Koinonia Giugno 2017


QUALE FEDE TROVERÀ?

Non è colpa della secolarizzazione

 

Sono appena tornata da Praga dove è viva ancora la memoria di Jan Hus che, fino a quel 1414 in cui fu bruciato come eretico (quando nessuno sapeva che nel 1483 sarebbe nato Lutero), così confortava i praghesi. “fedele cristiano, cerca la verità, ascolta la verità, apprendi la verità, ama la verità, di’ la verità, attieniti alla verità, difendi la verità fino alla morte: perché la verità ti farà libero dal peccato, dal demonio, dalla morte dell’anima e in ultimo dalla morte eterna” (cfr. Spiegazione della Confessione di fede, 1412). Rifacendosi ad Agostino e al pensiero di un più antico riformatore inglese, John Wycliffe (1331 - 1384), condannava già la corruzione dei pontefici romani, a partire dalla discussione teologica sulla povertà della Chiesa e sulla legittimità del primato, perché solo Cristo è il capo della chiesa universale dal momento che ha detto: Edificherò la mia chiesa sopra ciò che è stato confessato da Pietro, quando diceva “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Nell’udienza 8 giugno 1415 del Concilio di Costanza Hus sostenne che quelli che il protestantesimo avrebbe chiamato i papisti “ragionano da miscredenti perché mancano di fede formata dalla carità e posseggono ormai una fede morta”.

Non intendo ragionare su eventuali eresie di Hus, anche se moralmente tormenta far parte di una chiesa che rispondeva alla libertà di ricerca religiosa con le condanne a morte (formalmente e definitivamente abolita nel 2001). Mi interessa, invece, la definizione di fede morta attribuita nel sec. XV al tradizionalismo e alla conservazione irreformabili. Tra Medioevo e Rinascimento la gente aveva maggior confidenza a ragionare pubblicamente sulla fede e i suoi contenuti di quanto non abbia oggi e confrontava senza scandalo le ragioni dei predicatori di diverso orientamento: voleva “capire” e la stampa incominciava a far venir voglia di imparare a leggere.

Disgraziatamente la conoscenza storica comune non segue l’incarnazione della fede vissuta e mi sono convinta (cfr. il sito Viandanti) che, negli anni in cui si decantava la Riforma, molte credenze calate dall’alto apparivano “fede morta” per fedeli che nella tradizione stavano stretti. Infatti, se già Wycliffe rifiutava il dogma della transustanziazione, l’importanza della cresima, le indulgenze, le messe di suffragio, il culto dei santi, le reliquie e i pellegrinaggi, correvano in giro per l’Europa  discussioni teologiche che oggi appaiono ancora ardite…. Saltando tutti i passaggi, si può dire in sintesi che sarebbe stato possibile ad una Chiesa non impaurita dalla pluralità delle idee in circolazione evitare la Riforma e, soprattutto, la Controriforma.

Papa Francesco riconosce che “Lutero voleva rinnovare la Chiesa e non dividerla”, ma la Controriforma ancora ci perseguita. Quando Carlo Maria Martini accusava i “duecento anni di ritardo”, era indulgente. Il sordo, ma efficace boicottaggio del Concilio Vaticano II ha alimentato sostanzialmente l’immobilismo, perfino liturgico: infatti la messa nelle lingue comuni non era una vera riforma, solo una necessità improcrastinabile. Oggi la Chiesa si trova come nel XVI secolo, semper reformanda, ma con l’aggravante che allora era costuma che entrasse nella quotidianità e, dal basso, producesse fermenti, mentre noi, a prescindere dai livelli culturali, non ci accorgiamo nemmeno di avere esigenze insoddisfatte.

Ne è dimostrazione la lunga sollecitazione con cui p.Alberto Simoni conclude una sua recente riflessione sulla Koinonia che, “intesa come denominazione riassuntiva del nostro impegno,  vuole essere un tentativo ripetuto di risposta a questa sfida, che è prima  di tutto nelle cose e che chiama in causa l’esistenza stessa della chiesa nel mondo: quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora fede sulla terra?” (cfr. Koinonia-forum 522 del 16 maggio). Certo non potrà trovare una fede “morta”, per incompatibilità dei termini, non certo per colpa della facile accusa di secolarizzazione, che è invece conseguenza della pervicace opposizione alle riforme.

 

Se vogliamo ridurci allo schematismo, per conteggiare il prezzo di non aver percepito i “segni dei tempi” (come mai non ha avuto continuità il metodo filosofico introdotto da Giovanni XXIII?) possiamo collazionare, dietro l’Inquisizione, la condanna dell’Illuminismo (perché democratico, non perché anticlericale), della rivoluzione francese (ma non a causa della ghigliottina), del sostegno alle monarchie e alla restaurazione, del liberalismo e dei patriottismi risorgimentali, del socialismo con tutti gli -ismi del secolo XIX, femminismo tuttora compreso, e dell’equivoco sostegno al pensiero reazionario, all’antisemitismo, alle dittature, al nazismo e al fascismo. La Gaia scienza fu pubblicata nel 1882, ma quando Nietzsche (non Guccini) disse “dio è morto”, un certo modo in “comprendere Dio” era già privo di senso. Sul piano scientifico nella scuola dell’obbligo odierna si dovrebbe avere una conoscenza storica che incrocia i nomi di Einstein, di Marx, di Freud: i parroci lo sanno?.

Per questo Gesù stesso - e non solo p.Alberto - nel chiedere se, quando il Figlio dell’uomo tornerà sulla terra, troverà la fede, sta domandando - a tutti quelli che via via sono scivolati dentro le pagine del catechismo senza pensare, che hanno ascoltato milioni di messe devote, che per obbedienza hanno accettato senza chiedere di capire cose di cui non erano convinti, che simpatizzano “per fede” con tutti i papi o tutti i preti allo stesso modo - “che senso avete dato a me e alle mie buone notizie? mi avete aiutato, state aiutando un mio seguace tardivo, che non riesce o non sa liberarsi dal peso di dottrine e pratiche obsolete, ma è ancora in tempo per vederci ragionare chiedendo nuovo senso alla coscienza? oppure “per devozione” non osate?”. Se figli e nipoti e i giovani in generale si fanno i fatti loro, abbandonano “dopo la cresima” o “dopo aver frequentato gli oratori” (ma davvero doveva succedere una cosa così nelle nostre famiglie, che chiamate “piccole chiese” domestiche?). Se perfino i teologi si sono impoveriti, anche  a causa delle censure alla libertà della ricerca e se i nostri “fondamentalisti”, possessori della loro verità settaria, ritengono che tutto quello che appare nuovo sia un perverso negoziato sui principi con il demonio e rifiutano di accettare che la verità ci stia davanti e ci provochi ad avanzare per non restare fissa in un assoluto immobile che può anche farla morire, certo che la fede finirà in quelle comode “mani di dio” che dovrebbero invece essere “le nostre”.

Viviamo grandi trasformazioni. Implicano spostamenti delle categorie del pensiero, di cui rendersi conto per farsi delle bussole di orientamento e per non divenire meno intelligenti delle macchine. Inutile compiacersi del bambino digitale, se poi non cercherà la parola di dio nemmeno sullo smartphone. Da sempre ci viene detto che la parola chiave della fede è il mistero; ma oggi il Credo della messa, letto passivamente, suscita solo dubbi (onnipotente? creatore? uno e trino? il figlio unigenito? siede alla destra?); eppure viene recitato mentre si va ad accendere una candela simbolica. Il simbolico è uno dei bisogni della mente ed è pieno di bellezza, ma bisogna pur sapere che la comunione non è il pane, ma lo spezzarlo con gli altri, diventa la solidarietà.

Tutte le religioni sono oggi allo stesso palo: possiamo (come fanno i veterocattolici) negare la realtà, negare che l’universalità di dio - che passa attraverso le nostre povere credenze - va ripensata “insieme” nel grande mistero che rappresenta non solo una fede la vita stessa. Se tutti ci rendessimo conto di quanto grande è l’arcaicità del nostro modo di credere, diventeremmo tutti meno ignoranti e non ci azzarderemmo a pregare il “mio” dio da proprietari esclusivi. Sono ovunque i  talebani che impediscono di pensare che le domande della fede sono per tutti domanda sul mistero. Mistero oscuro, se si cerca un dio che non sia amore.

 

Giancarla Codrignani

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