Koinonia Luglio 2017


IL SILENZIO

 

Quello del silenzio è un tema da immettere nella vita quotidiana. Certamente non è in prospettiva intimista che vorrei inserire la riflessione sul silenzio. Oggi c’è questo culto del solipsismo, della solitudine, della capacità di astrarre dal contesto, di seguire i propri sogni. È quell’atteggiamento che tante volte siamo costretti ad assumere di fronte ad un mondo ciarliero, rumoroso, un mondo di consumismo di gesti e di parole, per salvaguardare un minimo di intimità di vita, per fare economia di malinconie. Questa è una “dieta” molto delicata e difficile, cioè fare silenzio, far tacere le malinconie inutili.

Invece io mi situo nel contesto  di persone che vogliono vivere in solidarietà, vogliono portare un contributo, rimanere immersi nella storia e contemporaneamente vogliono anche qualificare un rapporto religioso. Oggi la comunità cristiana ribadisce, con un ritmo sempre più incalzante, che la santità non è prerogativa esclusiva di alcune categorie di cristiani, ma è l’atteggiamento fondamentale di ogni credente: ogni credente è chiamato ad essere un santo di Dio. Quando oggi si parla di “vocazione universale alla santità”, si vuole appunto affermare che esiste un atteggiamento profondo che non contrasta né con la laicità né con l’impegno. Nel momento in cui viene valorizzata sempre di più la laicità come vocazione specifica, nel momento in cui viene richiamata la responsabilità di una presenza autentica, qualificata, promozionale della storia, viene anche affermato questo dato: queste persone che vivono nella storia, che sono laiche fino in fondo (cioè non sono né pseudopreti né pseudo-religiosi), hanno una religiosità che non deve essere considerata come una realizzazione imperfetta, graduale, di una spiritualità piena, che sarebbe quella monastica o quella consacrata. In questo contesto mi domando che cosa possa significare il silenzio: è un richiamo ad un equilibrio psichico? È il bisogno di creare le condizione per una disponibilità, per una interiorità? È quel contesto senza il quale non riusciamo ad impegnarci per un lavoro produttivo? Allora, cos’è questa realtà del silenzio? È difficile poterla definire, anche perché in essa si contemperano gli atteggiamenti personali e le condizioni socio-ambientali.

Siamo tutti torturati, violentati dal rumore delle nostre città, dal ciarlare, dalle radio, dalle televisioni. Io credo che il silenzio è un modo di situarsi nella realtà, è un modo di essere; è un atteggiamento, non è un atto. Per un certo tempo è un’ascesi, ma se fosse un’ascesi per tutta la vita, significherebbe che è un’ascesi sbagliata. Ad un certo momento deve diventare un’atmosfera di vita, un ambiente, uno stile. Credo che ci siano tanti silenzi quanti sono, per esempio, gli stili architettonici: ci sono silenzi barocchi, silenzi romantici, silenzi gotici Cioè ognuno ha il suo stile di silenzio; il silenzio non è ripetitivo; è un po’ l’atmosfera della personalità che ognuno si trova a vivere.

È un po’ come il volto: ognuno è responsabile del volto che si dà, del volto nel quale si accoglie e si lascia accogliere. Il silenzio è questa realtà dai contorni piuttosto indefiniti, ma molto veri.

 

P.Dalmazio Mongillo op

 

*Oreundici ha  preso l’iniziativa di pubblicare il testo di una relazione fatta dal P.Dalmazio Mongillo anni fa in uno dei suoi convegni sul tema “Il silenzio”(Gli scoiattoli, n.3/2017). Ne riprendiamo una piccola parte, anche come occasione per tenere viva tra noi la presenza e la memoria di un amico e confratello che ci è stato veramente e sempre vicino! Anche lui ha incarnato un modo di essere domenicani  tutt’altro che conformista.

.