Koinonia Giugno 2017


Come Mons.Silvano Piovanelli ricordava

 

DON LORENZO MILANI

 

Undici, come una squadra di calcio. Era il 13 luglio 1947. La foto ufficiale li ritrae, subito dopo l’ordinazione, nel corridoio del palazzo arcivescovile di Firenze. Don Lorenzo Milani è il secondo da sinistra nella fila centrale. Don Silvano Piovanelli è il secondo da destra nella fila in alto. Con gli undici sacerdoti novelli, in posa, seduti, il cardinale Elia Dalla Costa, monsignor Enrico Bartoletti e il rettore del seminario monsignor Giulio Lorini.

Piovanelli, che era di un anno più giovane di don Milani, ricordava bene l’ingresso in Seminario del suo amico: “Quando nel novembre 1943 arrivò Lorenzo, ci accorgemmo subito che entrava come convertito. La sua tempra era d’acciaio e il suo atteggiamento era radicale soprattutto nella povertà. Al posto del letto volle una branda. Le scarpe se le fece da solo ritagliandole da un fascione di motocicletta. Lui entrava dopo aver fatto un anno di università, mentre alcuni di noi erano lì già da 8 anni. Lui ne aveva 20, uno più di noi, ma soprattutto aveva un’esperienza diversa che si rifletteva anche nello studio. Il suo metodo era quello della ricerca mentre noi, al suo confronto, eravamo tutto sommato solo dei liceali. Un’altra cosa che ci colpì subito fu la sua sincerità spudorata, a partire da se stesso. Mi ricordo, ad esempio, che quando dette l’esame di Sacra Scrittura, non sapeva rispondere ad una domanda della commissione. Allora, il nostro professore, che era monsignor Bartoletti, gli suggerì la risposta. E lui: “Il professore mi ha detto così...”. Era la verità. Perché non si deve dire la verità? Un altro episodio che testimonia la radicalità della sua scelta è quando morì suo padre. Il rettore lo mandò a casa e lui, la sera stessa, tornò in seminario. “Questa è la mia famiglia’, disse citando il Vangelo “Chi non lascia sua padre e sua madre...”».

Nonostante questa rigidità e il carattere non sempre semplice, don Milani godeva della stima dei suoi compagni di Seminario. «Al nostro interno - confermava Piovanelli - lo apprezzavamo molto. Siamo stati sinceramente amici. Certo ci appariva un po’ esagerato nelle sue posizioni. Ma poi, crescendo, acquisendo esperienza, nella vita e anche assumendo delle responsabilità, mi sono sempre più convinto che l’esagerazione è la misura giusta. Noi siamo amati da Dio in modo esagerato e quindi la nostra risposta non può che essere esagerata. Mi sono accorto quindi che la sua esagerazione era solo coerenza evangelica. E mi sembra un esempio importante in questo nostro tempo in cui siamo chiamati a passare da un cristianesimo di tradizione a un cristianesimo di convinzione».

Di don Milani, diceva Piovanelli, «rimane l’esempio di una scelta alta dei mezzi migliori per promuovere l’uomo affinché l’uomo sia libero di scegliere. Rimane la scelta dei poveri. Rimane la sua tensione pastorale alla missione. Rimane la sua fede, perché non si spiega don Milani se non come un prete che ha fede».

Piovanelli, nel 1987, fu il primo cardinale a celebrare una Messa a Barbiana nell’anniversario della morte del «Priore». Lo sottolinea Michele Gesualdi nel suo Don Lorenzo Milani. L’esilio di Barbiana (Edizioni San Paolo) precisando che «non si trattò di una cerimonia pubblica, ma di una celebrazione con i compagni di Seminario ancora viventi, in occasione del loro quarantesimo anniversario di sacerdozio». Il cardinale, che tra l’altro sarebbe sopravvissuto a tutti i compagni di Seminario, scrisse di proprio pugno una lettera d’invito su carta intestata dell’Arcivescovado di Firenze. Nella missiva datata i9 giugno 1987 si ricordava tra l’altro il fatto che don Lorenzo fosse sepolto lì, «nel piccolo cimitero parrocchiale», e che gli anniversari, di fatto, fossero tre: i quarant’anni dalla loro ordinazione, i vent’anni dalla scomparsa di don Milani e i dieci da quella di monsignor Bartoletti.

Piovanelli avrebbe poi ricordato don Milani in più occasioni. In un caso lo fece in modo solenne. Fu per il suo venticinquesimo di ordinazione episcopale. Per un atto di «amicizia sincera e di comunione», il cardinale Ennio Antonelli volle che fosse il suo predecessore a presiedere in Santa Maria del Fiore la concelebrazione eucaristica nella festa del patrono san Giovanni Battista il 24 giugno 2007, giorno dell’anniversario dei venticinque anni di episcopato, a pochi giorni dai sessanta di sacerdozio.

«Anche mia madre - ebbe a dire Piovanelli durante la concelebrazione - pensava che il sacerdozio ministeriale era la cosa più grande della mia vita. L’ho scoperto dopo la sua morte, allorché una ragazza mi scrisse: “Ormai desidero dirle quello che la sua mamma mi disse quel giorno in cui lei arrivò da Roma vestito di rosso (dopo aver ricevuto dal papa la berretta cardinalizia). Al termine della cerimonia mi avvicinai alla sua mamma e chiesi che cosa provava nel vederlo con quella veste rossa e lei mi rispose: “Che vuoi, nina, l’emozione è stata quando è salito all’altare la prima volta, queste non sono che preoccupazioni”». Poi, a proposito di don Milani, ricordò come fosse stato il primo tra i compagni di Seminario «a partire per il cielo»: «Ci ha preceduti tutti nella coerenza di una vita evangelica senza compromessi e totalmente donata ai poveri e ci ha preceduto anche nel ritorno al Padre. In una lettera alla mamma scrive parole che in qualche modo descrivono la temperie spirituale della nostra preparazione al sacerdozio: “Io mi sono preso tutte le libertà possibili e immaginabili e poi mi sono accorto che c’era una grande cosa (la più grande) che non potevo fare. Prima di morire mi voglio prendere anche questa libertà di dir Messa”».

In altre circostanze Piovanelli aveva raccontato di come don Milani avesse scoperto il segreto della Messa quando trovò nella cappella della villa di famiglia un messale e, dopo averlo letto, scrisse a un amico: «Ho trovato un messale. Ho letto la Messa. Ma sai che è più interessante dei Sei personaggi in cerca d’autore?».

 

Andrea  Fagioli

 

In Silvano Piovanelli – Padre, fratello, amico,

Società editrice Fiorentina 2017, pp.15-20

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