Koinonia Giugno 2017


ALLE ORIGINI DEL FENOMENO MIGRATORIO

EVIDENTI LE CAUSE, IMPOSSIBILI (O QUASI) LE SOLUZIONI

 

In un recente articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano Furio Colombo, attento analista di cose politiche, affrontando il tema delle attuali migrazioni di massa dei popoli africani o del Medio Oriente verso l’Europa, e l’Italia in particolare, ha acutamente osservato che questi disperati sono troppi per essere accolti a cuor leggero. Anche se spesso non lo dicono, essi chiedono di essere accettati e integrati (con un lavoro, una casa, una scuola per i figli); e come è possibile dare loro tutto questo se continuano ad arrivare in così grande numero? Di qui il dilemma: o siamo “buonisti” e li accogliamo tutti, creando però nei nostri paesi una situazione di estremo disagio, particolarmente nelle periferie urbane, dove fatalmente la maggioranza di questi immigrati andrà ad abitare, o siamo “respingenti”, ma in tal modo lasceremo morire un numero incalcolabile di esseri umani che periranno in mare o lungo le rotte balcaniche per mancanza di cibo e di cure necessarie. A parte alcuni paesi europei che si illudono di risolvere il problema nel modo più drastico, chiudendo le frontiere senza curarsi di ciò che avviene al di là, le nazioni più “civili” (e tra queste l’Italia) si sforzano di adottare soluzioni parziali: in base al diritto di asilo vanno accolti i profughi in arrivo dalle zone di guerra (in particolare, nella situazione attuale, i siriani, il cui paese, oppresso dalla dittatura di Assad e al tempo stesso martoriato dall’ISIS, è  in preda a una guerra civile), ma non i migranti “economici” che fuggono dai loro paesi d’origine a causa della fame.

A una prima riflessione si può subito affermare che questa scelta non risolve il problema. Al massimo lo può attenuare e rimandare di qualche tempo.

Infatti la grande massa dei migranti non viene dal Medio Oriente, ma dalle zone più povere dell’Africa Nera, dove le condizioni di vita della maggioranza della popolazione sono veramente inaccettabili. La messa in crisi dell’agricoltura di autoconsumo, sostituita da prodotti di esportazione, espelle dalle campagne le popolazioni locali che sono costrette a spostamenti di massa verso le aree urbane. Di qui la creazione di vere e proprie megalopoli con periferie ipertrofiche, abitate da disperati senza lavoro, che vivono in baracche prive dei servizi essenziali, perseguitati dalla fame come dalle malattie, prima fra tutte l’aids, che falcidia ogni anno centinaia di migliaia di vittime (1). Un continente potenzialmente ricco, ma strangolato da oligarchie crudeli e corrotte, socie d’affari di multinazionali straniere (e oggi anche di affaristi cinesi, i nuovi ricchi del post comunismo), affamate di petrolio, di uranio, di oro, di diamanti.

È una storia antica. In ogni parte del mondo, da secoli, lo sfruttamento dei popoli di quello che a lungo fu chiamato Terzo Mondo è stato il frutto dell’intreccio perverso tra interessi stranieri e quelli delle oligarchie locali. L’Africa è un caso emblematico. I secoli della tratta, che svuotò il continente delle sue forze migliori, videro l’alleanza fra i negrieri europei e i sovrani dei singoli stati che non solo vendevano i propri sudditi già schiavi, ma addirittura promuovevano vere e proprie razzie delle popolazioni dell’interno per vendere le donne e gli uomini catturati. Finita l’epoca della tratta, le potenze coloniali che si spartirono il continente imposero alle popolazioni locali tasse, corvée e sfruttamento di terre e miniere con la collaborazione di una minoranza di indigeni che sarebbe poi diventata la nuova borghesia africana.

Con la fine del colonialismo, dagli anni ‘60 del secolo scorso a oggi, le cose non sono migliorate per la grande maggioranza della popolazione. L’Africa vive infatti in una condizione di dipendenza dalle multinazionali e dal capitale finanziario con il compiacente appoggio delle potenze mondiali vecchie e nuove: Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Russia, Cina e in misura minore anche l’Italia. Le cause reali delle stesse guerre intestine, che vengono presentate come conflitti tribali o religiosi, sono riconducibili a ben evidenti interessi economici: controllo del territorio, e particolarmente delle zone più ricche di minerali.

Come possiamo dunque meravigliarci dell’esodo di milioni di africani (ma tale cifra è destinata ad aumentare negli anni futuri) verso l’Europa, che ai loro occhi rappresenta il paradiso in terra? Per tanti di loro qualsiasi prezzo (violenze, stupri, ruberie, persino la morte) può essere pagato pur di raggiungere questo sogno. È un processo incontenibile, di cui non ci rendiamo conto fino in fondo. Del resto proprio i poteri forti che gestiscono l’economia mondiale (Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale…) hanno tutto l’interesse ad occultare le cause di questo dramma umano di dimensioni finora sconosciute. Ma se non cambiano le politiche economiche neoliberiste, e questo i poteri forti non lo vogliono di certo, il problema dei migranti non avrà soluzione, anzi non farà che incancrenirsi. Sempre più morti fra i migranti, ma anche sempre meno sicurezza nelle roccaforti del ricco Occidente. L’accresciuta presenza degli extracomunitari, in mancanza di adeguate, e perciò costosissime, politiche di accoglienza e integrazione sta portando da un lato a reazioni scomposte e violente contro di loro e dall’altro tra gli stessi immigrati un senso diffuso di frustrazione e di rabbia che in molti casi può trasformarsi in fanatismo e odio nei confronti del mondo occidentale nel suo insieme (2).

Le cause dell’attuale fenomeno migratorio sarebbero facili da individuare, se non fosse per la deliberata volontà dei governi dei paesi più ricchi di occultarle agli occhi della gente comune. Così tanta parte della popolazione dell’Europa e dell’America non si rende conto che l’unica via per affrontare questo dramma di dimensioni planetarie è quello di imporre una radicale inversione di rotta agli indirizzi della politica economica oggi dominante a livello mondiale (3). Devono cessare le politiche neocolonialiste che strangolano i popoli del Sud del mondo (4), anche se ciò significa, da parte dei singoli stati dei paesi ricchi, opporsi senza incertezze agli interessi delle multinazionali e dei poteri finanziari di casa propria.

Tali prospettive che attualmente, tra i grandi della terra, vengono propugnate solo da papa Francesco, sono indicate come soluzioni necessarie soltanto da minoranze di “estrema sinistra”, come vengono descritte dai neoliberisti vecchi e nuovi (5), ma in realtà sono frutto di semplice buon senso, le uniche realistiche se vogliamo un futuro vivibile per gli abitanti dell’intero pianeta.

 

Bruno D’Avanzo

 

NOTE

(1) Il padre comboniano Alex Zanotelli, quando era missionario a Korogocho, una disastrata periferia di Nairobi, in Kenia, ci raccontava che quando veniva anche per brevi periodi in Italia non sapeva, tornando alla sua missione, quanti suoi parrocchiani non avrebbe più rivisto perché uccisi dall’aids.

(2) Possiamo affermare con certezza che la fortuna dell’Isis trae forza proprio da queste contraddizioni irrisolte.

(3) Una semplice politica di accoglienza, certamente necessaria per salvare vite umane,  risponde solo a una situazione di emergenza, ma non risolve il problema.

(4) Finora i rapporti fra i paesi “ricchi” e paesi “in via di sviluppo” si sono basati sullo scambio ineguale: per secoli il Nord del mondo acquistava a prezzi bassissimi prodotti agricoli e minerali provenienti dal Sud, mentre il Sud importava a prezzi molto alti i manufatti dei paesi del Nord. In questi ultimi decenni di globalizzazione neoliberista molti imprenditori dei paesi industrializzati hanno trovato conveniente delocalizzare le proprie fabbriche in paesi dove la manodopera costa di meno, dove pagano meno tasse e dove i costi delle materie prime sono molto bassi. Al tempo stesso le protezioni sindacali nei paesi ricchi si sono indebolite e ciò ha  provocato un netto peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori: meno diritti, precarietà diffusa, salari più bassi. È un modello economico da “terzo mondo” che si sta estendendo anche da noi, provocando la riduzione progressiva della classe media.

(5) Le scelte economiche neoliberiste, oggi, in Europa come in America, non sono praticate solo dalla destra classica, ma anche da partiti che si definiscono ancora progressisti o di centrosinistra. Per questo i mass-media tacciano di estremismo tutti coloro che propongono una più forte presenza dello stato negli indirizzi economici dei singoli paesi e la difesa dello stato sociale, ritenendo che l’obiettivo di un governo giusto non è solo quello di far produrre di più, ma di garantire una più equa distribuzione della ricchezza: in pratica una politica che fino a ieri veniva considerata semplicemente riformista.

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