Posso solo rimandarvi ai profeti e agli apostoli. La loro decisone è stata di fuggire da loro stessi e volgersi alla testimonianza di Dio.  E se siamo i loro discepoli, dobbiamo fare ciò che i discepoli devono fare, cioè dobbiamo imparare. Se avete capito ciò che ho voluto dirvi oggi, dovreste averlo capito come un invito ad andare in quella scuola in cui si insegna questa fuga. Sempre in questa fuga e mai altrove la chiesa diverrà visibile. C’è chiesa dove c’è quella scuola in cui questo maestro è l’unico maestro e in cui vi sono scolari che vogliono imparare da lui.”

 

Jürgen Moltmann in Chi è Cristo per noi oggi? si interroga e riflette sul rapporto vangelo-evangelizzazione trasmettendoci un forte messaggio di impegno e responsabilità:

 

“Che ha da fare il vangelo con il futuro? Gesù porta il futuro di Dio agli uomini, e noi siamo invitati al futuro di Dio. Ciò costituisce un nuovo punto di vista, che esige una prassi nuova. Finora conoscevamo l’evangelizzazione solo come estensione del presente verso il futuro, ma non come anticipazione dello stesso futuro. Finora l’evangelizzazione serviva o alla diffusione della civiltà cristiana, o all’impiantazione della chiesa, o alla diffusione della propria esperienza di fede. Questa non era una missione in ordine alla fine, missione del regno di Dio, invito al futuro di Dio. Per questo le missioni cristiane hanno portato nel mondo più il denominazionalismo cristiano che preparato la via al regno di Dio. Ma che vogliamo propriamente, quando testimoniamo e predichiamo il vangelo?

 

1. Il termine vangelo compare materialmente per la prima volta in Isaia (52,7) e indica il messaggio di gioia che precede il grande invito, il regno liberatore di Dio. Si tratta dei messaggeri che annunciano l’avvento di Dio e che, mentre lo annunciano, inaugurano il nuovo tempo di Dio. Pure nel Nuovo Testamento il vangelo è un’entità messianica, e ciò è il regno di Dio racchiuso in parole. Esso è la parusia provvisoria di Cristo. «Dove si annuncia il vangelo, lì il Signore glorificato precorre nella sua parola, posta sulla bocca degli uomini, la propria comparsa, lì egli anticipa il proprio futuro nella presentazione di sé stesso come di colui che viene», dichiara lo specialista di esegesi neotestamentaria Heinrich Schlier. Vangelo e evangelizzazione sono quindi nel Nuovo Testamento dei termini e dei concetti messianici. Essi sono la parola e il linguaggio mediante cui Dio rivela il suo futuro e manifesta la sua nuova creazione di tutte le cose. Il vangelo è quindi anche la parola che libera i prigionieri, giustifica i peccatori, terge le lacrime dagli occhi e raddrizza gli uomini piegati. Esso è l’annuncio del tempo messianico: «La notte è ormai in fase avanzata, il giorno si avvicina!». Il vangelo è l’invito al futuro di Dio. Chi crede al vangelo, sperimenta le forze del mondo futuro (Ebrei 6,5) e entra nella primavera della nuova creazione.

 

2. L’evangelizzazione è né più né meno che un invito. Essa non è un indottrinamento e neppure una conversione, ma una preghiera: «Lasciatevi riconciliare con Dio!».  Quanti testimoniano consapevolmente o inconsapevolmente il vangelo e quanti sono incaricati di annunciarlo non hanno altra autorità che quella della preghiera. Si tratta dell’autorità del Cristo pregante, che in croce porta i nostri peccati e con le braccia distese ci invita: «Venite, perché tutto è pronto». Colui che prega non costringe né minaccia: se oggi non ti decidi, andrai all’inferno! Colui che prega cerca di indurre ad accettare il proprio invito. Fa appello alla libertà degli invitati. Dio ha riconciliato a sé il mondo in Cristo, per cui l’invito: lasciatevi riconciliare con Dio! La riconciliazione è possibile. Similmente: Dio creerà nuove tutte le cose, per cui l’invito: afferra queste possibilità! Esse sono già qui, in te e presso di te. La pace è possibile. La giustizia è possibile. La liberazione è possibile. Dio ha reso possibile l’impossibile, e noi siamo invitati a sfruttare le nostre possibilità di vivere. Partecipate al rinnovamento della società e della natura.

 

3. Come si distingue questo invito al futuro di Dio dalla missione mediante la diffusione del cristianesimo esistente?

Per dirla in parole semplici: mediante la speranza nel nuovo. Noi non vogliamo diffondere la civiltà occidentale, ma invitare gli uomini di tutte le civiltà alla nuova creazione di tutte le cose. Non vogliamo estendere il regno e il potere della «Chiesa che unica rende beati», ma sperimentare le nuove creazioni dello Spirito di Dio in altre culture. Non dobbiamo fare di tutti gli uomini dei luterani o dei ‘battisti’ o fondare dappertutto comunità cattolico-romane, bensì ovunque noi annunciamo il regno di Dio, lì il popolo di Dio si raduna automaticamente, fa spontaneamente le proprie esperienze e spontaneamente sviluppa le proprie esperienze di fede e di culto. La nuova creazione è variopinta e molteplice come la creazione all’inizio. L’uniformità ecclesiale reprime il pluralismo dello Spirito Santo e dei suoi carismi.

 

Non il regno di Dio esiste per la chiesa, bensì la chiesa esiste per il regno di Dio. Tutti gli interessi specifici della chiesa vanno perciò subordinati all’interesse di Gesù per il regno di Dio. La chiesa non è al servizio della chiesa. Essa è al servizio di qualcosa di più grande di sé stessa: è al servizio di Dio e del suo futuro per tutti gli uomini, al servizio della nuova creazione di tutte le cose per la vita eterna.”

 

Dunque evangelizzazione come invito ad annunciare che “Dio è per l’uomo!”, testimonianza come impegno a trasmettere un messaggio di speranza nella capacità creativa e rinnovante dello Spirito di Dio. Secondo questa prospettiva la chiesa e i credenti sono al servizio di Dio mantenendo la propria la propria autonomia e attestando la libertà dell’Evangelo.

 

Valdo Pasqui

 

Riferimenti bibliografici

 

Karl Barth, “Evangelo e Legge”, conferenza tenuta a Bonn il 7 ottobre 1935  in Karl Barth, Volontà di Dio e desideri umani, Claudiana, 1986.

 

Karl Barth, Introduzione alla teologia evangelica, Edizione Paoline, 1990.

 

Karl Barth, Per la libertà dell’evangelo, Castelvecchi, 2013.

 

Karl Barth, Volontà di Dio e desideri umani, Claudiana, 1986.

 

Dietrich Bonhoeffer, “Etica come conformazione. Estate 1940 - 13 novembre 1940” in Dietrich Bonhoeffer, Etica, Queriniana, Brescia.1995.

 

Martin Lutero, Opere scelte Vol. I Il piccolo Catechismo. Il Grande Catechismo, Claudiana, 1998.

 

Jürgen Moltmann, Chi è Cristo per noi oggi?, Queriniana, Brescia 1995.

 

 

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