Koinonia Luglio 2017


INTERVISTA A TIMOTHY RADCLIFFE

a cura di Alain Elkann

La Stampa, 23/07/2017

 

“Nella vita moderna ci vorrebbe un’ora di silenzio al giorno”

 

Il frate domenicano Timothy Radcliffe fa parte della comunità dei Blackfriars, a Oxford, ed è stato Maestro Generale dell’Ordine dal 1992 al 2001.

 

Perché ha scelto di farsi frate?

«Ero un ragazzaccio, sempre imboscato a fumare o a cercare il modo di infilarmi in un pub. Non ero per nulla interessato alla religione ma tutti intorno a me dicevano: “Non è vero niente” e per reazione, per curiosità intellettuale ho iniziato a chiedermi: “È vero o no?”, a leggere filosofia e teologia. Sono diventato domenicano perché il motto è “Veritas”. Voglio pensare, voglio studiare, senza barriere o veti. I miei confratelli mi sembravano pieni di vita, e felici. Ho pensato, è la vita che fa per me».

 

In che modo la religione aiuta a vivere?

«Non ho fede perché è utile. Ho fede perché credo sia una bellissima verità e il motivo ultimo per vivere. Credo che tutte le religioni, se non sono distorte, invitino alla vita nel modo più completo e profondo».

 

Come mai la gente ha bisogno di religione e non solo di spiritualità?

«Gli uomini desiderano dare un senso alla loro vita. Sappiamo che l’universo esiste da 13,5 miliardi di anni. Sappiamo che moriremo e un giorno anche la Terra scomparirà. Personalmente vedo nell’amore un segno di questo scopo. Ma il senso della religione è cercare insieme, in una comunità, di trovare un significato al vivere. Non siamo solo individui, siamo anche esseri gregari, per questo abbiamo bisogno di raccoglierci nelle moschee, nelle chiese, nelle sinagoghe».

 

Lei pensa che tutte le religioni siano mezzi per raggiungere lo stesso luogo?

«Sarei lieto di dirlo, ma è oltre la nostra capacità di comprensione. Siamo tutti in cerca di un’unica verità. La vita eterna inizia adesso, quando amiamo qualcuno. Morendo entriamo nel pieno mistero di un amore che già conosciamo. Non è come prendere un treno da Oxford a Londra, non è andare da un’altra parte, inizia qui e adesso».

 

La fede si può imparare?

«Sì e no. C’è chi crede in Dio e chi è ateo ma tutti credono in qualcosa. Nell’amore, nella democrazia. Da lì si può trovare un linguaggio comune».

 

In generale viviamo immersi nel dubbio. E dubitare è segno d’intelligenza. L’intelligenza ha a che fare con la fede?

«Nella tradizione cattolica fede e ragione sono strettamente collegate. Nel XIX secolo fu dichiarato ufficialmente che la fede nella ragione è parte della fede cattolica. La fede può andare oltre la ragione ma mai contro la ragione. Ecco perché la cristianità ha fondato le università di Oxford e Cambridge e Parigi e Bologna e Madrid. La nostra fede dovrebbe essere tanto intelligente quanto noi lo siamo in altri campi. Un premio Nobel dovrebbe avere una fede all’altezza del suo intelletto. San Tommaso d’Aquino, un domenicano, come me, è uno dei maggiori filosofi dell’Occidente. Filosofia significa amore della conoscenza e ogni religione rettamente intesa è anche saggia».

 

Come spiega le tante guerre di religione del passato?

«Le guerre fanno parte della storia dell’umanità e in guerra si usa ogni mezzo per vincere, tanto il nazionalismo come la religione. Non è corretto dire che c’è la religione all’origine della guerra. Direi piuttosto che gli esseri umani per secoli hanno coltivato la violenza usando la religione per imporla o giustificarla. Il credo religioso faceva così parte della cultura comune che si trattava più che altro di imporre un sistema di vita. C’è stata molta violenza nel nome della fede, ma anche religiosi che a questa violenza si sono opposti».

 

Il cristianesimo aspira alla pace interiore?

«È un punto cruciale. Abbiamo vite complesse, attraversiamo crisi e conflitti e delusioni, la pace interiore è fondamentale. Gesù dice: “Vi do la pace, vi porto la mia pace”. Che è quella che dobbiamo tenere al centro delle nostre vite. Servono postura, respirazione, e silenzio. Il silenzio è molto importante. In Israele abbiamo fondato una comunità, un luogo di pace a metà fra un kibbutz, un villaggio musulmano e un centro cristiano. Accadeva attorno al 1968 quando ero studente. Era una casa del silenzio: tutte e tre le religioni erano riunite lì per osservare il silenzio. Il nostro stile di vita richiederebbe almeno un’ora al giorno di silenzio».

 

Come si comunica la fede?

«Intanto è importante il rapporto con le persone creative. La fede si diffonde attraverso il dialogo con i musicisti, i poeti, gli artisti, i registi. C’è un legame profondo tra religione e pensiero creativo. E poi non va perso il contatto con i più poveri. Dovremmo ricordarci di loro e aiutarli con ospedali, cure mediche e sviluppo. Metà degli ospedali africani sono gestiti dalla chiesa».

 

Com’è messo oggi il cattolicesimo?

«Sono un grande fan di papa Francesco, sta compiendo meraviglie facendo progredire la chiesa in modo più rilassato e meno centralizzato. Certo, incontra resistenza, ma ci sta guidando verso la libertà e la spontaneità, riuscendo a entrare in contatto con ogni comunità».

 

Il mondo moderno richiede una religione moderna?

«Va superata l’idea che il sacro consista innanzitutto nell’obbedire alle regole e associarlo piuttosto alla vita, alle virtù, alla forza interiore. Le vecchie religioni possono diventare nuove. Papa Francesco è solito citare Sant’Ireneo, che parla della novità di Cristo. Le religioni sono in continua evoluzione, dobbiamo pregare per la fratellanza fra le fedi, non fomentare le divisioni».

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