Koinonia Luglio 2017


DOVE SI RICOMPONE LA CHIESA

 

In definitiva, è caduta quella visione della Chiesa gerarchica, per cui il vescovo era come il vino che più era vecchio, più era buono, illuminato, vicino a Dio nella preghiera, e quindi guida e modello del popolo. Questa immagine l’ha distrutta lo stesso Paolo VI quando ha posto il limite di età di settantacinque anni per i vescovi, e il limite di ottanta per i cardinali elettori nel sacro Collegio.

E questo potrebbe anche essere giusto, in quanto non è affatto escluso, anzi potrebbe essere consigliabile, che la Chiesa si dia anche delle forme organizzative democratiche. Ma allora la strada si deve percorrere fino in fondo, e mettere perciò i vescovi dentro strutture di base, attraverso le quali possano essere effettivamente a contatto con la realtà.

Altrimenti, si verifica che non c’è più la vecchia struttura monarchico-gerarchica, ma non c’è neanche una nuova struttura in cui il vescovo sia l’espressione di comunità di credenti che vivono i problemi nell’immediatezza, e si ha invece l’oligarchia di alcuni vescovi che, nella misura in cui sono funzionali alla linea del gruppo centrale, sono portati dentro i convegni di rilancio e dentro una strategia di rifondazione.

Se io potessi essere ascoltato e contare qualche cosa in questo, direi che il vescovo deve riscoprire le possibilità del suo ministero, in un rapporto, appunto, con le comunità, mettendosi anche lui alla ricerca di che cosa possano significare oggi i segni sacramentali, qual è la ricchezza dell’esperienza di preghiera che sta emergendo in alcune comunità, qual è un possibile rapporto diverso tra fede e impegno politico.

È lì, secondo me, che ci può essere una reale rifondazione del vescovo. Questa è una strada percorsa dagli episcopati di altri paesi. Non si tratta tanto della strada del riciclaggio e del l’aggiornamento del vescovo in sedi separate, quanto, piuttosto, di vescovi che cominciano a frequentare le Comunità di base, ad ascoltarle, a non dover sempre dire delle opinioni conclusive.

Questa può essere una strada di ricomposizione. Io non userei, quindi, l’espressione che ha usato don Milani - in modo provocatorio, come lui sapeva fare - di rieducare il vescovo; non vorrei parlare di rieducare i vescovi, anzi, temo che ci sia questo disegno nella linea del convegno su «Evangelizzazione e promozione umana».

Piuttosto vorrei dire di ricomporre la Chiesa; e che bisogna scegliere dove ricomporla. Si ricompone intorno alla struttura territoriale della parrocchia? Si ricompone intorno agli alti luoghi dei santuari e delle basiliche? Si ricompone intorno ai documenti del magistero? O la si ricompone intorno all’esperienza viva, per quanto duttile, precaria e talvolta discontinua, dei credenti che seguitano a mandar sassi, a mandar provocazioni, a sentire disagio nel matrimonio concordatario, nel battesimo dei bambini, nella prassi del confessionale, nella catechesi come è fatta in certi ambienti parrocchiali e da certe suorine, a sentire il disagio di come sono gestite le opere di assistenza e beneficenza?

Secondo me, il luogo di coagulo e di riaggregazione, e quindi anche di riscoperta del proprio ministero - almeno io l’ho vissuto così - è proprio lì, dove sono i problemi, dove la gente comincia ad anticipare, a rompere il passo, a discutere, perché lì in fondo la fede è un fatto genuino, è una risposta, talvolta magari selvaggia, che ha però una sua qualità e non è inquinata dal pensiero che si possa essere all’interno di un disegno politico che voglia o ricondurre le cose a una omogeneità, a una compattezza pre-conciliare, o guidarle invece verso mediazioni nuove che possano servire per un futuro compromesso con le diverse 

 

Giovanni Franzoni

In Le cose divine, EDUP Roma 2006, pp.454-55

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